martedì 28 dicembre 2010

Buone feste?

Cristiani e pagani

Sfortunamente, agli esseri umani piacciono le feste. I pagani ne hanno istituite a migliaia. Per onorare il sole, la luna, le stelle e un numero infinito di divinità.

Ma anche i religiosi non ne hanno fatte di meno. Buddisti, islamisti, cattolici, ortodossi, protestanti e tutti i seguaci di tutte le altre religioni hanno fatto le loro feste, spesso combattendo fra loro. Per esempio, fra le stesse chiese cristiane hanno litigato su quali siano da fare, quali da non fare e in quale data farle o non farle.

E così avanti, fino all’estremo di alcune delle nuove sette che le hanno vietate tutte, non solo quelle “pagane” e civili, ma anche quelle religiose! E, soprattutto, quelle religiose, perché hanno deciso che l’idea stessa di “festa” sia pagana. Non permettono neanche di festeggiare il proprio compleanno!

Come trovare la posizione giusta, se esiste?

Noi cristiani evangelici non sappiamo dove andare a cercare la risposta se non nella Bibbia. Non abbiamo altre autorità che possono decretare delle regole da parte di Dio.

L’Antico Testamento è il libro che racconta le origini e la fede degli Ebrei, insieme con le loro feste comandate. Comandate, badate, da Dio! Le discussioni dell’Antico Testamento non riguardano mai la questione se sia giusto o no osservare le feste. Per loro era giusto e obbligatorio osservare le feste stabilite da Dio, esattamente come era sbagliato e offensivo nei riguardi di Dio osservare le feste dei pagani.

Tutte le feste comandate da Dio per gli Ebrei esistevano per celebrare e ricordare i grandi interventi di Dio nella storia umana in loro favore. Onoravano le qualità di Dio, dell’unico Dio, Creatore, Sostenitore, Sovrano dell’universo e servivano per ricordarne al popolo Ebraico l’amore, la misericordia, la potenza che aveva esercitati in suo favore.

Ovviamente, tutte le feste dei pagani esistevano per onorare altre “forze”, avvenimenti o personaggi (esistenti o immaginari), che venivano onorati al posto dell’unico Dio, e, in realtà, disonorandolo. Perciò Dio vietava tutte le “feste” pagane e puniva chi le osservava.

Eccoci arrivati, dunque, alla domanda: “Quali feste è permesso, o comandato, ai credenti di osservare oggi?” E “quali delle feste osservate oggi sono pagane e da abbandonare?”

Pensaci. Ne riparleremo la settimana prossima.
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martedì 21 dicembre 2010

Gesù, uomo o Dio?

Un mistero incomprensibile

È sempre un errore irreparabile cadere dal sentiero che segue il crinale della montagna. Il crinale è quella linea immaginaria che corre lungo la cima di una montagna, o da una catena di montagne, da cui è possibile cadere o da una parte o dall’altra; se cadi o a destra o a sinistra cadrai ugualmente nel burrone, forse centinaia di metri più in basso.

È un po’ la stessa cosa quando pensi ad alcuni insegnamenti della Bibbia. Se cadi da una parte o dall’altra dalla giusta posizione corretta, ti troverai in un burrone pericoloso che si chiama “eresia”.

Purtroppo, seguendo la conversazione dell’ultimo post, sulla deità di Gesù Cristo, se cadi da una parte, volendo sostenere e dare importanza solo alla sua deità, cadrai nel burrone che nega la sua vera umanità. O, al contrario, se vedi chiaramente soltanto la sua umanità, cadrai nel burrone dell’altra eresia, che nega la sua deità.

E tanta gente ci è cascata. La maggior parte, purtroppo, crede soltanto all’umanità di Gesù, ma alcuni negano o hanno negato che Gesù fosse veramente un uomo, pensando così di “difendere” la sua deità.

Ma, per essere fedele alla rivelazione della Bibbia, bisogna credere a tutte e due le verità e tenerle sempre in un salutare equilibrio.

Molte delle verità descritte nei vangeli fanno capire la vera umanità di Gesù. Per prima cosa, è nato dopo una normale gestazione nel seno di Maria e tutti quelli che lo hanno visto nei primi anni di vita non hanno visto altro che un normalissimo bambino. L’evangelista Luca scrive di lui, quando aveva dodici anni: “Gesù cresceva in sapienza e statura, e in grazia dinanzi a Dio e agli uomini” (Luca 2:52).

Durante la sua vita adulta, si parla nei vangeli, fra l’altro, della sua fame, sete, stanchezza, sonno, lacrime e dolore. Chiunque lo guardava, vedeva solo un uomo. Per questo motivo, il racconto della gravidanza di Maria, la nascita di Gesù in una stalla, e la sua gentilezza e cura di altri da adulto sono racconti che tutti quelli che lo amano hanno piacere di sentire ripetere e di leggere molte volte.

E, difatti, se Gesù fosse stato soltanto Dio, non avrebbe molto in comune con noi mortali. Non avrebbe potuto simpatizzare con noi nei nostri dolori, delusioni e difficoltà umane. E, soprattuto, non avrebbe potuto soffrire e morire al nostro posto, per ottenere il nostro perdono e la nostra salvezza.

E, poi, se cadessimo dall’altra parte del crinale, e considerassimo Gesù soltanto un uomo, anche se eccezionalmente buono, la sua morte non avrebbe avuto altro valore per noi che quello di un esempio di bontà e sacrificio. Invece, solo come uomo/Dio, egli ha potuto morire per noi nella sua umanità e riscattarci dalla pena del peccato nell’infinita perfezione e santità della sua deità.

Solo Dio avrebbe potuto formulare un piano così perfetto e solo Dio incarnato lo poteva compiere perfettamente.

Gesù era perfettamente Dio e perfettamente uomo. Questo è il vero messaggio del Natale. Gesù è, per te, Salvatore e Signore? Se non lo è, non hai nulla di cui rallegrarti a Natale.
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Ascolta il messaggio "Gesù è veramente uomo"
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martedì 14 dicembre 2010

Gesù Cristo è davvero Dio?

Credere o dubitare

Tempo fa, ho incontrato nell’aereoporto J.F. Kennedy di New York, un uomo istruito, ben vestito, che mi confidò di essere Gesù Cristo, tornato in terra e appena arrivato dalla California per farsi riconoscere nella città più grande d’America.

Francamente, non l’ho neanche contestato. Dopo tutto, ero sicurissimo che non era Gesù Cristo e che non valeva la pena discutere la questione.

Il mio era lo stesso atteggiamento che molte persone hanno, quando sentono dire che Gesù Cristo era davvero Dio. Sono talmente convinte che un uomo non possa essere, allo stesso tempo, Dio, che preferiscono fare finta di non averci fatto caso.

Logicamente, hanno ragione. Essere un uomo è una cosa. Essere Dio è un’altra.

Molti credono che sia esistito un Ebreo circa duemila anni fa che si chiamava Gesù, che è riuscito a crearsi un discreto numero di seguaci. Ma dubitano fortemente dell’esistenza di un dio come quello descritto nella Bibbia.

Per loro, il Natale è una festa folkloristica che scuote il mondo occidentale per qualche settimana con un vento di cortesia e bontà, più o meno finte. E, poi, come il presepio che molti costruiscono in salotto, anche il Natale e i buoni sentìmenti si rimettono nelle scatole, a dormire per un altro anno.

Alcuni, anche “cristiani”, credono soltanto che Gesù fosse un brav’uomo che cercava di convincere altri a fare altrettanto, ma che non credeva di essere Dio e non ha mai preteso di esserlo.

Bisogna dire che queste persone o non conoscono molto bene la Bibbia o sono convinte che sia un libro di leggende e racconti antichi che non bisogna prendere troppo sul serio.

Giovanni Apostolo, invece, afferma addirittura nel primo versetto del Vangelo che ha scritto, che Gesù, prima dell’inizio dell’universo, esisteva nell’eternità come Dio e, poi, scrive che, per di più, è stato il Creatore di tutto ciò che oggi esiste. Essere descritto come il Dio eterno, creatore di ogni cosa che esiste, non si può chiamare una negazione della deità di Gesù. Anzi è un’affermazione categorica e chiarissima della vera identità di Colui che, nel versetto 14 dello stesso capitolo, è descritto come Colui che “è stato fatto carne”, frase che descrive una persona che esisteva prima senza un corpo fisico umano, ma che, ad un certo punto, è diventata uomo, di carne e ossa.

Questa persona, di cui è citato il nome nel versetto 17, cioè “Gesù Cristo”, aveva ed ha il potere di fare diventare figli di Dio gli uomini (v. 12), ed ha portato in terra il significato completo e la realtà pratica della grazia e della verità, solo parzialmente conosciute fino al momento della sua venuta (v. 17). Solo Lui, venendo in terra, ha potuto aiutare l’uomo a conoscere veramente “il Padre” (v. 18).

Sì, Gesù Cristo, proprio perché è stato il Dio/uomo, cioè Dio incarnato, è diventato, per l’uomo, il Salvatore, il Donatore della vita eterna (ved. il Vangelo di Giovanni 5:17-24).

Altro che leggende e miti per farci sentire “buoni” per qualche giorno! Gesù Cristo è veramente Dio, sceso sulla terra per salvarci dalla condanna che meritiamo a causa dei peccati che abbiamo commessi e per donarci la vita eterna.

Ma, Gesù, cioè Dio incarnato, è stato anche veramente uomo? Vedremo prossimamente perché la risposta a questa domanda è tanto importante.
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Ascolta il messaggio "Gesù è veramente Dio"
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martedì 7 dicembre 2010

Dove si trovano?

La mancanza di anziani

Secondo il tuo blog, aocchionudo, del 9 novembre, molti degli uomini che hanno il titolo e che compiono il ministero di guide, cioè si considerano anziani nelle chiese evangeliche, non sono qualificati a farlo. Ma, se non si trovano delle persone con tutte le qualifiche descritte nella Bibbia, cosa bisogna fare? Ovviamente, si cerca, in buona fede, di fare quello che si può con il materiale che si trova.
La tua proposta, di ovvio “buon senso”, fa compagnia con l’articolo che ho appena letto su un settimanale, in cui si rivela che vi sono migliaia di dottori e dentisti che praticano in Italia, anche in ospedali e centri medici, che non hanno né la laurea né l’abilitazione richieste.

Ti piacerebbe la proposta che, anche per loro, si facesse “quello che si può”?

Il fatto è che, per trovare degli anziani qualificati per essere guide di una chiesa, non si chiede nulla di strano né di stravagante. Né lauree né riconoscimenti statali.

L’elenco di qualità trovato nella lettera di Paolo a Timoteo, al capitolo tre, come quello che Paolo ha scritto nella sua lettera a Tito, al capitolo uno, fa delle richieste molto semplici.

Sono, in sostanza, la descrizione di un credente normale. È possibile che non ci siano uomini così, credenti normali, nella chiesa locale?

Si richiede che non abbiano vizi conosciuti né nascosti. Vorresti chiedere di meno?

Si richiede che siano credenti da qualche tempo, con una buona conoscenza biblica. Si può chiedere di meno?

Si pretende che siano responsabili e d’esempio sul lavoro, nella famiglia e nel vicinato. Questo sarebbe chiedere troppo?

Certamente, se sono uomini di preghiera e di santità di vita, se hanno un cuore da pastore, se hanno la capacità di insegnare e predicare, hanno delle preziose e utili qualifiche in più. Ma queste sono delle qualità in cui il credente sincero e capace progredisce e impara con il tempo e con l’impegno, se desidera servire Dio e i propri fratelli.

Soltanto nel caso di una nuova chiesa, appena avviata, o di una chiesa senza o con pochi uomini, è probabile che non ci siano ancora degli uomini che abbiano tutte le qualifiche richieste. Allora, per forza, si rimanda il riconoscimento di anziani e si prega che il Signore possa prepararne presto almeno uno o due. Ma non si nominano mai degli uomini senza questi minimi requisiti. Sarebbe una disubbidienza a Dio e una follia.

Uomini orgogliosi o arroganti, o che non hanno una buona testimonianza di coerenza davanti a chi li conosce bene, che sono schiavi di qualche vizio, che non hanno una famiglia ordinata e pia, anche se affermassero di essere credenti da molti anni, avessero una buona conoscenza della Bibbia, o sapessero predicare e comandare, ovviamente non sarebbero qualificati. Sceglierli solo perché non ce ne sono altri più capaci sarebbe un errore che porterebbe molti dolori e fallimenti alla chiesa.

La Chiesa è del suo Capo, Cristo, e non è nostra. Certamente Egli sa provvedere per ogni chiesa degli uomini adatti e preparati per guidarla, anche se ci vorrà del tempo e sarà necessaria la sincera, fervente preghiera perché siano formati.
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martedì 30 novembre 2010

Vale la pena pregare?

E se Dio ascoltasse davvero…

Nel novembre del 1789, George Washington, il primo Presidente degli Stati Uniti, proclamò:

«Poiché è il dovere di tutte le Nazioni riconoscere la provvidenza di Dio Onnipotente e obbedire alla sua volontà, di essere grati per i suoi benefici e di implorare umilmente la sua protezione e il suo favore […]
Adesso io raccomando e stabilisco che giovedì 26 novembre prossimo sia dedicato dal Popolo di questi Stati al servizio di quel grande e glorioso Essere, che è l'Autore benefico di tutto il bene che è stato, che è o che sarà.
E che possiamo allora anche unirci nell'offrire umilmente le nostre preghiere e suppliche al grande Signore e Regnante sulle Nazioni e implorarlo di perdonare le nostre trasgressioni nazionali e non – per metterci tutti in grado, sia in posizioni pubbliche che private, di eseguire i nostri doveri puntualmente e correttamente e per rendere il nostro governo nazionale una benedizione a tutto il Popolo, mantenendolo sempre un governo fatto di leggi sagge, giuste e costituzionali, eseguite ed obbedite con discrezione e fedeltà.»

Forse fa ridere pensare che uno stato democratico e indipendente da ogni confessione religiosa possa dedicare al ringraziamento di Dio un giorno festivo nazionale. Ma i padri fondatori degli Stati Uniti lo considerarano un dovere e una necessità. E quella festa viene celebrata ancora oggi dopo 221 anni. Quest’anno è caduto giovedì, 25 novembre.

Oggi la gente americana pratica molte fedi, e la maggioranza, forse, non ne pratica nessuna. Nessuno più crede che gli Stati Uniti siano una nazione cristiana. E quando se ne parla alla televisione o sui giornali italiani, il cristianesimo degli Stati Uniti è più un oggetto di battute spiritose e di critiche che di apprezzamento.

Comunque sia, certamente fra i primi colonizzatori v’erano dei credenti sinceri e, malgrado il grande abbandono della fede religiosa in tutto il mondo, come anche in America, non vi è dubbio che ancora in quel paese esistano molti veri credenti. Anzi, anche gli europei riconoscono l’esistenza ancora negli Stati Uniti di molte persone di fede, ma preferiscono parlare di “fondamentalisti pericolosi”, come se fossero la peste.

Quando esiste veramente la libertà religiosa, ci potranno essere fra i gruppi anche dei “fondamentalisti pericolosi” che fanno ridere o che fanno paura a qualcuno, ma non sono loro la maggioranza dei credenti americani.

Stimare e amare i nostri fratelli di ogni lingua e popolo è un preciso dovere. Rallegriamoci se ve ne sono alcuni, o molti, che pregano Dio per il loro governo e che Lo ringraziano per la libertà religiosa che godono. Uniamoci nel pregare per il governo, e per i governanti, italiani, che ne hanno ovviamente molto bisogno. Ma, non dimentichiamo di ringraziare Dio per la libertà religiosa che godiamo e di usarla alla sua gloria.
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martedì 9 novembre 2010

Ubbidire sempre?

Un pericolo o una benedizione

Caro Guglielmo, è vero che gli anziani responsabili di una chiesa locale sono messi nella loro posizione da Dio e che devono essere ubbiditi, qualsiasi decisione possano prendere?
La risposta a questa domanda, che può nascondere gravi problemi e dissensi nella chiesa, e perfino degli abusi, è “Sì” e “No”.

Leggiamo negli scritti dell’Apostolo Paolo (e vediamo nel suo esempio) che la chiesa deve riconoscere come anziani, in modo evidente e chiaro, dei fratelli che abbiano le qualità elencate in 1 Timoteo 3 e Tito 1 e che, poi, tenga presente che sono le persone che Dio ha preparate e indicate per questo compito difficile e delicato.

In questa situazione ideale, la chiesa deve continuamente sostenere gli anziani con la preghiera, “tenendoli in grande stima e amandoli” (1 Tess. 5:13), pur riconoscendo che non sono infallibili. Può succedere, purtroppo, che una loro decisione non sia compresa o approvata pienamente perché non sembra biblica. In questo caso è importante pregare che Dio faccia loro vedere e capire, con i suoi metodi e al suo tempo, il loro possibile errore e che essi siano pronti umilmente a porvi rimedio. Chi prega deve essere pronto a cambiare anche il proprio giudizio.

Forse “ubbidire” agli anziani sembra un’espressione troppo forte, e alcuni sceglierebbero la parola “accettare” o “non opporsi” alle loro decisioni, ma l’autore della Lettera agli Ebrei, nel versetto 13:17, adopera proprio la parola “ubbidire”, cioè fidarsi.

Il fatto che siamo tutti fallibili, anche quando abbiamo le migliori intenzioni, potrebbe permettere, col passare del tempo, che si capisca che il riconoscimento di alcuni anziani non abbia funzionato perfettamente.

Perciò è facile dedurre che non sempre tutti i fratelli in tutte le chiese, che svolgono la funzione o ministero di anziani, abbiano davvero tutte le qualifiche necessarie, che siano stati effettivamente preparati e scelti da Dio e che la Chiesa abbia fatto l’indicazione e conferma degli anziani sotto la guida di Dio.

Difatti, le debolezze umane, le preferenze umane e la carnalità possono permettere che alcuni uomini siano riconosciuti sulla base di amicizia, parentela, imposizione, simpatie o altro. In questo caso, che mi auguro sia raro, è evidente che le decisioni che questi anziani potranno prendere, come pure la loro guida della chiesa, si dimostrino, nel tempo, carenti e, a volte, addirittura carnali.

In questo caso, i credenti devono, per forza, “ubbidire” agli anziani? La risposta è “Nì”. La risposta potrebbe essere: “Sì” quanto all’ubbidienza, ma con la riserva di impegnarsi a pregare che, se è la volontà di Dio, quella decisione sia in futuro cambiata.

Vi sono due errori da evitare. Nessun credente deve credersi chiamato a opporsi, in quanto individuo, agli anziani. Con la preghiera e la mansuetudine, molti problemi possono essere risolti. È molto importante che l’armonia della chiesa non sia distrutta per l’opinione personale di uno o due, cioè pochi, credenti.

La seconda cosa da evitare è che la critica o le critiche coinvolgano un gruppo, il quale si impegni in una guerriglia contro la direzione della chiesa, tipo giovani contro anziani, donne contro uomini o famiglie contro famiglie. Ovviamente, è essenziale affrontare il problema e cercarne la soluzione biblicamente, umilmente e amorevolmente.

Esisterebbe, in casi estremi, la possibilità di dire “No”, se si è convinti, dopo studio biblico e preghiera, che l’ubbidienza all’anziano richieda una disubbidienza a Dio. Ma bisogna rendersi conto che una situazione così drastica, se non risolta subito, potrebbe richiedere, per coerenza, il lasciare la chiesa.

La soluzione biblica a qualsiasi problema nella chiesa è, nelle parole di Paolo:

“Seguendo la verità nell'amore, cresciamo (ogni individuo e tutta la chiesa) in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (Efesini 4:15). È questo ciò che stai cercando?
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martedì 2 novembre 2010

Giorno dei morti?

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O ricordo dei vivi

Come ogni anno, i cimiteri si riempiono fino all’inverosimile. Di vivi. Vivi che fanno visita ai morti! Fiori. Ricordi. Lacrime. E qualche richiesta di aiuto. Perché no?

Se qualcuno che ti vuole bene è già passato all’altra riva, forse potrà darti un aiuto, o un consiglio importante. O, almeno, così crede tanta gente.

Certamente, ricordarsi dei propri cari morti è sempre giusto, per ringraziare Dio di quanto sono stati importanti nella nostra vita.

Ma, secondo la Parola di Dio, non serve né pregarli né pregare per loro. Tutti sanno che, quando i discepoli di Gesù gli hanno chiesto come dovevano pregare, Egli ha risposto: “Pregate così: Padre nostro che sei nei cieli…” Pregare il Padre, cioè Dio, è giusto, perché ogni bene viene da Lui e perché Egli merita la nostra lode e la nostra riconoscenza.

Ma, mai, nella Sacra Bibbia, Gesù o nessun altro ha insegnato a pregare Maria o altri cristiani, vivi o morti che siano. Solo Dio onnipotente e onnipresente può ascoltare le nostre preghiere e solo Lui ha il potere di esaudirci. Perciò rivolgere preghiere ad altri è inutile ed è anche una disubbidienza, innalzando degli umani al livello di Dio, forse senza renderci conto del grave errore, credendo che essi siano in grado di ascoltarci e di aiutarci.

La preghiera è uno dei più grandi privilegi che Dio ha dato agli uomini ed è importante che ogni vero cristiano faccia uso gioioso di questa benedizione spesso e secondo l’insegnamento biblico.

Nella preghiera parliamo al nostro Padre celeste, prima di tutto per lodarlo e ringraziarlo, riconoscendo la nostra dipendenza da Lui e il nostro bisogno di Lui in ogni momento della nostra vita. In secondo luogo, possiamo mettere davanti a Lui tutti i nostri problemi, tutte le cose che ci disturbano, che ci spaventano o che ci preoccupano. Possiamo parlargli dei nostri cari (viventi!) e del loro bisogno di Lui.

La Bibbia non ci promette che ogni preghiera avrà una risposta positiva, perché spesso non sappiamo se le nostre richieste siano secondo il piano e la volontà di Dio. Perciò, preghiamo, come ha fatto Gesù, prima della sua crocifissione: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.

Purtroppo, nell’antichità, molti pagani credevano che gli spiriti dei loro familiari morti rimanessero vicini a loro e potessero intervenire nella loro vita, facendo sia del bene sia del male. Perciò, li pregavano per ricevere aiuto nella vita quotidiana, e offrivano loro dei doni e sacrifici perché non facessero loro del male. La Bibbia vieta queste usanze di preghiere rivolte agli antenati, perché ogni preghiera dev’essere indirizzata a Dio solo.

“Siate sempre allegri; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, poiché tale è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Tessalonicesi 5:16-18).
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martedì 26 ottobre 2010

Pensarci è da matti?

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Potrebbe dare anche gioia

Pensi mai alla tua morte? Probabilmente, no. Però…

Non passa giorno che i giornali, la TV, la radio non parlino di morti. Morti ammazzati, violentati, strangolati, sparati, suicidati con l’aiuto della droga, dell’alcool e della velocità.

Per non parlare poi di morti per tumore, che sembra il male dilagante anche nel nostro secolo, infarto, icthus, diabete, e, se la malattia non ti prende, c’è sempre la malasanità che ci potrebbe pensare.

Nonostante questo, sembra che tutti abitiamo su un altro pianeta. Nessuno pensa che potrebbe morire proprio lui o lei, quando meno l’aspetta. E quando uno muore, amici e parenti dicono: “Ma chi l’avrebbe mai immaginato?”.

Il termine tecnico per questo blocco mentale è “rimozione”. Noi esseri umani tendiamo a “rimuovere” dalla nostra mente, senza neanche rendercene conto, tutte le cose che non vorremmo affrontare, che potrebbero avvelenare il nostro pensiero e toglierci la tranquillità.

D’altra parte, se qualcuno è così indelicato di parlare della morte come di una realtà, di un’esperienza che tutti devono provare, lo si accusa di morbosità, cioè di una tendenza che sa di malattia mentale.

Allora, che razza di strambetto era quell’apostolo che ha affermato: “Per me il vivere è Cristo e il morire guadagno”!? Per dirlo chiaramente, ha affermato: “Ho il desiderio di partire (cioè di morire) e d’esser con Cristo, perché è cosa di gran lunga migliore”.

Mentre la stragrande maggioranza della gente fa di tutto per NON morire o per riuscire a scacciare del tutto il pensiero dalla sua mente, ecco un uomo che, per quanto se ne sa, non era malato, ma che preferiva morire!

Si potrebbe pensare o che l’apostolo Paolo fosse matto o che aveva fatto una scoperta che gli altri non conoscevano.

Il segreto era, secondo le sue proprie parole, che era sicuro che, immediatamente dopo la morte, si sarebbe trovato alla presenza di Cristo. In altre parole, credeva che stare fisicamente nella presenza del Cristo risorto fosse molto meglio che rimanere in un mondo di malattie, pericoli e malvagità. E chi potrebbe dire che avesse torto?

In lui, non c’era nessun dubbio di non essere destinato alla salvezza eterna. Nessuna paura di giudizio divino o di andare all’ inferno.

Non solo! Era anche convinto che al momento della sua morte sarebbe passato direttamente alla presenza di Dio. Ma non basta: era certo che lo aspettava un premio. Ha scritto: “Mi è riservata la corona della giustizia, che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno”. Una bella certezza! A cui, poi, ha aggiunto queste parole che ci riguardono: “e [l’assegnerà] non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione”, a quelli cioè che avranno aspettato di incontrare Cristo con la stessa gioia e la stessa certezza che aveva lui.

Pensare alla morte in questo modo e con questa certezza non mi sembra affatto un motivo per non pensarci. Anzi.
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mercoledì 20 ottobre 2010

I codardi della fede

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Una “debolezza” umana

A quale personaggio di spicco della Bibbia potremmo assegnare il premio di “Codardo della fede”? Chi si è distinto come uno che aveva paura di offendere i suoi fratelli in fede e così ha rinnegato una verità importante?

Certamente “codardo” non è un aggettivo che si può usare con leggerezza.

Il codardo è una persona che, per paura, si comporta in modo incoerente e disonerevole davanti ad un suo preciso dovere. Per esempio, sarebbe codardo un soldato che scappasse dal fronte della battaglia mentre i suoi compagni affrontano la morte.

Purtroppo, a molte persone manca il coraggio di dire o di fare ciò che è giusto, se temono che, facendo il proprio dovere, si metterebbero “in pericolo”. E non si tratta di solito di pericolo di morte, ma soltanto del pericolo di essere guardati male o di non ricevere il consenso delle persone presenti. In altre parole, non vuole essere considerato “diverso” dagli altri.

Il ragazzo credente non vuol farsi considerare un bacchettone da suoi compagni. La giovane credente non vuol essere presa per una suorina inibita dalle sue colleghe di lavoro. Perfino il membro di chiesa non vuol passare per esagerato e legalista dai suoi fratelli. E questi atteggiamenti possono rivelarsi come codardia.

Secondo l’episodio descritto dall’apostolo Paolo nella sua lettera ai Galati, nel Nuovo Testamento, potremo assegnare il titolo di “Codardo della fede” all’apostolo Pietro, che pure ha predicato un sermone molto coraggioso nel giorno di Pentecoste.

Ecco perché. Durante il suo ministero itinerante, Pietro visitò la Galazia, che era una regione dell’attuale Turchia, dove erano sorte diverse comunità cristiane. Mentre predicava in quella zona il Vangelo della salvezza unicamente per mezzo di Cristo, si comportava come uomo liberato dalle leggi e usanze religiose degli Ebrei riguardo al mangiare e al bere. E faceva bene a farlo. La fede in Cristo libera il credente dalle tradizioni e imposizioni delle religioni, perché l’osservanza di queste leggi non è più richiesta per ottenere la salvezza e vivere in comunione con Dio.

Comunque, quando arrivarono in Galazia da Gerusalemme alcuni credenti in Cristo, che erano Ebrei di nascita come Pietro, e si sottomettevano ancora a varie regole umane, Pietro vigliaccamente si mise a rifiutare di mangiare insieme con i credenti ex-pagani della Galazia, per far capire ai neo-arrivati che lui si sottometteva ancora alle leggi e alle tradizioni ebraiche come loro.

L’apostolo Paolo gli disse in faccia, davanti a tutti i credenti, ex-Ebrei e ex-pagani, che agiva con ipocrisia perché sapeva benissimo che i credenti in Cristo non erano più soggetti a quelle leggi, ma che cercava piuttosto solo di non farsi criticare e giudicare male dai neo-arrivati. Così facendo, Pietro dimostrava, erroneamente, ai credenti usciti dal paganesimo, che era giusto mantenere ancora una divisione fra credenti ebrei e pagani.

Paolo riprese Pietro perché, travisando la verità, nascondeva la grande rivelazione che in Cristo tutti i credenti in Lui sono liberi, salvati per grazia e non sono più sottoposti a regole e pratiche religiose per avere comunione con Dio.

Chi oggi nasconde la sua testimonianza personale di fede, o nasconde le verità meravigliose della Bibbia per non offendere qualcuno o non essere giudicato male, si candida come degno di ricevere il premio di codardi.
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martedì 12 ottobre 2010

Crediamo davvero di ingannare Dio?

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Gesù colpisce sempre

Gesù era noto per le sue risposte provocatorie e inaspettate. Quando gli è stata chiesta un’opinione sulla morte improvvisa e ingiusta di alcuni uomini in un incidente, rispose: “E, se non vi ravvedete, morirete anche voi allo stesso modo”.

Molti amano parlare di religione se si può discuterne soltanto a livello impersonale e teorico. Ma, a Gesù quei discorsi ipotetici e ipocriti non andarono mai giù.

“Se credi che la religione non ti riguardi” Egli fece capire, “se pensi che la fede non sia anche un tuo problema personale, sei fuori strada”.

“Tu, caro amico” disse, “hai bisogno di pentirti. E subito!”.

“Pentirsi” vuol dire riconoscere e condannare la propria colpa con vivo senso di dolore e una ben definita determinazione a non ricaderci e a rimediare al male fatto.

La prontezza a pentirsi, secondo Gesù, deve essere una qualità essenziale per ogni persona. Eppure è una qualità che non solo manca nelle persone, ma che è anche evitata con orgoglio e arroganza. Il perché è ovvio.

Pentirsi richiede un riconoscimento sincero del proprio sbaglio, errore, peccato. Perciò l’essere umano è pronto a fare ogni tipo di ginnastica mentale e di acrobazie morali per negare che ha sbagliato e che avrebbe bisogno di pentirsi e di chiedere perdono.

A volte, noi credenti vorremmo credere che, dato che ci siamo pentiti una volta, confessando il nostro peccato nel momento in cui abbiamo creduto in Gesù come nostro Salvatore dal peccato, il problema sia risolto per sempre. Ci siamo umiliati una volta, e basta!

Ma non è così. Come è vero che, malgrado ogni nostra buona intenzione, ancora pecchiamo, offendendo Dio, e spesso anche i nostri fratelli, familiari o vicini, è altrettanto vero che ogni volta che riconosciamo di avere peccato, abbiamo bisogno di riconoscere umilmente il nostro sbaglio, con la ferma volontà di non ripeterlo, chiedendo perdono e nuova forza a Dio. E chiedendo anche perdono a chi è stato offeso o danneggiato da noi.

La fede e il nostro rapporto con Dio non sono teorie e credenze religiose, che possiamo tenere gelosamente in qualche scrigno nascosto, ma sono vita e esperienza che si rivelano quotidianamente nella nostra vita attiva, nei contatti con gli altri, nelle parole, nei pensieri e nelle azioni.

Cosa ti direbbe Gesù se oggi ti potesse parlare a tu per tu? Forse ti direbbe: “Se non riconosci il tuo, o meglio, i tuoi peccati, se non li confessi con il desiderio sincero di non caderci più, stai ingannando te stesso sulla realtà della tua fede. Ma, non puoi ingannare Dio”.
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martedì 5 ottobre 2010

La verità può offendere?

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Al Padre per mezzo di Gesù

Uno degli elementi fondamentali della fede cristiana offende e respinge migliaia di non credenti. E noi, possiamo cambiare questo elemento per non offendere nessuno?

L’offesa di cui parlo è espressa chiaramente nelle parole di Gesù: “Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Vangelo di Giovanni 14:6).

Nelle prime tre brevissime affermazioni, (Io SONO la Via, io SONO la Verità, io SONO la Via), Gesù dichiara l’unicità della sua posizione nella fede cristiana: Gesù stesso è il solo, l’unico, il punto centrale e unico, della fede. E la sua unicità non riguarda soltanto la fede cristiana, ma ogni altra religione del mondo. Non ci sono, né ci possono essere, altri centri, altri dei o altri rappresentanti di Dio a cui gli uomini debbano credere, o per mezzo dei quali debbano cercare Dio.

È inevitabile che tutte le altre religioni della terra trovino queste tre dichiarazioni inaccettabili e offensive.

Ma l’ultima frase del versetto citato è altrettanto offensiva. In essa Gesù dichiara la sua esclusività come unico mezzo per andare a Dio: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Gesù dice che Egli è l’unica persona a cui ci si può rivolgere per conoscere e vivere in comunione con Dio.

Di conseguenza, è chiaro che Gesù ha dichiarato così che ogni altra fede o religione che vorrebbe far conoscere Dio e permettere all’uomo di avvicinarsi a Lui non solo è inutile, ma è anche falsa. Solo Lui, e nessun altro, può farlo.

A motivo di queste affermazioni di unicità e esclusività, Gesù è stato odiato e ucciso dai capi religiosi del suo tempo. Ed è per questo motivo che i cristiani sono stati odiati e perseguitati dai seguaci di ogni altro tipo di religione da allora fino a oggi.

Sorge, a questo punto, una domanda importante: quanti cristiani, o persone che si dichiarano tali, credono alle parole che Gesù ha dette? Possiamo ignorarle se non ci piacciono?

Non sorprende che esista da molto tempo un certo numero di cristiani, sia cattolici che protestanti, che cercano di evitare l’ira dei membri di altre fedi, affermando che non è vero che Gesù sia l’unico mezzo di salvezza. O Lui ha sbagliato o quelli che hanno riferito e scritto le sue parole si sono sbagliati.

In un recente sondaggio condotto in un gruppo di chiese presbiteriane americane, riguardo a chi potrà essere salvato, si è scoperto che il 39% dei membri crede che solo i seguaci di Gesù possono essere salvati, mentre il 36% crede che si può essere salvati anche senza credere in Gesù. E il risultato dell’indagine fatta fra i pastori è stato peggiore di quella fatta fra le pecore!

Il 35% dei pastori crede che solo i credenti in Gesù saranno salvati, mentre il 45% dei pastori crede che non sia essenziale credere in Gesù per “venire al Padre”.

Tanti si domandano perché valga la pena credere alle parole di Gesù, scritte nella Bibbia, se offendono la gente. Oppure se bisogna credere alla Bibbia perché è Parola di Dio, anche se offende. La verità, quale valore ha per la gente del XXI secolo? Gesù ha detto, come citato sopra: “Io sono la verità”. Tu lo credi?
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martedì 21 settembre 2010

Verità e errore uniti

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La confusione aumenta

Un prete della chiesa di Roma potrebbe essere anche buddista o induista?

La confusione religiosa sta raggiungendo limiti mai conosciuti né immaginati. Sembra che ognuno si creda in grado di costruirsi la propria religione mentre professa di fare parte di una religione riconosciuta.

Mi ricordo la mia meraviglia, tanti anni fa, quando un benestante padre di famiglia a Roma mi ha candidamente confidato che, religiosamente, egli si considerava un “ateo praticante”. A me la frase era nuova. Così gli ho chiesto cosa intendeva dire. Non sapevo come un ateo “praticava” la sua religione.

“È semplice,” mi ha risposto: “Sono ateo, ma pratico la religione nazionale, cattolica!”.

Da quel tempo ne ho conosciuti tanti. Direi che sono forse migliaia di persone che mi hanno affermato di essere fedeli cattolici, mentre, allo stesso tempo, mi dicevano che non credevano a questo o a quell’altro dogma della chiesa. Anche se la chiesa affermava che chi non crede alle sue dottrine è fuori della chiesa, queste si sentivano cattolici fedeli a tutti gli effetti.

Certamente vi sono altrettanti credenti “evangelici” che, per scelta, lasciano perdere alcuni degli insegnamenti della Bibbia, morali o dottrinali, credendoli sorpassati, impraticabili o assurdi ai tempi nostri.

In altre parole, moltissime persone non credono, se sono cattoliche, al magistero della chiesa o, se sono evangeliche, all’infallibilità della Bibbia, come guide autorevoli della loro vita personale per quanto riguardo la morale o il comportamento. Mentono, fornicano, barano, calunniano senza il minimo senso di colpa, perché fa comodo, fa piacere, conviene, o perché “tutti lo fanno”.

Ho letto l’altro giorno un’interessante affermazione paradossale di un noto prete e teologo, Raion Panikkar, della chiesa di Roma: “Sono partito dall’Europa come cristiano [per visitare e conoscere l’India]. Ho scoperto che sono induista, e sono tornato come buddista, senza mai avere cessato di essere cristiano”.

Ma la verità è una, unica, eterna. È codice infallibile e inalterabile per il vero cristiano. Il resto è umanesimo accomodante, filosofia ingannevole, ma, soprattutto, errore mortale.
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martedì 14 settembre 2010

Troppe mogli sono pericolose

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Ma la legge non è più osservata

Scrivo di nuovo dall’America che è sempre piena di sorprese. Ho letto ieri di una vecchia legge dello stato del Kentucky, che vietava ad un uomo di avere più di quattro mogli durante tutta la sua vita, vedovanze, divorzi, abbandono e perfino bigamia compresi. Non ho trovato, comunque, una difesa logica della legge e perciò rimango leggermente confuso. Per quale motivo era permesso avere, per esempio, tre mogli e non cinque?

Si trattava, forse, di una legge basata su problemi economici, stato di salute, famiglie troppo numerose o, chissà, di pericoli morali? Ho paura che non lo saprò mai.

Forse i legislatori avevano deciso che un uomo normale non sarebbe riuscito, in una sola vita, ad amare più di quattro donne con tutto il cuore, per quanto si sforzasse. Oppure avevano pietà di lui e non volevano che dovesse sopportare le critiche e le pretese di più di quattro donne durante una sola vita.

La Bibbia propone, comunque, il matrimonio fra un solo uomo e una sola donna per tutta la vita come la norma, anche se un secondo matrimonio, se il primo coniuge muore, non è vietato.

Nei secoli passati, non era raro che una moglie morisse durante il parto e che il marito si trovasse con diversi figli da accudire¸ oppure che un marito morisse sul lavoro o in altri incidenti, e una donna si trovasse con più figli da curare e educare. In questi casi, era più che normale pensare ad un secondo matrimonio.

Ma, ai tempi nostri, questi casi di necessità sono più rari e spesso un secondo,terzo o quarto matrimonio sono risultati di divorzi basati su scelte personali di preferenza o di convenienza.

Si sente spesso il lamento: “Non lo amo più!” oppure: “Mi sono innamorato di un’altra”. In realtà, più che di un lamento, si tratta di una semplice confessione.

Ma l’amore non è una malattia da adolescenti, che dura poco e non lascia strascichi.

Il vero amore è un impegno serio, preso da un adulto altrettanto serio. L’amore non è una giocata alla lotteria, ma è l’unica possibile base delle promesse di un matrimonio che dura una vita.

Perciò, la persona seria riconosce che i propri difetti, immaturità e egoismo, messi a confronto con i difetti, immaturità e egoismo dell’altro coniuge, non promettono un viaggio tranquillo attraverso le vicissitudini della vita, ma, piuttosto, permettono di prevedere molti scogli, tempeste e scontri che solo un amore profondo riuscirà ad affrontare e superare.

Nel matrimonio, ogni coniuge è forzato a riconoscere e risolvere i problemi e i pericoli derivanti dai propri difetti, mentre si rende conto realisticamente dei difetti della persona che ha sposata, promettendole fedeltà e amore fino alla morte.

Infatti, il matrimonio è, fra altro, ma non solo, una specie di terreno minato, in cui i coniugi lavorano altruisticamente e umilmente per sminarlo e farne un giardino di pace e di gioia.

Cioè, un giardino d’amore.

Se non ci sei arrivato ancora, impegnati con pazienza e con la potenza della vita nuova che Cristo ti dà. Si tratta di una strada che può essere piena di problemi e di cambiamenti difficili, ma che ti donerà anche dei momenti di estrema felicità e di piacere che nessun’altra relazione potrebbe dare.
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martedì 7 settembre 2010

Tre principi riguardo ai soldi

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Pensaci prima di spendere

È giusto che il credente cerchi di spendere meno che può per mettere via quello che gli resta per il domani? Allora non vive più per fede! (Vedi il post della settimana scorsa).

Quasi quasi, sembra che, nel suo discorso sul monte, riguardo ai soldi, Gesù abbia incoraggiato il credente a essere irresponsabile e spendaccione.

Siccome gli uccelli non raccolgono il grano nei granai neanche tu devi preoccuparti del domani, ma puoi decidere di spendere ciò che hai, che Dio ti ha donato con il tuo lavoro, come ti pare. Senza alcun pensiero di ciò che ti potrebbe servire domani.

È possibile che questa sia la volontà di Dio per te?

No, Dio non vuole né che tu sia uno stolto che si occupa soltanto di arricchirsi come meglio puoi, né una farfalla che vola con leggerezza, e senza pensiero, giorno dopo giorno, da un fiore all’altro.

La Bibbia è un libro di prudenza, di autocontrollo, e di insegnamento sull’uso non soltanto dei tuoi soldi, ma anche del tuo tempo e della tua salute.

È un libro che insegna la moderazione e, innanzitutto, la sottomissione a Dio, in ciò che spendi, in ciò che doni a chi ha bisogno e in ciò che metti via per un sano uso domani.

Per capire questo, bisogna cominciare con le parole dell’apostolo Paolo: “Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Perché foste comprati a prezzo; glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Corinzi 6:19,20).

Poco prima, nella stessa lettera, Paolo aveva domandato: “Che ti distingue dagli altri? E che hai che non hai ricevuto?” (1 Corinzi 4:7).

L’insegnamento biblico è che ogni credente deve riconoscere che neanche il suo corpo appartiene a lui, ma a Dio, e che tutto ciò che ha gli è stato donato da Dio. Di conseguenza, il suo corpo e ciò che esso rende o può procurare, con il lavoro delle sue mani e con la sua mente, i soldi e i beni che ha, sono tutti proprietà di Dio. Il credente ne è soltanto il curatore, il custode, l’amministratore, incaricato da Dio a usare, spendere, impiegare ciò che appartiene a Dio per la sua gloria.

Allora, è possibile credere che l’insegnamento di Gesù, di non avere ansia per il domani, significhi che puoi spendere oggi tutto quello che hai, per comprare tutto ciò che vuoi? Intanto, al domani ci penserà Dio. Assolutamente no!

L’apostolo Pietro ha insegnato che il credente non deve spendere per apparire o per orgoglio: “Il vostro ornamento non sia l’esteriore… mettersi intorno dei gioielli d’oro o indossare vesti sontuose… ma l’ornamento incorruttibile dello spirito benigno e pacifico” (1 Pietro 3:3,4).

L’apostolo Giovanni avverte di non lavorare per accumulare dei beni solo per la propria soddisfazione: “Tutto quello che è del mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non è dal Padre, ma e dal mondo” (1 Giovanni 2:16). Queste “concupiscenze” potrebbero riguardare spese per vestiti, gioielli, orologi, macchine fotografiche, telefonini e tante altre cose che si comprano per il proprio piacere e non per bisogno.

L’apostolo Paolo ha anche insegnato il principio del risparmio, cioè del mettere via una parte dei propri soldi per un motivo sano: Perché i fratelli potessero mandare dei soldi per aiutare altri fratelli in bisogno, egli scrisse: “Ogni primo giorno della settimana ciascun di voi metta da parte a casa quel che potrà secondo la prosperità concessagli” (1 Corinzi 16:2). Così i credenti potevano programmare le donazioni necessarie per aiutare i fratelli in bisogno e non reagire solo emotivamente senza pensarci.

Da questi tre principi, vediamo che Gesù non ha mai voluto insegnare a spendere e spandere oggi, senza pensare al domani, credendo di ubbidire in questo modo al comando di Gesù.

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martedì 31 agosto 2010

Risparmiare o donare?

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Non siamo farfalle


Mi domando se cercare di risparmiare sulle spese, e mettere via dei soldi sia giusto per un credente. Se stai sempre a pensare al futuro con paura, non sembra un segno di poca fede? Tu, che ne pensi?

Come usare bene i soldi che uno ha è un argomento su cui molti credenti non vanno d’accordo. Forse è perché non si spiegano bene. O non ragionano bene!

Gesù ha insegnato chiaramente che il credente non dovrebbe vivere nell’ansia di ciò che mangerà o di cui si vestirà domani. Ha spiegato che Dio riveste i fiori con grande cura e bellezza e che dà da mangiare agli uccelli che non costruiscono depositi di cibi per il futuro. Perciò, si può capire che certamente non si dimenticherà di provvedere per i suoi figli.

Anzi, le preoccupazioni e la ricerca affannosa di risparmiare e di accumulare tesori è una forma di idolatria. Significa che uno sta dando un’importanza esagerata alle cose materiali, che hanno un significato e un valore soltanto per questa vita terrestre.

Difatti, Gesù ha anche detto che “sono i pagani che ricercano tutte queste cose”, cioè l’abbondanza per oggi e la garanzia per domani.

Possiamo giustamente domandarci: “Perché i pagani ricercano queste cose con tanto impegno e perché i ricchi non smettono mai di ammassare soldi quando già ne hanno a sufficienza per il resto della loro vita?”

La risposta è facile. Non hanno nessuna speranza o pensiero o fiducia in una vita oltre la morte. Per loro, questa vita è tutto ciò che esiste e perciò la loro importanza, la loro intelligenza, la loro furbizia sono tutte calcolate in base a quanti soldi, case, gioielli, macchine possono accumulare. Oppure, se hanno altri interessi, possono calcolare il loro valore, il loro successo, dai films che hanno fatto, i dischi che hanno venduto, i libri che hanno scritto, la posizione che hanno occupata nella politica, la cultura, la finanza, lo sport, la medicina o la scienza.

Gira e rigira, il loro destino è qui sulla terra e devono riuscire a godere più che possono. L’iddio che adorano e davanti a cui si prostrano è roba che bisogna sudare per ottenerla e che sempre potrebbe scivolare via fra le dita e perdersi se facessero dei passi falsi.

Un credente, che è figlio di Dio e erede dell’eternità, si rivelerebbe “uno stolto”, come lo descrive il libro biblico dei Proverbi, se avesse le stesse mete e le stesse preoccupazioni del “pagano”.

Ma, purtroppo, anche fra i credenti c’è pure un’abbondanza di stolti, o di aspiranti stolti, che sono tentati dalle stesse mete, gli stessi dei, gli stessi specchietti per le allodole che attirano i pagani. Davanti a Dio, lo stolto non è misurato da quanto ha, ma da quanto è pronto a sacrificare per averlo. Perciò, un povero può essere tanto stolto quanto un riccone.

È questo il motivo per cui Gesù ha incoraggiato il credente a non preoccuparsi del domani, ma occuparsi, piuttosto, delle mete spirituali. Nel suo discorso ricordato nel vangelo di Matteo, 6:24-34, ciò è più che chiaro. È un passo bellissimo e molto confortante.

Ma, allora, è vero che il credente non deve cercare di risparmiare nelle sue spese e, magari, non preoccuparsi di mettere via qualcosa per il domani?

Di questo parleremo la prossima volta. Nel frattempo, ne puoi parlare con i tuoi amici.
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martedì 24 agosto 2010

Andiamo con gli amici

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Che spasso ci aspetta
“Veramente, dopo la morte preferisco andare all’inferno, perché penso che la maggioranza di miei amici sarà là.”

È una battuta che ho sentito e letto più di una volta, ma è possibile che qualcuno lo dica sul serio?

Direi di sì.

Ecco perché.

Molta gente preferisce la battuta ad una conversazione seria, che sia sull’aldilà, sulla salvezza dell’anima o sulla religione.

Molta gente professa di non credere all’inferno, perciò la battuta le serve per dimostrare scherzosamente ad altri la sua incredulità.

Molta gente crede, o professa di credere, che i concetti di peccato, punizione, cielo e inferno siano rimanenze dell’ignoranza di almeno un secolo fa, mentre loro si considerano liberati da quelle paure antiche.

Probabilmente, ci sarà qualcuno che crede, o quasi crede, all’aldilà, ma che pensa sul serio che i suoi amici più intelligenti e divertenti finiranno all’inferno e che, perciò, ci sarà da divertirsi anche dopo la morte fra gente così.

Bisognerebbe dire a questa gente che la loro posizione non è una dimostrazione di grande intelligenza o di un sottile senso di umorismo. È, piuttosto, da cretini.

Se si parla di ciò che succede dopo la morte, e se loro non sono ancora morti, che ne sanno dell’aldilà? Hanno, forse, degli amici che hanno fatto il biglietto di andata e ritorno? Qualcuno ha mandato loro delle foto dell’ambiente e della gente gaudente? Hanno, forse, guardato un video, o un documentario in TV, che ha dato loro una spiegazione dei divertimenti e passatempi che troveranno nell’aldilà?

Il fatto è che Gesù Cristo non è stato, e non è, uno sprovveduto e che ha parlato più volte dell’aldilà in termini spaventevoli. Le sue parole sono state raccolte e incluse nel Nuovo Testamento e non sono mai state smentite da nessuno che ne sapeva più di lui sull’aldilà. Egli ha parlato di pianto, di tenebre, di stridore di denti, che non sono segni di gioia o di divertimento.

Il quadro che la Bibbia fa della fine degli increduli, dei burloni e dei peccatori mai ravveduti è quella di un luogo in cui nessuna persona umana, sana di mente, vorrebbe mai trovarsi, neanche in visita. E tanto meno eternamente. Il buio parla di solitudine e isolamento, non di felici incontri fra amiconi, il pianto parla di tristezza, rabbia, rimorso e non di divertimento e allegria, il fuoco e lo stridore di denti parlano di sofferenza fisica così insopportabile che non si ha più la forza di pensare ad altro.

Non ci saranno delle persone che racconteranno barzellette per fare ridere tutti, che ricorderanno con piacere e soddisfazione i loro peccati, o che inventeranno nuovi divertimenti e feste per spassarsela.

Può anche darsi che gli amici migliori di molte persone finiranno all’inferno. Però, questo certamente non sarà motivo di gioia, ma piuttosto di dolore, non di risate, ma di lacrime, non di nottate divertenti, ma di secoli di sofferenze insopportabili.

Sei anche tu fra quelli che preferiscono non pensarci? O liberarsi del pensiero con una battuta?
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martedì 17 agosto 2010

Cani e maiali

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Una giovane nella giungla

Uno “spirito malvagio” ha rapito una 29enne e per il suo riscatto richiede un bue selvatico, un maiale, un pollo e quattro boccali di vino. O, per lo meno, così racconta un indovino vietnamita, il quale accetterebbe di buon cuore per conto dello spirito il riscatto richiesto.

Rocham, così si chiama la giovane, era scomparsa la prima volta quando aveva solo otto anni, mentre pascolava dei bufali nella giungla non lontano da casa sua. È stata ritrovata la prima volta, solo dopo 18 anni. Viveva nuda nella giungla, camminava a carponi e non era capace di comunicare.

Riconosciuta dal padre, è stata riportata in famiglia, ma non ci è rimasta volentieri. Più volte ha cercato di scappare di nuovo nella giunga e ora, sembra, ci sia riuscita.

Ti fa meraviglia che un essere umano possa abbandonare con piacere la civiltà, con i suoi vantaggi, per vivere in uno stato praticamente animalesco? Secondo la Bibbia, ce ne sono molti che lo fanno e forse qualcuno vive anche vicino a te. O nella tua famiglia.

È l’apostolo Pietro che ne parla, nella sua seconda lettera, che fa parte del Nuovo Testamento. Egli era molto disturbato dal fatto che dei falsi predicatori del cristianesimo stessero ingannando la gente, insegnando che il comportamento morale non importava a Dio e che, perciò, non esisteva nessun motivo per evitare tutti i piaceri ed eccessi peccaminosi praticati dai non-cristiani.

Sembra che questi predicatori fossero molto apprezzati e che molta gente, che aveva cominciato a seguire le pratiche morali dei cristiani, senza avere sperimentato una vera conversione del cuore, stesse tornando alla sua vecchia vita senza limitazioni morali.

Purtroppo, in Italia vivono milioni di persone che si credono “cristiane” e che osservano alcune pratiche religiose, come è stato loro insegnato, ma che non hanno mai abbandonato i peccati e i vizi troppo comuni nella società. Infatti a volte scoprono che anche i loro leaders fanno lo stesso.

Pietro scrive: “Meglio sarebbe stato per loro non avere conosciuta la via della giustizia che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo comandamento ch’era loro stato dato” (2 Pietro 2:21).

Secondo l’Apostolo, queste persone, che negano la loro fede con le loro azioni, stanno molto peggio della ragazza che ha abbandonato la civiltà per vivere come un animale.

“È avvenuto di loro” scrive Pietro, “quel che dice con verità il proverbio: Il cane è tornato al suo vomito, e: La troia lavata è tornata a voltolarsi nel fango” (2 Pietro 2:22).

Rotolarsi nel peccato che allontana per sempre da Dio è certamente peggio che abbandonare la civiltà per vivere nella giungla, perché gli effetti sono eterni. Ma l’apostolo Giovanni ha scritto, riguardo alle persone che non hanno intenzione di cambiare il loro stile di vita: “Il giudizio è questo: che la luce (Gesù Cristo) è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvage. Chiunque fa cose malvage odia la luce e non viene alla luce, perché le sue opere non siano riprovate” (Giovanni 3:19,20).

La storia della ragazza che preferisce vivere nella giungla ci fa meraviglia. La realtà di migliaia di persone che scelgono di vivere rotolandosi nel fango ci fa rabbrividire.
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martedì 10 agosto 2010

Mancano le bambine

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100.000 uccise

Il titolo, “Generecidio – la guerra mondiale su bambine” è apparso sul giornale inglese, The Economist, del 6 marzo 2010.

Si riferisce al fatto che molti genitori preferiscono di avere figli anzliché figlie. Questo fatto corrisponde alla credenza che I figli possono essere di valore economico alla famiglia, mentre le ragazze portano solo debiti.

Il famoso economista Amartya Sen, Premio Nobel indiano, ha scritto nel 1990: “100 milioni di bambine sono scomparse”. Egli parlava della pratica, usata particolarmente in Cina e in India, dell’aborto di feti feminili, o addirittura della loro uccisione dopo il parto. Secondo i suoi calcoli, 100 milioni di bambine sono state abortite o uccise, già prima del 1990 d.C.

In Cina, nei prossimi anni, milioni di giovani raggiungeranno l’età in cui sposarsi, ma troveranno impossibile sposarsi e crearsi una famiglia, per mancanza di ragazze della loro età, uccise prime di nascere. Studiosi di economia dicono che questo eccesso di giovani che non possono sposarsi porterà gravi problemi alla Cina e pericoli per la società.

Ma è possibile che milioni di bambine siano uccise solo per le preferenze dei genitori? Sì, è possibile. Ma dietro alla loro decisione ci sono state anche le leggi dello stato che non permettevano alle famiglie di avere più di un bambino.

Puoi capire in che razza di mondo viviamo, quando l’infanticidio, o, meglio, il generecidio, cioè l’uccisione delle bambine, diventa una pratica comune e il governo, che la Bibbia dice che esiste per premiare chi fa bene e per condannare chi fa male, in qualche modo è il responsabile?

La Bibbia dice che il nemico di Dio, il Diavolo, è padre della menzogna ed omicida.

Uomini e donne che uccidono i loro propri figli, spesso prima che nascano, non possono in alcun modo attribuire la loro azione a Dio, né dire che questo tipo di omicidio sia legittimo, neanche se le leggi dello stato sono complici e lo permettono.

Il grido d’allarme del giornale inglese e dell’economista indiano dimostrano che non è necessario essere cristiani per odiare e condannare questa catastrofe umana. Comunque è solo la Bibbia che rivela che i comportamenti inumani degli esseri “umani” hanno una causa precisa, il peccato, e che il peccato porta sempre delle conseguenze molto diverse e molto più dannose di quanto la gente possa prevedere.

“Il salario del peccato è la morte” ha scritto l’apostolo Paolo, come sommaria conclusione sugli effetti e il risultato del peccato nella vita di ogni essere umano.

Ed a, poi, aggiunto come sommaria descrizione della “buona novella”, cioè del Vangelo, “ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23).
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martedì 3 agosto 2010

Fa troppo caldo

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Non posso essere contento

Il caldo di luglio ci ha colpiti come un martello che vuole temprare l’acciaio, ma abbiamo resistito. Una volta si lavorava all’aperto per molte ore sotto il sole, senza pensare tanto a quanto caldo avevamo. E, infatti, milioni di persone nel mondo lo fanno ancora.

In fondo, molte delle prove che consideriamo insopportabili sarebbero esperienze normali e quotidiane a molte persone, ma siamo noi che, come si dice, non ci rendiamo conto di quanto oggi abbiamo la vita comoda.

Una volta, per cucinare il pranzo, bisognava raccogliere e portare in cucina la legna per accendere il fuoco, e, poi, curarlo, prima di cucinare. E la temperatura in cucina saliva oltre il sopportabile. E così fanno ancora millioni di donne, che si reputano fortunate, se riescono a trovare la legna sufficiente per cucinare le poche cose che potranno dare ai loro figli per tenerli in vita.

Momento!… Aspettate un momento! Vedo tante persone che, a questo punto, smettono a leggere!

Non ci piace leggere di cose che ci fanno sentire un po’ in colpa (d’altra parte, poi, in colpa per cosa, se Dio ci ha permesso di vivere in un paese dove la vita è più facile?).

Il male non è che ci sentiamo privilegiati e benedetti, ma che ci sentiamo ancora mancanti di tante cose che il mondo offre, che non abbiamo tutto ciò che desidereremmo, come comodità e benessere. Noi siamo abituati a pensare che avremmo bisogno ancora di tante cose, comodità, possibilità che “tutti gli altri hanno”. E non ci passa neppure per la testa di farci un elenco di tutte le “cose” e comodità che noi abbiamo e che “tanti altri NON hanno”.

E, poi, ci sembrano parole offensive gli insegnamenti dell’apostolo Paolo a Timoteo, che diceva ai credenti di Efeso: “Non abbiamo portato nulla nel mondo (quando siamo nati), e neppure possiamo portarne via nulla”.

E allora? “Avendo di che nutrirci e di coprirci, saremo di questo contenti” (1 Timoteo 6:7,8).

Ma, va’ a dirlo a tu’ nonna! Contenti! Contenti… se non possiamo neanche portare i bambini al mare! Contenti… se non possiamo neanche permetterci una sera in pizzeria, come facevamo da giovani?!.

Contenti? Se questo vestito lo porto da tre anni! Contenti… vedi queste scarpe? Ti sembrano di moda? Quelle di moda non solo non posso permettermele; non posso nemmeno permettermi di guardarle!

Come puoi permettere a tua figlia di andare a scuola con quel vecchio telefonino? Tutte le amiche ridono di lei. Pensa, non può neanche fare le foto come i suoi compagni!

Non c’è da meravigliarsi che, nelle chiese, nelle famiglie, fra gli uomini, le donne, i giovani, della chiesa ci sia come una specie di cappa mortale di nebbia velenosa che non permette di vivere la vita cristiana come la Bibbia insegna!

Quante chiese, quante famiglie conosci che si distinguono per una vita vissuta nella quale si verifica ciò che ordinava l’apostolo Paolo: “Parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore; ringraziandolo continuamente per ogni cosa”?

Non è che la mia domanda sia tanto importante. Ciò che conta è la tua risposta. Come pure la tua decisione di portare un cambiamento nella tua chiesa, o nella tua famiglia, a cominciare da te.
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venerdì 23 luglio 2010

I preti per primi

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Una questione di autorità


I preti ed altri religiosi pensavano di avere trovato la domanda che avrebbe fatto tacere il loro nemico, che pretendeva di correggerli e criticarli.

“Chi ti ha dato questa autorità?” Ecco, la religione è questione di autorità e basta! I preti ed i teologi sono stati “autorizzati” e gli altri no, di parlare di religione.

Non lo avessero mai domandato!

“Sì, voi avete l’autorità… autorità di andare all’inferno!”

“Infatti”, continuò il suo pensiero Gesù, “gli ufficiali delle tasse, che rubano e mettono in tasca i soldi dati sottobanca, andranno in cielo prima di voi. Anzi, perfino le prostitute saranno in cielo mentre voi sarete fuori sperando di entrare!” (Puoi leggere il racconto preciso nel Vangelo di Matteo, 21:23,31,32).

Gesù non lo mandava a dire a nessuno. I “religiosi” non lo spaventavano, perché egli guardava loro diretto nel cuore e conosceva i loro pensieri immorali e materialisti.

Ma quale eresia è questo, che i grandi peccatori saranno accettati da Dio prima delle persone che praticano la religione senza sbagliare mai?

Che cosa può raccomandare prostitute e ufficiali corrotti a Dio, prima di quelle persone che sono note per la loro religiosità?

Una differenza c’è, ha detto Gesù. Quelli grossi peccatori si sono pentiti dei loro peccati ed hanno chiesto a Gesù di salvarli dal giudizio pesante che meritavano. Ma voi non ci pensate neanche ai vostri peccati, voi che credete che sarete i primi non solo in terra, ma anche in cielo, perché rappresentate “l’autorità”.

Una cosa che Gesù non accettava mai era la sicurezza di sé, l’orgoglio, l’autosufficienza di chi sembrava credere che Dio l’avrebbe accettato così com’era perché ne aveva diritto. Anzi, Dio avrebbe dovuto accettarlo per forza perché era assolutamente a posto.

Ma la Parola di Dio dice: “Non vi è alcun giusto, neppure uno”. Né preti cattolici né pastori evangelici né semplici credenti, nessuno può contare sulla sua nazionalità, sulle sue opere buone, sulla chiesa di cui fa parte, sul suo battesimo, sulla sua sincerità, sulla fede della sua famiglia, per garantirsi il cielo.

E tu, su cosa conti?
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martedì 13 luglio 2010

Vale la pena essere sincero?

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Non può cambiare la pelle

Vivere la vita cristiana, come è insegnata nella Bibbia, vale veramente la pena? Vedo molti credenti che, ovviamente, hanno considerato certi sacrifici, certi comportamenti che non seguono “l’andazzo” della nostra società, come troppo pesanti e inutili.

Sembrano credere che sia possibile, come credenti, cercare di imitare, mimetizzarsi, confondersi con gli altri senza venire meno alla professione sincera della propria fede. Anzi, dicono che soltanto facendo così ci si puo avvicinare i non credenti e testimoniare loro.

C’è del vero in questi ragionamenti?

Sì, purtroppo c’è del vero in queste autogiustificazioni. C’è quel tanto di verità che Satana usa sempre per fare ingoiare il suo veleno.

È vero che Gesù partecipò a certi pranzi offerti da non credenti, dove non era possibile per Lui approvare la vita vissuta da tutti gli invitati. Non condivideva la “fede” o mancanza di fede di chi lo aveva invitato.

Ma non credo che chi l’ha invitato, o gli altri presenti, avessero l’impressione che Gesù cercasse di nascondersi, imitando gli altri, facendo finta di essere uno di loro. E non direi che i vangeli indicano quei momenti come se fossero il suo metodo preferito di evangelizzazione.

Al contrario, mi sembra che il comportamento di Gesù, le cose che disse, le conversazioni a cui partecipava, non cambiassero affatto secondo l’ambiente in cui si trovava. Egli sapeva chi era: era venuto nel mondo per rivelare il Padre, per invitare i peccatori al pentimento e alla fede. Non si alzava in ogni occasione per fare una predica di mezz’ora, ma neanche taceva per non offendere qualcuno.

Il credente non può permettersi di cambiare pelle secondo la qualità o il credo della persona che ha davanti. Perché, se si togliesse “la pelle” da credente, nato di nuovo, coraggioso nella sua fede, umile nella sua persona, amorevole e veramente interessato al bene della persona con cui parla, farebbe bene a togliersi anche il nome di cristiano. Non sarebbe un autentico seguace di Cristo.

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martedì 6 luglio 2010

Pedofili per forza?

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Sarebbe meglio fermarli


Lo scandalo dei pedofili fra il clero della chiesa romana non sembra che stia diminuendo. Ed è giusto che sia così. Perché, fino ad ora, che io sappia, la chiesa non ha affrontato e confessato il suo vero problema.

Quanti pedofili sono stati scoperti e denunziati fra i preti e altri religiosi della chiesa romana? Non ho mai visto una statistica precisa, ma certamente alcuni pensano che si tratti di migliaia di persone. Ma il numero conta poco. La vera domanda non è: “Quanti sono stati scoperti e denunziati?” ma, piuttosto: “Quanti sono, quando includi tutti quelli che NON sono stati scoperti e denunziati?”.

A questa domanda non avremo mai la risposta. Si tratta di una domanda per cui la chiesa romana ha sistematicamente agito perché la risposta non fosse mai conosciuta.

La risposta non può essere rivelata perché nessuno la sa. Ma si può pensare che il numero di casi di pedofilia nella chiesa sia molto più alto di quanto non si è ancora detto.

Fra le migliaia di casi già denunziati, non solo i preti sono stati accusati, ma anche alcuni vescovi lo sono stati per avere nascosto le persone colpevoli, trasferendole in altre parocchie o altre dioscesi. E ciò non dovrebbe sorprendere nessuno.

Da tanti anni, più di quanti tu ed io ne abbiamo vissuti, la chiesa romana ha adoperato un sistema per cercare di arginare gli scandali, che si sono determinati al suo interno. Nota bene, non per evitare gli scandali stessi, ma per arginare l’effetto, la risonanza di peccati che, se conosciuti, avrebbero causato scalpore.

In quest’ultima ondata di denunzie riguardo alla pedofilia, si è scoperto che, metodicamente, quando uno scandalo stava per esplodere, nei riguardi di un sacerdote che aveva raggirato e sedotto dei bambini, il vescovo o un altro suo superiore religioso ne aveva disposto il trasferimento in un’altra parocchia o attività.

Il “pensiero” era che, dopo avere ricevuto, forse, una lavata di testa dal suo superiore, il prete errante avrebbe cambiato vita in un nuovo ambiente.

Il risultato era, comunque, diverso. Anzi, era il contrario. Normalmente, il pedofilo non smetteva né diminuiva i suoi abusi, ma li continuava allegramente fra i nuovi ragazzi e ragazze da sedurre.

E non ci vuole un genio per capirlo, o per prevederlo. È possibile che il vescovo che organizzava il trasferimento fosse l’unico a non conoscere i risultati del suo intervento? Chi ci crede è sciocco.

Difatti, è lo stesso stratagemma usato da sempre quando un prete si distingueva per avere sedotto delle giovani o delle mogli dei suoi parrocchiani, o per averne messa incinta qualcuna. Il suo superiore interveniva e quietamente, senza alcun chiasso, il prete si ritrovava il giorno dopo in un’altra parocchia distante dalla prima. Pentito e trasformato? Lascio a te ad indovinare.

Allora, io mi domando, se la prassi era mandare un prete pedofilo in un nuovo luogo in cui cercare la sua preda, chi aveva la maggiore responsabilità morale, il pedofilo che continuava il suo vizio altrove, o l’autorità che provvedeva a nasconderlo e a offrirgli delle nuove vittime?

Scrivo con odio per condannare qualcuno? No, solo con dolore per l’ipocrisia e il danno fatto al nome di Cristo.
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mercoledì 30 giugno 2010

Di chi la colpa?

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Pedofili per forza?

La pedofilia è un crimine odioso che suscita ira, disprezzo, disgusto e incredulità. Si capisce che nessuno può difenderlo o approvarlo apertamente.

Ma le scuse o i ragionamenti per diminuire le reazioni negative esistono eccome.

Alcuni dicono: “Bisogna comprendere quei poveri preti. Dopottutto, non hanno né moglie né una vita sessuale normale”. Si tratta, forse, di una giustificazione per un atto criminale? Il voto di castità, chi ha forzato i preti a farlo? Nessuno! È vero, forse sono stati lavati di cervello e hanno fatto quel voto non per forza, ma per una convinzione malsana che Dio glielo richiedeva. In questo caso, ovviamente, non è che la loro colpevolezza sia diminuita, ma è certamente più colpevole la persona, o “direttore spirituale” che sia, che ha fatto quell’opera di convinzione.

Quelle persone non dovrebbero essere scovate e processate per plagio, o per circonvenzione dei giovani affidati alle loro cure?

Nessuno li deve difendere.

Ma, c’è un’altra linea di difesa ancora più assurda. Si dice che la percentuale di religiosi cattolici pedofili non è superiore alla precentuale di pedofili nella popolazione generale.

Ma che ragionamento è? Francamente, non credo che sia vero, ma se lo fosse? Che mi importa della percentuale di atei pedofili? O di miscredenti, o di cattolici non osservanti o di credenti di altre fedi che sono pedofili?

Stiamo parlando di preti, di frati, di persone che hanno fatto il voto di castità della chiesa cattolica romana.

Queste sono persone che hanno fatto un voto di castità, che hanno giurato davanti a Dio e agli uomini che avrebbero vissuto una vita di purezza sessuale. Allora, dimmi, fra persone così, che hanno giurato di comportarsi un un certo modo, quale percentuale di pedofili, a tuo parere, sarebbe giustificata? Quale percentuale di preti pedofili, che possano insidiare e abusare di bambini e di bambine innocenti, bisognerebbe accettare come “normale”, senza che nessuno si sorprenda o si scandalizzi? Se sono, per alcuni, “normali”, per me sono criminali normali!

Ma, lasciamo stare, dirà forse qualcuno! Bisogna rendersi conto che sono persone con grandi problemi psicologici. Vanno trattati da ammalati, mica da criminali. A parte il fatto che esistono carceri anche per criminali considerati pericolosi psicologicamente, il ragionamento cade fragorosamente per un altro motivo, sotto il peso del problema vero della pedofilia che esiste nella chiesa romana.

Di questo scriverò la prossima volta. Con odio per i preti? No, ma con tanta pietà per gli innocenti.
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martedì 15 giugno 2010

Normale, ma diverso

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Aspettare la domanda

Il “vero” credente è “normale”, ma anche diverso, nella sua posizione e testimonianza, dovunque si trova.

È normale perché la sua vita non cambia per ciò che riguarda il suo lavoro o i suoi studi. Se era sposato prima, è sposato anche dopo avere donato cuore, mente e corpo a Gesù. Se era studente, è ancora studente, se lavorava, ancora lavora. Abita ancora nella stessa casa. Insomma, il credente affronta e si impegna in tutti i doveri, le responsabilità, le relazioni che aveva “prima”. È normale come sono normali gli altri.

Guai se fa finta di essere un altro, se cambia il tono della voce per sembrare più santo, se fa sempre un sorriso un po’ scemo, perché vuol fare capire che tutto gli va bene. Se non è “normale”, non può che fare ridere gli altri dietro alle sue spalle, e tutti lo eviteranno, considerandolo un po’ fissato.

Però, è anche diverso da prima e guai se non lo è. Per esempio, non racconta cose sporche né ride quando altri le raccontano. Non dice più le bugie per coprire ciò che fa o ciò che ha fatto. Non si lamenta più delle cose difficili nella sua vita, né si arrabbia facilmente se subisce un torto.

È diverso perché non cerca più di scaricare le sue responsabilità su altri, anzi, al contrario, è diverso perché nota chi ha un problema ed è pronto ad aiutare chi ha bisogno di lui. È diverso perché non è egoisticamente concentrato su se stesso come sono di solito gli altri e come era anche lui “prima”.

Se non è “diverso” dagli altri, e da come era prima, non spingerà gli altri a domandarsi, con meraviglia e curiosità: “Ma cosa gli è successo? È proprio cambiato da come era prima. Cosa sarà che lo ha fatto diventare diverso?”

Il “diverso”, nella vita di chi segue Cristo, dev’essere qualcosa che gli altri ammirano e che, col tempo, li sorprende e anche spinge a domandare proprio al loro amico o amica “diversi”, come mai si comportano così.

Quando Gesù incontrò la donna samaritana, Lui era “normale”: aveva sete e desiderava un po’ di acqua. La sua richiesta di un po’ di acqua non l’ha spaventata. Però, in Lui vi era qualcosa di “diverso” perché parlava cortesemente con una donna evitata da tutti. Lei lo ha trovato “diverso”, ma interessante e piacevole.

Quando lei, poi, gli ha domandato come mai Lui, che era un Ebreo, parlasse con lei, Gesù non ha cominciato a farle un sermone: “Vedi, io non sono come gli altri Ebrei ipocriti e orgogliosi, che fanno finta di conoscere Dio. Io stesso sono Dio e tu, con tutto il tuo peccato, hai bisogno di me.”

Se il tuo comportamento diverso spinge qualcuno a chiederti: “Come mai parli sempre guardando con gli occhi rivolti al soffitto?” sarà difficile convincerli che sei “normale”.

Ma, se ti domanderanno: “Come mai non ti arrabbi mai?” o “Cosa ti è successo che sei così cambiato?”, allora niente prediche, ma una risposta sincera e normale, tipo: “Poco tempo fa, ho conosciuto una persona che mi ha fatto cambiare tanto. Se vuoi, una volta te lo spiegherò. Non ci vogliono più di cinque minuti”.

Se il tuo collega o compagno dice: “Dai, lo voglio sapere”, prometti che alla fine della giornata di lavoro o le lezioni a scuola, glielo spiegherai. Non fare il misterioso, ma neanche la figura di chi è pronto a saltare addosso a chi gli fa una domanda.

Se, invece, il tuo amico o collega non dice nulla di più, non lo fare neanche tu. Aspetta la prossima domanda, che può venire dopo un giorno o dopo un mese.

Nel frattempo, mentre aspetti, prega per le persone che frequenti. Forse, alla fine, la persona che veramente vuole sapere cosa ti è successo non sarà quella che te lo ha chiesto per prima, ma un’altra che ti sta ancora osservando.
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martedì 8 giugno 2010

Essere normali, ma diversi

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NON è facile

Sei un credente in Gesù Cristo felice, appagato, gentile, generoso, disponibile ad aiutare il tuo vicino, onesto, pulito dentro, comprensivo e “normale”?

Arriverò a parlare di “normale” fra un momento, ma come vai con le altre otto parole o frasi che descrivono un vero seguace di Gesù? Senz’altro ricordi, vero, che Gesù ha detto a chi lo voleva seguire di prendere in spalla la sua propria croce e di seguirlo?

Allora, un vero credente lo seguirà seriamente e sarà più possibile come il suo “Maestro”. Certo, si tratta di una crescita e di una maturazione, basate sull’opera dello Spirito Santo, che opera in ognuno di noi aiutandoci a leggere, capire e ubbidire alle parole di Gesù, nella Bibbia.

Alcune delle parole, che ho elencate più sopra (come gentile, generoso, onesto), dovrebbero essere fra le prime cose che un nuovo credente impara e mette in pratica. Non voglio dire che impara le parole, ma che il suo comportamento cambia visibilmente, e che il suo carattere è diverso.

Secondo te, come sarà considerata una persona felice, appagata, gentile, generosa, disponibile ad aiutare il vicino, onesta, pulita dentro, comprensiva? Come sarà considerata dal compagno di banco, dai genitori, dai fratelli e le sorelle, dagli amici, dai colleghi e dal datore di lavoro?

Beh, come ho detto più sopra, il credente deve essere “normale”. Forse se ha e dimostra diverse delle qualità che ho elencate non sembrerà agli altri tanto “normale”. Ma che ci vuoi fare? Ripeto che dev’essere normale.

Per “normale” voglio dire che non parla e non si comporta come uno caduto da Marte, o appena arrivato dalla luna.

Deve essere amichevole come è sempre stato, o più di prima. Potrà parlare di sport, del tempo e dei prezzi come qualsiasi altro essere umano. (Però, non userà più parolacce né racconterà né riderà di cose sporche. Se, facendo così, sembrerà poco “normale”, pazienza!).

Per comportarsi da “normale” voglio dire, però, che non inserirà costantemente nelle sue conversazioni parole che, secondo gli altri, non c’entrano. Come: “Lo farò se Dio vuole”, “Eh, sì, è difficile vivere in un mondo di peccato!”, “Se tu sapessi quanto Dio ti ama!”.

Cerca di capirmi: queste sono parole belle, se dette al momento giusto e sinceramente, ma non servono per colpire o per “testimoniare”. Sono, però, frasi di un marziano o di uno fresco, cioè venuto di fresco dalla luna, se calate in una conversazione in cui non c’entrano.

Il fatto che Gesù “mangiava con i peccatori” e accettava un invito a cena da un noto imbroglione significa che, mentre i religiosi lo criticavano, la gente “normale” considerava “normale” anche lui.

“Normale” ma “diverso”. Diverso come? Come quelle otto parole o frasi che ho usato nel primo paragrafo.

La gente intorno a te, come ti considera? Ci va di mezzo la tua possibilità di testimoniare della tua fede in modo convincente. Ne voglio parlare la prossima volta.
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martedì 1 giugno 2010

Importa ciò che NON vedi

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Ma chi sto ingannando?

Ho sfogliato la Bibbia, molto consumata dal tempo e dall’uso costante, di mio padre, che è morto nel 1985. È una Bibbia che gli era stata donata nel 1952 da un fratello in Cristo, che aveva accettato il Signore per mezzo della testimonianza di mio padre, nel 1949.

Un prezioso ricordo della vita e del pensiero di un uomo di Dio, che ha servito il Signore per tanti anni, più o meno dal 1925, quando si è convertito fino al 1985, quando il Signore lo ha chiamato al riposo celeste.

Un versetto sottolineato in quella Bibbia ricorda un principio che Papà riconosceva come valido per sé e per ogni credente.

“L’Eterno disse a Samuele: Non badare al suo aspetto né alla sua statura, perché io l’ho scartato: l’uomo guarda all’apparenza, ma il Signore guarda al cuore” – 1 Samuele 16:7.

Si trattava della scelta del prossimo re di Israele e Dio spiegava al profeta Samuele la qualifica più importante: lo stato del cuore del candidato alla guida del regno.

Tu vivi, e tutti viviamo, nell’epoca della corsa sfrenata all’apparenza. Apparire, vestirsi, pettinarsi, curare il fisico secondo la moda è la misura del ragazzo, della ragazza, dell’uomo e della donna, della persona di successo.

La persona più sciocca, la persona più pericolosa, la persona più corrotta spesso riesce a guadagnarsi fama, soldi, seguaci e posizione curando solo il suo modo di presentarsi, di apparire.

Questo ci pone due domande urgenti e fondamentali. Primo, sto scegliendi i miei amici, forse il mio futuro marito o moglie, le persone che stimo e approvo sulla base delle apparenze, solo su ciò che sembra attraente, ma che è superficiale, un “vestito” che questa persona porta per nascondere ciò che è dentro?

E la seconda domanda è ancora più importante: io sto imparando, e cercando, di creare una bella facciata, di apparenza fisica, di personalità accomodante e gentile, per guadagnarmi l’approvazione degli altri e per fare carriera?

Questo difetto morale esiste e regna in ogni campo della vita. Affetti, amicizie, lavoro, scuola. E perfino in chiesa. I giovani sono particolarmente attratti dalle apparenze, perché questo è il valore che vedono e apprezzano nello sport, nello svago, nella televisione.

Ma è possibile, per un credente sincero, ammirare e imitare il cantante, l’attore, lo sportivo, il politico o la persona di successo senza tenere conto del suo “cuore”? Senza rendersi conto e tenere conto della sua moralità, nei rapporti con gli altri, nel parlare e agire, nei rapporti sessuali, nel lavoro e nelle mete che si pone?

Sei pronto ad esaminarti fino in fondo per sapere se cìò che ti importa in una persona, e anche in te stesso, è veramente ciò che Dio vede e approva?
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martedì 25 maggio 2010

Il petrolio uccide

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Sei sicuro che ti andrà bene?

Il petrolio versato nel mare, nel Golfo di Messico, ha messo in crisi una gran parte della costa sud degli Stati Uniti. La distruzione del commercio, per miglaia di pescatori. La morte di pesci, di uccelli e di altre speci in numero non ancora calcolabile. Un costo di miliardi di euro.

Il bello è che un responsabile di quell’impianto per l’estrazione del petrolio aveva testimoniato davanti al Congresso americano, pochi mesi prima, assicurando che gli accorgimenti tecnici moderni garantivano praticamente al 100% che era impossibile causare proprio quel tipo di disastro.

È morta, pochi giorni fa, una signora in una clinica privata di Roma mentre partoriva due gemelli. Il bello (o il tragico) è che il medico aveva avvertito marito e moglie che non vi era nessun pericolo nel fare quel parto difficile nella sua clinica.

Terrificanti sbagli di chi, speriamo in buona fede, affermava che non c’era nessun problema.

È un pericoloso difetto umano credere di avere sempre ragione, di potere personalmente controllare ogni situazione. Nessuno può pretendere questo.

Quanti ragazzi e ragazze mi hanno detto: “Sì, lo so che non è giusto sposare uno che non ha la mia fede, ma in questo caso, ci siamo messi d’accordo che lui (o lei) non mi ostacolerà, e anche miei genitori sono d’accordo”.

Non saprei chi è più colpevole per il disastro che ne consegue: il giovane innamorato o i genitori. Penso che siano i genitori perché, pure essendo, si fa per dire, più maturi e fermi nella fede, non vorrebbero che il loro figlio o figlia perdesse questa bellissima occasione di sposarsi. “Un matrimonio fatto in cielo” anche se uno dei due, secondo le parole di Gesù, potrebbe giustamente chiamare il diavolo suo padre (vedi Giovanni 8:44).

Chi sei tu che credi di potere dare assicurazioni sul tuo futuro e particolarmente sui risultati delle tue scelte, se tu sai che stai disubbidendo a Dio?

Come dice spesso mia moglie: “Possiamo scegliere ciò che faremo, ma non possiamo scegliere i risultati delle nostre scelte”, riferendosi al giovane drogato che è saltato dal decimo piano di un grattacielo, perché credeva di potere volare. Purtroppo il risultato è stato disastroso! Ha dimostrato che poteva scegliere se saltare o meno dalla finiestra, ma che non poteva scegliere i risultati.

Spesso vediamo dei credenti che disubbidiscono al Signore, si rivoltano contro ciò che insegnano le Sacre Scritture e, poi, dicono agli altri credenti più timorosi: “Guardate noi. Stiamo benissimo, anzi, meglio di voi. Se disubbidisci al Signore non ti succederà nulla”. Purtroppo per loro, la distanza fra la disubbidienza e il suo risultato catastrofico può essere di qualche anno, ma ciò non vuol dire che la Parola di Dio non si dimostrerà vera.

A volte, un intero gruppo di giovani prende coraggio dal comportamento degli altri membri del gruppo stesso, per non chiamarlo branco, e comincia a comportarsi in modi che la Bibbia vieta, perché “non vogliono passare per legalisti”. Perfino, intere chiese si allontanano dalla fedeltà biblica. Si credono più libere, più al passo coi tempi, più aperte di mente. Ma la Bibbia dice: “Non vi ingannate, non ci si può beffare di Dio; poiché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà” (Galati 6:7).

L’unica sicurezza per il credente è fidarsi della Parola di Dio e ubbidire ad essa. Alla fine, comprenderà quanto Dio lo ha voluto preservare dai pericoli e quanto lo ha benedetto.
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martedì 18 maggio 2010

Le parole e l’amore

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Piccole e buone

Le parole sono belle e benedette quando esprimono riconosocenza. Gli uomini prendono per scontato tutto (o quasi tutto) quello che la moglie fa per loro, e lei prende tutto (o quasi) per scontato ciò che il marito fa per lei. Purtroppo, spesso tutti e due prendono per scontato anche tutto ciò che Dio fa per loro e non ringraziano neanche Lui!

“Ringraziando (QUANDO?) continuamente (PER CHE COSA?) per ogni cosa (CHI?) Dio Padre” (Efesini 5:20a).

Se tu sei genitore, ti sei mai fermato, per dirgli con un tono fermo, quando tuo figlio ti ha chiesto qualcosa di buono da mangiare o da fare: “Come lo chiedi?”. Dopo ti ha detto “per piacere”. Dopo che tu gliel’hai dato, hai chiesto ancora: “E ora, come si dice?” E non sei stato contento finché non ti ha detto: “Grazie”.

E a Dio? Gli dici: “Grazie”?

Anche tuo marito o tua moglie hanno il diritto di vivere la loro giornata con il cuore pieno di gioia per le tante volte che tu hai notato, apprezzato, e dimostrato loro gratitudine, sia con le azioni sia con le parole.

Fra le parole più importanti per fare camminare a gonfie vele il vostro matrimonio (ovviamente non sono le sole!) sono le parole piccole e preziose che hai imparato da bambino e che, forse, per trascuratezza o perché ti sembrano sorpassate, non usi più.

Di queste, la più importante in assoluto è una sola: “Grazie!” È una parola che non si invecchia mai, non si comsuma con l’uso, per la quale non esistono sostituti. È una parola che può essere decorata con fiori e abbellimenti. Per esempio: “Grazie tanto!”, “Grazie, amore!”, e perfino: “Grazie infinite!” Va bene se accompagnata anche da un bel sorriso, un abbraccio, un bacio e, da questo punto in poi, lascio a te la gioia di inventare!

Ovviamente, da bambino hai imparato che “Grazie!” fa parte di una famiglia antica e onorata di altre parole. Altri suoi parenti sono: “Prego!”, “Per piacere”, “Per favore”, “Ti posso aiutare?”.

Poi, ci sono quelle parole piccole, potenti come una bomba, insostituibili per cambiare una situazione tesa e difficile: “Hai ragione tu”, “Perdonami!”, “Ho sbagliato”, “Ti chiedo perdono”, che ci ricordano anche la potenza immensa di due altre parole: “Ti perdono”, che sciogliono il peso di tante incomprensioni.

Ovviamente, Dio già sapeva che avevamo bisogno di queste parole, e, ancora di più, sapeva quanto abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi quanto sono utili. È stato proprio Paolo a scrivere: “Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Efesini 4:32).

Un grande numero di problemi matrimoniali ha la sua soluzione nel Nuovo Testamento, scritto quasi duemila anni fa. Come è possibile che Paolo abbia scritto delle cose così utili? Perché Dio l’ha ispirato! Nel libro di Dio per te.
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(Leggi tutti e cinque i post sulle parole e l’amore, cominciando con quello del 20 aprile.)
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mercoledì 12 maggio 2010

Per salvare e vivificare l’amore

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Quali sono le parole giuste?


Per prima cosa, come abbiamo visto nei post precedenti, l’amore non si salva con una dieta di parole “marce”, ricuperate dalla spazzatura. (Controlla i due post recenti).

In questo campo, la dieta giusta è essenziale. Gesù ha insegnato che tu dovresti donare a tuo marito o a tua moglie esattamente ciò che tu vorresti ricevere. Niente di più, perché mescolare le parole donate da Dio con le tue potrebbe causare una disastrosa indigestione. Niente di meno, perché, se tu non dici le parole che Dio vorrebbe mettere nella tua bocca come benedizione, stai strangolando il tuo matrimonio con le tue stesse mani.

In Efesini 4:29, Paolo ha detto che servono parole “buone”, che “conferiscono grazia”, parole che “edificano” tuo marito o tua moglie e perciò edificano anche il tuo matrimonio.

Parole che edificano, che inseriscono la grazia di Dio nel matrimonio, dove le troveremo? È ovvio, le troveremo nella Parola di Dio.

Le parole che edificano sono le parole che riconoscono come Dio sta operando in voi, particolarmente nel tuo coniuge, per il bene del vostro matrimonio. Edificano le parole di lode che tu dici per ringraziare tuo marito o tua moglie, per qualcosa che ha fatto e che Dio indica come suo compito specifico.

Forse ora vorresti dire: “Ecco il problema: mio marito, o mia moglie, non fa nulla per salvare e migliorare il nostro matrimonio!” Pensi di risolvere così il problema? Niente affatto.

Hai solo dimostrato che stai resistendo alla volontà di Dio e che non vuoi neanche metterti a riflettere sui compiti e le responsabilità dei coniugi, secondo la Bibbia.

Quando il matrimonio non va bene, i coniugi spesso passano molto tempo a rimuginare su tutte le cose che l’altro dovrebbe fare, che non fa o fa male. Certamente, non vogliono “perdere il loro tempo” a cercare inutilmente qualcosa da lodare!

Ti sfido a metterti seduto, prendere carta e penna e scrivere 10 cose che tuo marito, o tua moglie, fa che contribuiscono al bene del vostro matrimonio. Nota, non ho detto: “10 cose che fa perfettamente” né “10 cose che fa sempre”. Se non trovi 10 cose, perché sei pigro o perché non sei abituato a pensare bene del tuo coniuge, comincia almeno con tre!

Ecco il tipo di cose da notare. Lui lavora forte per provvedere alla famiglia. Lei prepara i vestiti puliti per la famiglia. Lui mi ringrazia quando faccio il suo piatto favorito. Mi aiuta con le spese. Risponde al telefono quando sono occupato. Dimostra pazienza con i bambini.

Insomma, cercando e notando le cose anche piccole o scontate, non mancheranno dei motivi per cui ringraziare Dio del comportamento del tuo marito o di tua moglie. E sono anche cose importanti da comunicare all’altro, perché sono state notate, apprezzate e sono motivi di gioia.

Ogni volta che tuo marito o tua moglie si comporta secondo un insegnamento biblico, che se ne sia reso conto o no, e anche, che sia credente o no, quell’atto e quel momento possono essere riconosciuti e “benedetti” per mezzo di una semplice parola di ringraziamento, a voce alta per il coniuge, e con cuore silenzioso, ma riconoscente verso Dio.

Ma, la settimana prossima parlerò degli effetti meravigliosi che una parola giusta, detta per onorare Dio, porterà negli anni futuri. È un grande investimento che porterà molto frutto.
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martedì 4 maggio 2010

Ecco il linguaggio che serve

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Io ti amo

L’amore è come una gomma d’auto gonfiata al punto giusto. Porta dei grandi pesi e dev’essere sempre curata e protetta.

Per esempio, è molto facile che le gomme perdano un po’ di aria mentre la macchina cammina. Si sgonfiano. È normale, ma bisogna intervenire per metterle a posto.

Tutti i libri d’istruzioni per l’uso delle macchine dicono che le gomme devono essere mantenute ad una certa pressione di gonfiatura per funzionare al meglio. E, al di sotto di una certa pressione, sono pericolose.

Il tuo amore non va da nessuna parte se non ti occupi di controllare la sua gonfiatura e se non rimedi subito quando vedi che c’è qualche problema.

Secondo questo esempio, che sto usando per spiegarmi, l’aria che mantiene le ruote del tuo matrimonio nelle condizioni migliori è la comunicazione, una comunicazione che manda un messaggio positivo, che tuo marito, o moglie, può capire perfettamente.

Quando questo flusso di messaggi positivi si rallenta, il matrimonio può soffrire fino a diventare motivo di dolore anziché di gioia.

Questi messaggi, più saranno costanti, comprensibili, e fatti bene, e migliore sarà la salute del tuo matrimonio.

Quale forza ti stimola nel mandare questi messaggi? Il tuo amore. Quali contenuti hanno questi messaggi? L’amore. Cosa succede quando questi messaggi arrivano e sono compresi? L’amore dell’altro, e anche il tuo, ricevono una bella spinta di soddisfazione e di gioia.

Per comunicare l’amore ci sono diversi linguaggi, ma fermiamoci al primo, che tutti sono capaci di usare con grandi risultati: proprio quello delle parole.

Alcune parole, o frasi, sono addirittura velenose e vanno evitate sempre e a qualsiasi costo: possono essere divise in due categorie: critiche e lamenti.

Tu potresti pensare che hai dei motivi validi per fare le une e gli altri. Una persona intelligente e informata dalla Bibbia deve imparare a non adoperare MAI critiche e lamenti. Per il bene del matrimonio, sarebbe più utile tagliarti la lingua, quando ti viene in mente di esprimere una “bella e meritata” critica.

Sfortunatamente, una critica NON migliora MAI una situazione. L’apostolo Paolo ha scritto: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca”. Molto chiaro, mi pare. La parola “cattiva”, nel testo originale, significa “puzzolente e putrefatta”. È proprio una “dieta” che non piace a nessuna moglie né a nessun marito. Ci puoi contare.

Ma quali parole sono profumate, piacevoli, utili IN OGNI OCCASIONE? Paolo ha completato la frase citata più sopra dicendo: “Se ne avete qualcuna buona (una parola che esprime benevolenza, amore, apprezzamento, per esempio, un bel complimento), che edifica (che costruisce invece di demolire) secondo il bisogno (secondo il bisogno dell’altro, che deve essere incoraggiato, apprezzato, forse calmato), ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” – Efesini 4:29.

Una tua parola di critica o di lamento può contribuire a sgonfiare l’amore in un matrimonio che già è in sofferenza.

Mentre la parola giusta può risollevare una situazione che ha proprio un grande bisogno di aiuto.

“Ma, perché devo cercare di mettere io una parola buona, per rigonfiare le ruote, quando sono proprio io che ne ho bisogno?”

Scusami, ma si tratta di una domanda sciocca. Gesù ha detto chiaramente che tu devi fare all’altro ciò che vorresti che fosse fatto a te.

Ti lascio con un compito estremamente difficile e estremamente importante. La prossima volta, ti darò dei begli esempi di come usare le tue parole per migliorare i tuoi rapporti con tutti.
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