martedì 21 settembre 2010

Verità e errore uniti

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La confusione aumenta

Un prete della chiesa di Roma potrebbe essere anche buddista o induista?

La confusione religiosa sta raggiungendo limiti mai conosciuti né immaginati. Sembra che ognuno si creda in grado di costruirsi la propria religione mentre professa di fare parte di una religione riconosciuta.

Mi ricordo la mia meraviglia, tanti anni fa, quando un benestante padre di famiglia a Roma mi ha candidamente confidato che, religiosamente, egli si considerava un “ateo praticante”. A me la frase era nuova. Così gli ho chiesto cosa intendeva dire. Non sapevo come un ateo “praticava” la sua religione.

“È semplice,” mi ha risposto: “Sono ateo, ma pratico la religione nazionale, cattolica!”.

Da quel tempo ne ho conosciuti tanti. Direi che sono forse migliaia di persone che mi hanno affermato di essere fedeli cattolici, mentre, allo stesso tempo, mi dicevano che non credevano a questo o a quell’altro dogma della chiesa. Anche se la chiesa affermava che chi non crede alle sue dottrine è fuori della chiesa, queste si sentivano cattolici fedeli a tutti gli effetti.

Certamente vi sono altrettanti credenti “evangelici” che, per scelta, lasciano perdere alcuni degli insegnamenti della Bibbia, morali o dottrinali, credendoli sorpassati, impraticabili o assurdi ai tempi nostri.

In altre parole, moltissime persone non credono, se sono cattoliche, al magistero della chiesa o, se sono evangeliche, all’infallibilità della Bibbia, come guide autorevoli della loro vita personale per quanto riguardo la morale o il comportamento. Mentono, fornicano, barano, calunniano senza il minimo senso di colpa, perché fa comodo, fa piacere, conviene, o perché “tutti lo fanno”.

Ho letto l’altro giorno un’interessante affermazione paradossale di un noto prete e teologo, Raion Panikkar, della chiesa di Roma: “Sono partito dall’Europa come cristiano [per visitare e conoscere l’India]. Ho scoperto che sono induista, e sono tornato come buddista, senza mai avere cessato di essere cristiano”.

Ma la verità è una, unica, eterna. È codice infallibile e inalterabile per il vero cristiano. Il resto è umanesimo accomodante, filosofia ingannevole, ma, soprattutto, errore mortale.
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martedì 14 settembre 2010

Troppe mogli sono pericolose

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Ma la legge non è più osservata

Scrivo di nuovo dall’America che è sempre piena di sorprese. Ho letto ieri di una vecchia legge dello stato del Kentucky, che vietava ad un uomo di avere più di quattro mogli durante tutta la sua vita, vedovanze, divorzi, abbandono e perfino bigamia compresi. Non ho trovato, comunque, una difesa logica della legge e perciò rimango leggermente confuso. Per quale motivo era permesso avere, per esempio, tre mogli e non cinque?

Si trattava, forse, di una legge basata su problemi economici, stato di salute, famiglie troppo numerose o, chissà, di pericoli morali? Ho paura che non lo saprò mai.

Forse i legislatori avevano deciso che un uomo normale non sarebbe riuscito, in una sola vita, ad amare più di quattro donne con tutto il cuore, per quanto si sforzasse. Oppure avevano pietà di lui e non volevano che dovesse sopportare le critiche e le pretese di più di quattro donne durante una sola vita.

La Bibbia propone, comunque, il matrimonio fra un solo uomo e una sola donna per tutta la vita come la norma, anche se un secondo matrimonio, se il primo coniuge muore, non è vietato.

Nei secoli passati, non era raro che una moglie morisse durante il parto e che il marito si trovasse con diversi figli da accudire¸ oppure che un marito morisse sul lavoro o in altri incidenti, e una donna si trovasse con più figli da curare e educare. In questi casi, era più che normale pensare ad un secondo matrimonio.

Ma, ai tempi nostri, questi casi di necessità sono più rari e spesso un secondo,terzo o quarto matrimonio sono risultati di divorzi basati su scelte personali di preferenza o di convenienza.

Si sente spesso il lamento: “Non lo amo più!” oppure: “Mi sono innamorato di un’altra”. In realtà, più che di un lamento, si tratta di una semplice confessione.

Ma l’amore non è una malattia da adolescenti, che dura poco e non lascia strascichi.

Il vero amore è un impegno serio, preso da un adulto altrettanto serio. L’amore non è una giocata alla lotteria, ma è l’unica possibile base delle promesse di un matrimonio che dura una vita.

Perciò, la persona seria riconosce che i propri difetti, immaturità e egoismo, messi a confronto con i difetti, immaturità e egoismo dell’altro coniuge, non promettono un viaggio tranquillo attraverso le vicissitudini della vita, ma, piuttosto, permettono di prevedere molti scogli, tempeste e scontri che solo un amore profondo riuscirà ad affrontare e superare.

Nel matrimonio, ogni coniuge è forzato a riconoscere e risolvere i problemi e i pericoli derivanti dai propri difetti, mentre si rende conto realisticamente dei difetti della persona che ha sposata, promettendole fedeltà e amore fino alla morte.

Infatti, il matrimonio è, fra altro, ma non solo, una specie di terreno minato, in cui i coniugi lavorano altruisticamente e umilmente per sminarlo e farne un giardino di pace e di gioia.

Cioè, un giardino d’amore.

Se non ci sei arrivato ancora, impegnati con pazienza e con la potenza della vita nuova che Cristo ti dà. Si tratta di una strada che può essere piena di problemi e di cambiamenti difficili, ma che ti donerà anche dei momenti di estrema felicità e di piacere che nessun’altra relazione potrebbe dare.
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martedì 7 settembre 2010

Tre principi riguardo ai soldi

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Pensaci prima di spendere

È giusto che il credente cerchi di spendere meno che può per mettere via quello che gli resta per il domani? Allora non vive più per fede! (Vedi il post della settimana scorsa).

Quasi quasi, sembra che, nel suo discorso sul monte, riguardo ai soldi, Gesù abbia incoraggiato il credente a essere irresponsabile e spendaccione.

Siccome gli uccelli non raccolgono il grano nei granai neanche tu devi preoccuparti del domani, ma puoi decidere di spendere ciò che hai, che Dio ti ha donato con il tuo lavoro, come ti pare. Senza alcun pensiero di ciò che ti potrebbe servire domani.

È possibile che questa sia la volontà di Dio per te?

No, Dio non vuole né che tu sia uno stolto che si occupa soltanto di arricchirsi come meglio puoi, né una farfalla che vola con leggerezza, e senza pensiero, giorno dopo giorno, da un fiore all’altro.

La Bibbia è un libro di prudenza, di autocontrollo, e di insegnamento sull’uso non soltanto dei tuoi soldi, ma anche del tuo tempo e della tua salute.

È un libro che insegna la moderazione e, innanzitutto, la sottomissione a Dio, in ciò che spendi, in ciò che doni a chi ha bisogno e in ciò che metti via per un sano uso domani.

Per capire questo, bisogna cominciare con le parole dell’apostolo Paolo: “Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Perché foste comprati a prezzo; glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Corinzi 6:19,20).

Poco prima, nella stessa lettera, Paolo aveva domandato: “Che ti distingue dagli altri? E che hai che non hai ricevuto?” (1 Corinzi 4:7).

L’insegnamento biblico è che ogni credente deve riconoscere che neanche il suo corpo appartiene a lui, ma a Dio, e che tutto ciò che ha gli è stato donato da Dio. Di conseguenza, il suo corpo e ciò che esso rende o può procurare, con il lavoro delle sue mani e con la sua mente, i soldi e i beni che ha, sono tutti proprietà di Dio. Il credente ne è soltanto il curatore, il custode, l’amministratore, incaricato da Dio a usare, spendere, impiegare ciò che appartiene a Dio per la sua gloria.

Allora, è possibile credere che l’insegnamento di Gesù, di non avere ansia per il domani, significhi che puoi spendere oggi tutto quello che hai, per comprare tutto ciò che vuoi? Intanto, al domani ci penserà Dio. Assolutamente no!

L’apostolo Pietro ha insegnato che il credente non deve spendere per apparire o per orgoglio: “Il vostro ornamento non sia l’esteriore… mettersi intorno dei gioielli d’oro o indossare vesti sontuose… ma l’ornamento incorruttibile dello spirito benigno e pacifico” (1 Pietro 3:3,4).

L’apostolo Giovanni avverte di non lavorare per accumulare dei beni solo per la propria soddisfazione: “Tutto quello che è del mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non è dal Padre, ma e dal mondo” (1 Giovanni 2:16). Queste “concupiscenze” potrebbero riguardare spese per vestiti, gioielli, orologi, macchine fotografiche, telefonini e tante altre cose che si comprano per il proprio piacere e non per bisogno.

L’apostolo Paolo ha anche insegnato il principio del risparmio, cioè del mettere via una parte dei propri soldi per un motivo sano: Perché i fratelli potessero mandare dei soldi per aiutare altri fratelli in bisogno, egli scrisse: “Ogni primo giorno della settimana ciascun di voi metta da parte a casa quel che potrà secondo la prosperità concessagli” (1 Corinzi 16:2). Così i credenti potevano programmare le donazioni necessarie per aiutare i fratelli in bisogno e non reagire solo emotivamente senza pensarci.

Da questi tre principi, vediamo che Gesù non ha mai voluto insegnare a spendere e spandere oggi, senza pensare al domani, credendo di ubbidire in questo modo al comando di Gesù.

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