martedì 18 giugno 2013

Poche parole, vere, amorevoli, giuste



Forse ti serve una guardia personale

“Tu parli troppo!”

Per questo motivo, degli amici, anche di lunga data, si sono separati per non salutarsi mai più. Per questo motivo, sono stati persi giochi di scacchi e di calcio, industrie e guerre, fortune e perfino la vita. Quanto varrebbe non parlare mai troppo?

Il libro dei Proverbi, nella Bibbia, è un libro di sapienza divina, con frasi brevi che ti colpiscono per la loro verità e per la praticità. Tu puoi imparare da loro il segreto del parlare bene, facendo del bene agli altri e anche a te stesso.
Ecco sono alcuni esempi.

“Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (Proverbi 10:19). Chi parla troppo dovrà rispondere per le cose sbagliate che dice. Perciò, chi si mette un freno e dice poco si dimostrerà prudente.

“La lingua del giusto è argento scelto; il cuore degli empi vale poco. Le labbra del giusto nutrono molti, ma gli stolti muoiono per mancanza di senno” (Proverbi 10:20,21). Chi dice le cose giuste e vere sarà un aiuto a chi l’ascolta, e lo aiuterà anche materialmente.

Purtroppo l’uso sbagliato della lingua è un problema di tutti, perciò anche tuo e mio.

Ecco un avvertimento della lettera di Giacomo: “Manchiamo tutti in molte cose. (Questo è un buon avvertimento da fare notare ai presuntuosi e orgogliosi, cioè a noi tutti. Ci dice da parte di Dio che “tutti sbagliamo”. Perciò, tutti devono fare attenzione a cosa dicono. Tutti sbagliano!E ciò non è tutto… tutti sbagliano in molte cose, dice Giacomo. La cosa più importante in cui sbagliamo è nel parlare!) Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo” (Giacomo 3:2).

C’è un rapporto molto stretto fra ciò che diciamo e il nostro rapporto con Dio. “Se uno pensa di essere religioso (cioè, se crede di essere a posto con Dio), ma poi non tiene a freno la sua lingua e inganna sé stesso, la sua religione è vana (inutile, senza valore) (Giacomo1:26).

Per aiutarsi a risolvere questo problema veramente imbarazzante e dannoso, il grande Re Davide, dell’Antico Testamento, ha scritto: “Signore, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l'uscio delle mie labbra” (Salmo 141:39). Soltanto con la preghiera e con l’aiuto di Dio, Davide poteva sperare di evitare di dire cose sbagliate che non onoravano Dio.

Ecco delle altre affermazioni che dovrebbero metterci tutti in guardia.

“Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (Proverbi 10:19).

“Chi sorveglia la sua bocca preserva la propria vita; chi apre troppo le labbra va incontro alla rovina” (Proverbi 13:3).

“La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l'ira. La lingua dei saggi è ricca di scienza, ma la bocca degli stolti sgorga follia. La lingua che calma è un albero di vita, ma la lingua perversa strazia lo spirito” (Proverbi 15:1,2,4).

Chi crede che la sua idea, la sua proposta, il suo giudizio, la sua opinione, siano sempre i migliori e desidera essere sempre il primo a parlare è, secondo la Bibbia, uno stolto, uno stupido. Giacomo, nella sua lettera parla anche di questo: “Sappiate questo, fratelli miei carissimi: che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira” (Giacomo 1:19).

In altre parole, ascolta prima di parlare, capisci le cose prima di parlare, sii lento, ragiona, calmo prima di parlare. Allora non ti arrabbierai e non dirai stupidaggini.

Un ultimo importante consiglio viene dall’Apostolo Paolo, nella sua lettera agli Efesini: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a chi l'ascolta” (Efesini 4:29).
 
Il credente saggio desidera soltanto e sempre dire solo parole “buone” (belle, armoniose, attraenti), che possono “edificare” (costruire, fortificare la fede e la vita spirituale) e che conferiscono “grazia” (cioè la benedizione di Dio). Dovrà spesso bloccare le prime parole che gli saltano in mente, spesso fare attenzione a non permettere mai che le parole “cattive”, (giudizi e opinioni personali, che sono dettati solo dalla carnalità) una volta dette, lo mettono subito dalla parte del torto.
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martedì 11 giugno 2013

Basta parole dette “invano”



Pulisci il tuo vocabolario


“Guglielmo, cosa ne pensi delle parole e nomi che anche i credenti usano a volte inutilmente, o anche delle parole “pie” intercalate senza senso?”


Hai ragione, molti credenti parlano senza rendersi conto di ciò che dicono! Ho sentito dei credenti, forse più anziani, dire, come un sospiro alla fine di una frase: “Signore, Signore”, “Signore mio!” o anche “Dio, Dio”.

Forse, se uno domandasse loro perché lo fanno, direbbero che è una breve preghiera, e che invocano l’aiuto del Signore sulle persone o le situazioni di cui hanno parlato. Forse risponderebbero che hanno bisogno del Signore durante tutto il giorno e che chiamare il suo nome è un modo di ricordarselo.

Senza dubbio, è vero che il Signore è sempre vicino ai suoi figli e che, quando si rendono conto di averne bisogno, è giusto che lo invochino. D’altra parte, avrei personalmente paura che ciò che uno dice “spesso” potrebbe diventare un’abitudine ripetuta senza pensarci, non con l’intenzione di pregare il Signore, ma, piuttosto, un’abitudine e basta.

E questo modo di fare sarebbe infatti vietato dal comandamento di non usare il nome del Signore “invano”. Certamente uno usa il nome del Signore “invano” quando diventa soltanto un tipo di scaramanzia, quando si usa il nome di Dio come una parola magica, ripetendo spesso frasi tipo: “Signore, aiutaci!”, “Signore, abbi pietà!”, “il Signore, sia con noi!”.

Non è la frase che è sbagliata, se esprime un sentito bisogno, ma, piuttosto, usare il nome del Signore ripetutamente, senza veramente pensarci, lo è. Ciò potrebbe fare sospettare qualcuno che certe parole o frasi sono inserite spesso nelle preghiere o nelle conversazioni allo scopo di fare credere che la persona che lo fa sia molto “pia” e molto spirituale.

Per evitare questi errori e false impressioni, Gesù ha sentito la necessità di insegnare ai suoi discepoli: “Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non fate dunque come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate” (Matteo 6:7,8).

Un altro simile errore da evitare è quello di inserire nelle conversazioni, come espressioni di sorpresa, parole come: “Madonna!”, “Cielo!”, “Signore mio!”, “Dio mio!”, “Perbacco!”, “Per la Madonna!”, “Per Satana!”, “Mamma mia!” e tante altre che sono inutili e, a volte, sacrileghe.

Il Signore ci insegna come imparare ad evitare le frasi e le parole sconce, invitandoci ad essere più stringati e precisi nelle nostre conversazioni. Parlare bene richiede un’opera di pulizia edi ordine nel nostro modo di parlare, per non offendere Dio e per non macchiare la nostra testimonianza di figli di Dio.

Infatti, Egli ha detto molto chiaramente: “Ma il vostro parlare sia: «Sì, sì; no, no»; poiché il di più viene dal maligno” (Matteo 5:37).

Un versetto di avvertimento secco mi piace da molti anni. Eccolo: “Anche lo stolto, quando tace, passa per saggio; chi tiene chiuse le labbra (come abitudine o proponimento) è un uomo intelligente” (Proverbi 17:28).

Alla prossima: vedremo come possiamo cambiare vita e diventare saggi.
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martedì 4 giugno 2013

Linguaggio sconcio


Una nuova moda da condannare 

Sei mai sorpreso, dispiaciuto, offeso, spaventato dal linguaggio sporco che senti alla televisione? O, peggio, che tuo figlio porta a casa dalla scuola elementare? Dalle parole, una volta vietate nella “buona” società, che senti per la strada o nel supermercato?

Ultimamente, giornalisti e autorità hanno commentato sul turpiloquio che è diventato parte normale del discorso politico, un linguaggio che non aggiunge nulla alla conversazione né serve a chiarire argomenti più o meno difficili.

Alle volte qualcuno mi ha avvertito, spaventato, del linguaggio che ha sentito usare fra fratelli di chiesa e qualcuno mi ha riportato delle parole inappropriate dette dal pulpito, o in una riunione di giovani.

Giustamente, possiamo domandarci dove andiamo a finire. Meglio, forse, domandarci dove va a finire il mondo in cui viviamo. Come se la Bibbia non ce lo avesse già detto!

Una volta, le affermazioni, in cui era usato il nome di Dio o di qualche divinità o santo, servivano a rinforzare l’importanza o la solennità di ciò che si diceva. Poi, sono diventate invocazioni e giuramenti detti con leggerezza totale, soltanto per l’effetto, senza tenere conto del significato preciso di ciò che si diceva. Da qui son passate ad essere soltanto delle bestemmie, per maledire Dio per le cose che succedono nella vita umana.

Su questa strada, il linguaggio diventa sempre più facilmente, anche per chi non si rende conto di ciò che dice, farcito con imprecazioni, invocazioni dell’intervento di qualche potere, giuramenti, parole che si riferiscono a organi del corpo, a sostanze o avvenimenti esecrandi, che permettono che il 10, 20 o 50 per cento della conversazione sia fatta di parole sconce e totalmente inutili per la corretta comunicazione di un pensiero.

Eppure, alcuni possono credere che usare il nome di Dio come testimone a ciò che dicono, o come giudice se dicono il falso, sia un modo legittimo e corretto di esprimersi. Qualcuno può pensare che, per sembrare più coinvolti nella cultura giovanile, sia utile inserire nel suo discorso una parolaccia di moda fra i giovani, sentendosi giustificati dallo scopo di farsi ascoltare e apprezzare.

La Bibbia ci insegna, invece, le basi giuste per l’uso della lingua. Prima, parlando delle conversazioni dei credenti, Gesù ha comandato: “Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero” (Matteo 5:34-36).

Perché non giurare? Gesù ci ha dato una risposta, che non è l’unica: noi dobbiamo dire normalmente e sempre la verità così che sia così ovvia a chi ci ascolta che non avrà bisogno di richiederci delle garanzie per confermare che le nostre parole sono sincere.

Gesù ha aggiunto al comandamento citato sopra questo avvertimento: “Ma il vostro parlare sia: «Sì, sì; no, no»; poiché il di più viene dal maligno” (Matteo 5:37).

Nella sua epistola, Giacomo, il fratello di Gesù e autorevole insegnante della chiesa a Gerusalemme, ha riconfermato le parole di Gesù per le chiese del Nuovo Testamento: “Soprattutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo, né per la terra, né con altro giuramento; ma il vostro sì, sia sì, e il vostro no, sia no, affinché non cadiate sotto il giudizio” (Giacomo 5:12).

Esaminiamo il nostro modo di parlare, o di sparlare, e martedì prossimo scriverò dei modi in cui tutti sbagliamo a volte.
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