.
E che gli uomini non riescono a creare
L’unità che Dio crea nella Chiesa e per cui Cristo ha pregato con efficacia, è illustrata in uno scritto dell’Apostolo Paolo nella lettera che ha indirizzato alla chiesa di Efeso, in cui spiega dei grandi misteri riguardo alla chiesa, la sua origine, il suo scopo, il suo modo di funzionare e il suo futuro.
Nel capitolo quattro di quella lettera, arriva a definire la realtà pratica che risulta da tutta la teoria e la dottrina che compongono i primi tre capitoli.
Nel primo versetto, appunto nel capitolo 4 della lettera agli Efesini, egli esorta i credenti “a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta”. Ecco il punto: se la tua conoscenza del piano di Dio, se la tua fede nell’opera compiuta per sola grazia, per mezzo della sola fede, non ha cambiato miracolosamente la tua vita, allora la tua religione cristiana è una farsa.
Vivere in un modo nuovo richiede dei cambiamenti profondi che tu non sei capace di realizzare per conto tuo. Però, se hai capito cosa vuole Dio, sei in grado di osservare e valutare la tua vita per vedere se è conforme al piano di Dio.
Se tu agisci con umiltà, invece che con orgoglio, se tu ti comporti con mansuetudine, cioè sottomissione volontaria al piano di Dio, se tu dimostri pazienza anziché irritabilità, e se, invece di pretendere che ognuno faccia ciò che vuoi tu, e come lo faresti tu, sei capace di “sopportare” amorevolmente e pazientement chi è diverso da te, permettendo allo Spirito Santo di Dio di agire in te, allora ti stai comportando, anche se imperfettamente, “in modo degno”. (Questo è il pensiero di Efesini 4:1-3).
Allora potrai imparare a partecipare all’unità dei credenti per cui Gesù ha pregato.
Vi sono sette pietre fondamentali su cui quest’unità si stabilisce e si sperimenta, nominate nei versetti 4-6 del capitolo quattro della lettera agli Efesini. Sono sette esempi di unità, che esistono unicamente per mezzo dell’opera di Dio, e dello Spirito Santo.
Primo, esiste “un corpo solo”, una chiesa sola, che non è stata inventata da un uomo, non ha un capo umano né un nome inventato dagli uomini.
In secondo luogo, il corpo di Cristo è fondato sull’opera di “un solo Spirito” che è Dio stesso, che compie la rigenerazione e la santificazione del credente. Perciò la chiesa non può essere divisa e neanche in conflitto fra le sue parti.
Terzo, tutti i membri del corpo sono stati chiamati da Dio a condividere “una sola speranza”, non di trionfi e richezze sulla terra, ma di un’eredità celeste (ved. capitolo 1:13,14).
Quarto, la Chiesa ha “un solo Signore”, Gesù Cristo stesso e non papi, moderatori, presidenti o profeti.
E, poi, la Chiesa ha “una sola fede”, cioè la rivelazione dottrinale contenuta infallibilmente nelle Sacre Scritture (vedi Giuda, v. 3), e non le profezie, rivelazioni o interpretazioni di altri uomini, donne o organizzazioni.
Sesto, la Chiesa ha la distinzione di esistere per mezzo di “un solo battesimo” che inserisce e conferma l’appartenenza spirituale del credente al corpo di Cristo (ved. Romani 6:3-5 e 1 Corinzi, 12:13). Questo battesimo avviene, per opera dello Spirito Santo, al momento della conversione di un individuo. Il battesimo in acqua del credente, dopo la sua conversione, è un’altra cosa. Esso è un comandamento di Dio, ma è solo la testimonianza della fede e dell’opera avvenuta nel credente, ma non crea l’unità fra il credente e Dio o fra il credente e la vera chiesa..
Settimo, la Chiesa crede in, “un solo Dio e Padre”, che esercita il suo dominio su tutta la terra e su tutti gli uomini, donando salvezza e vita eterna a ognuno che si pente dei propri peccati e crede in Lui.
Queste sette pietre fondamentali della vita cristiana sono gli elementi essenziali perché una persona possa dire che è unita con il Padre e con il Figlio per mezzo dell’opera dello Spirito Santo e che, perciò, in lui o lei è esaudita la preghiera di Gesù al Padre, “che tutti siano uno, come noi siamo uno, io in loro e tu in me”.
Ogni tentativo umano di unire tutti i cristiani in qualche organizzazione umana è falso e ingannevole. Non importa quale nome uno possa adoperare per dichiarare la sua identità cristiana, se non è unito con Dio in queste sette realtà, egli non fa parte del corpo e della chiesa di Cristo.
Ma, la manifestazione della vera unità della Chiesa non è facile. Vedremo perché nel prossimo blog.
.
martedì 29 dicembre 2009
martedì 22 dicembre 2009
Potremo veramente andare d’accordo?
.
Quando i cristiani diventano uno
Bisogna chiarire un po’ la situazione che stiamo discutendo. È vero che Gesù ha pregato “che tutti siano uno”, nei riguardi dei suoi discepoli e di quelli che avrebbero creduto in Lui per mezzo della loro predicazione.
Ma se l’ha detto in una preghiera, in una conversazione fra lui e il Padre, noi dobbiamo considerare le sue parole come una richiesta che noi dobbiamo in qualche modo esaudire? L’unità dei veri credenti nel Signore dipende da noi?
La semplice logica ci insegna che, quando Gesù chiedeva qualcosa al Padre nella preghiera, non chiedeva a noi di esaudire la sua preghiera! Nei versetti precedenti, nel vangelo di Giovanni, al capitolo 17, che riportano la preghiera di Gesù, Egli ha chiesto al Padre che “preservasse dal mondo” chi crede in Lui, e che “li santificasse nella Verità”. Ti pare che siano cose che dobbiamo fare noi? È un’assurdità! Gesù pregò che Dio facesse ciò che solo Lui è capace di fare a favore dei credenti, sia come individui sia come il corpo di Cristo.
E, poi, esattamente cosa ha chiesto nella preghiera, con le parole: “che tutti siano uno”? Che essi lottassero, brigassero, con congressi, commissioni, accordi scritti e cose simili per fare un’organizzazione che possa rappresentare totalmente la Chiesa? Assolutamente no! Soltanto chi è abituato a pensare alla chiesa come a un’organizzazione con capi, sottocapi, conti in banca e specialisti di comunicazione, può concepire una cosa simile. Ma sono deformazini umane, preconcetti completamente staccati dal pensiero biblico.
Infatti, Gesù ha detto chiaramente ciò che intendeva dire con la sua richiesta, indirizzata al Padre, “che tutti siano uno”. Le sue stesse parole continuano con questo pensiero: “affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità” (Giovanni 17:22,23).
Gesù non pregava che i suoi fratelli fossero uniti in un’organizzazione umana, forgiata nelle discussioni di teologia, ecclesiologia e psicologia. Non chiedeva che formassero una chiesa mondiale di nome “Cattolica” (che significa mondiale), né Protestante né evangelica. E non chiedeva neppure che lavorassero per anni per formare un Consiglio Ecumenico ( che significa “di tutto il mondo abitato”) delle Chiese.
Gesù pregava, invece, esattamente in linea con il pensiero e il piano di Dio, che tutti i credenti fossero uniti spiritualmente, perché, per mezzo della grazia di Dio, la fede in Gesù Cristo, e l’opera dello Spirito Santo, formassero un corpo spirituale, sottomesso al capo spirituale (che è Cristo). Questa opera continua dal giorno della fondazione della chiesa (alla Pentecoste), si realizza attraverso i secoli nell’opera divina di santifacazione dei credenti, e sarà conclusa nella perfezione quando i credenti raggiungeranno il loro Sposo celeste, Gesù Cristo, nel suo regno.
Solo allora questa preghiera avrà il suo compimento totale.
Per questo motivo, si può concludere in modo assoluto che tutti i movimenti, manovre e compromessi di uomini e donne, di chiese e denominazioni diverse, per unire tutte le organizzazioni che portano nel loro nome la parola “cristiana”, sono movimenti umani, carnali e, in ultima analisi, compiuti, anche se con le migliori intenzioni, in diretto contrasto con il piano di Dio.
Nel prossimo blog, vedremo ciò che Dio ha già compiuto e come opera oggi per unire i credenti.
.
Quando i cristiani diventano uno
Bisogna chiarire un po’ la situazione che stiamo discutendo. È vero che Gesù ha pregato “che tutti siano uno”, nei riguardi dei suoi discepoli e di quelli che avrebbero creduto in Lui per mezzo della loro predicazione.
Ma se l’ha detto in una preghiera, in una conversazione fra lui e il Padre, noi dobbiamo considerare le sue parole come una richiesta che noi dobbiamo in qualche modo esaudire? L’unità dei veri credenti nel Signore dipende da noi?
La semplice logica ci insegna che, quando Gesù chiedeva qualcosa al Padre nella preghiera, non chiedeva a noi di esaudire la sua preghiera! Nei versetti precedenti, nel vangelo di Giovanni, al capitolo 17, che riportano la preghiera di Gesù, Egli ha chiesto al Padre che “preservasse dal mondo” chi crede in Lui, e che “li santificasse nella Verità”. Ti pare che siano cose che dobbiamo fare noi? È un’assurdità! Gesù pregò che Dio facesse ciò che solo Lui è capace di fare a favore dei credenti, sia come individui sia come il corpo di Cristo.
E, poi, esattamente cosa ha chiesto nella preghiera, con le parole: “che tutti siano uno”? Che essi lottassero, brigassero, con congressi, commissioni, accordi scritti e cose simili per fare un’organizzazione che possa rappresentare totalmente la Chiesa? Assolutamente no! Soltanto chi è abituato a pensare alla chiesa come a un’organizzazione con capi, sottocapi, conti in banca e specialisti di comunicazione, può concepire una cosa simile. Ma sono deformazini umane, preconcetti completamente staccati dal pensiero biblico.
Infatti, Gesù ha detto chiaramente ciò che intendeva dire con la sua richiesta, indirizzata al Padre, “che tutti siano uno”. Le sue stesse parole continuano con questo pensiero: “affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità” (Giovanni 17:22,23).
Gesù non pregava che i suoi fratelli fossero uniti in un’organizzazione umana, forgiata nelle discussioni di teologia, ecclesiologia e psicologia. Non chiedeva che formassero una chiesa mondiale di nome “Cattolica” (che significa mondiale), né Protestante né evangelica. E non chiedeva neppure che lavorassero per anni per formare un Consiglio Ecumenico ( che significa “di tutto il mondo abitato”) delle Chiese.
Gesù pregava, invece, esattamente in linea con il pensiero e il piano di Dio, che tutti i credenti fossero uniti spiritualmente, perché, per mezzo della grazia di Dio, la fede in Gesù Cristo, e l’opera dello Spirito Santo, formassero un corpo spirituale, sottomesso al capo spirituale (che è Cristo). Questa opera continua dal giorno della fondazione della chiesa (alla Pentecoste), si realizza attraverso i secoli nell’opera divina di santifacazione dei credenti, e sarà conclusa nella perfezione quando i credenti raggiungeranno il loro Sposo celeste, Gesù Cristo, nel suo regno.
Solo allora questa preghiera avrà il suo compimento totale.
Per questo motivo, si può concludere in modo assoluto che tutti i movimenti, manovre e compromessi di uomini e donne, di chiese e denominazioni diverse, per unire tutte le organizzazioni che portano nel loro nome la parola “cristiana”, sono movimenti umani, carnali e, in ultima analisi, compiuti, anche se con le migliori intenzioni, in diretto contrasto con il piano di Dio.
Nel prossimo blog, vedremo ciò che Dio ha già compiuto e come opera oggi per unire i credenti.
.
martedì 15 dicembre 2009
LE DIFFERENZE FRA I CRISTIANI
.
Gesù ha parlato delle differenze
Gesù non solo diceva che vi sarebbero state differenze fra i cristiani, ma che sarebbero apparsi anche falsi cristi, proprio per ingannare chi crede in Lui.
Anzi, le profezie di Gesù sono spaventoli e non predicono nulla di buono per il futuro del mondo.
Egli disse, come è ricordato nel Vangelo di Matteo: “Molti si scandalizzeranno e si tradiranno e si odieranno a vicenda. E molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti” (Vangelo di Matteo, cap. 24:10,11). Che cosa ha a fare questa profezia con l’esortazione di Gesù ai credenti di amarsi ed essere uniti? Insomma, “che tutti siano uno”, come ha chiesto inpreghiera al Padre.
Poco più avanti nello stesso discorso citato sopra, Gesù disse: “Allora, se alcuno vi dice: «Il Cristo, eccolo qui, eccolo là», non lo credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti” (Matteo 24:23,24).
Dalle stesse parole di Gesù, c’è da aspettarsi non un progressivo sano movimento verso l’unità religiosa, ma, piuttosto, proprio il contrario: un tempo in cui falsi cristi e falsi profeti, nel nome della religione e perfino nel nome di Cristo stesso, cercheranno di ingannare e dividere i veri cristiani.
Anche l’apostolo Paolo era convinto di questa possibilità e scrisse di certi falsi profeti, nella sua lettera alla chiesa che era in Corinto: “Cotesti tali sono dei falsi apostoli, degli operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo. E non c’è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste da angelo di luce. Non è dunque gran che se anche i suoi ministri si travestono da ministri di giustizia; la fine loro sarà secondo le loro opere” (Seconda Epistola ai Corinzi, cap. 11, vv. 13-15).
Alla luce di queste parole di Gesù e di Paolo, è importante capire che il tentativo di unire tutti quelli che si chiamano cristiani, piuttosto che essere un tentativo buono che dovremmo per forza approvare, potrà essere, in alcuni casi, proprio il contrario, un tentativo di ingannare i veri cristiani e portarli lontani dalla verità.
Come possiamo noi, che desideriamo seguire solo il Signore, e non i suoi surrogati o imitatori ingannevoli, proteggerci e evitare di cadere nell’errore?
La prima cosa che dobbiamo ricordare è che non tutti quelli che si chiamano cristiani lo sono davvero. Altrimenti, Gesù non avrebbe dovuto avvertirci di “falsi cristi”. Possono vestirsi da cristiani o da prelati, possono usare parole che suonano piuttosto bene, che invitano all’unità e alla fedeltà a Dio. Possono citare la Bibbia e, forse, proprio le parole di Gesù: “che tutti siano uno”, falsamente.
Gesù dice che questi falsi cristi e falsi profeti avranno perfino il potere di fare miracoli e prodigi, e useranno questi loro miracoli come prove, secondo loro, che sono venuti da Dio e che chiunque si chiama cristiano dovrebbe seguirli.
Infatti, Gesù ci avverte che i tempi diventeranno non più facili, ma più difficili, e che i veri cristiani, piuttosto che unirsi facilmente con chiunque si presenta loro nel nome di Cristo, dovranno usare un discernimento spirituale particolarmente acuto, per evitare di cascare nella trappola di chi professa falsamente di seguire Cristo.
Ne parleremo la prossima volta.
Gesù ha parlato delle differenze
Gesù non solo diceva che vi sarebbero state differenze fra i cristiani, ma che sarebbero apparsi anche falsi cristi, proprio per ingannare chi crede in Lui.
Anzi, le profezie di Gesù sono spaventoli e non predicono nulla di buono per il futuro del mondo.
Egli disse, come è ricordato nel Vangelo di Matteo: “Molti si scandalizzeranno e si tradiranno e si odieranno a vicenda. E molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti” (Vangelo di Matteo, cap. 24:10,11). Che cosa ha a fare questa profezia con l’esortazione di Gesù ai credenti di amarsi ed essere uniti? Insomma, “che tutti siano uno”, come ha chiesto inpreghiera al Padre.
Poco più avanti nello stesso discorso citato sopra, Gesù disse: “Allora, se alcuno vi dice: «Il Cristo, eccolo qui, eccolo là», non lo credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti” (Matteo 24:23,24).
Dalle stesse parole di Gesù, c’è da aspettarsi non un progressivo sano movimento verso l’unità religiosa, ma, piuttosto, proprio il contrario: un tempo in cui falsi cristi e falsi profeti, nel nome della religione e perfino nel nome di Cristo stesso, cercheranno di ingannare e dividere i veri cristiani.
Anche l’apostolo Paolo era convinto di questa possibilità e scrisse di certi falsi profeti, nella sua lettera alla chiesa che era in Corinto: “Cotesti tali sono dei falsi apostoli, degli operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo. E non c’è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste da angelo di luce. Non è dunque gran che se anche i suoi ministri si travestono da ministri di giustizia; la fine loro sarà secondo le loro opere” (Seconda Epistola ai Corinzi, cap. 11, vv. 13-15).
Alla luce di queste parole di Gesù e di Paolo, è importante capire che il tentativo di unire tutti quelli che si chiamano cristiani, piuttosto che essere un tentativo buono che dovremmo per forza approvare, potrà essere, in alcuni casi, proprio il contrario, un tentativo di ingannare i veri cristiani e portarli lontani dalla verità.
Come possiamo noi, che desideriamo seguire solo il Signore, e non i suoi surrogati o imitatori ingannevoli, proteggerci e evitare di cadere nell’errore?
La prima cosa che dobbiamo ricordare è che non tutti quelli che si chiamano cristiani lo sono davvero. Altrimenti, Gesù non avrebbe dovuto avvertirci di “falsi cristi”. Possono vestirsi da cristiani o da prelati, possono usare parole che suonano piuttosto bene, che invitano all’unità e alla fedeltà a Dio. Possono citare la Bibbia e, forse, proprio le parole di Gesù: “che tutti siano uno”, falsamente.
Gesù dice che questi falsi cristi e falsi profeti avranno perfino il potere di fare miracoli e prodigi, e useranno questi loro miracoli come prove, secondo loro, che sono venuti da Dio e che chiunque si chiama cristiano dovrebbe seguirli.
Infatti, Gesù ci avverte che i tempi diventeranno non più facili, ma più difficili, e che i veri cristiani, piuttosto che unirsi facilmente con chiunque si presenta loro nel nome di Cristo, dovranno usare un discernimento spirituale particolarmente acuto, per evitare di cascare nella trappola di chi professa falsamente di seguire Cristo.
Ne parleremo la prossima volta.
martedì 8 dicembre 2009
I CRISTIANI SONO TUTTI UGUALI
.
Ma forse no! Ed è un disastro
Molte volte, quando i credenti si trovano insieme in grandi incontri, hanno la sensazione di essere quasi usciti dal mondo per ritrovarsi in cielo, alla presenza del Signore.
Quando rimettono i piedi per terra, a casa loro, scoprono che esistono ancora differenze e dissidi fra loro, come sempre. O che si tratti delle differenze fra le diverse chiese, le sette e le organizzazioni religiose. O he si tratti, purtroppo, soltanto di scontri e antipatie nella loro piccola chiesa locale, l’accordo non si trova.
Eppure, come si ricorda spesso, e particolarmente quando tutti i cristiani sono di buon umore durante le feste di fine anno, Gesù aveva davvero pregato “che siano tutti uno”. Si tratta di una preghiera sua, forse l’unica, che non è stata esaudita?
Ora, nel ventunesimo secolo, le chiese cristiane sono piombate in tempi difficili. Sono pochi quelli che le seguono ancora con sincero fervore, e tanti che si professano cristiani senza sapere veramente cosa voglia dire.
Cattolici, protestanti, evangelici si ripiegano sul fatto che Gesù ha insegnato che bisogna amare tutti, perfino i nemici e che, in fondo, tutti ci riconosceranno come cristiani non tanto dalla nostra dottrina né della nostra fedeltà alle pratiche religiose, ma dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri. Basta lasciare da parte tutte le differenze inutili, le tradizioni, i dogmi, i sacramenti e le scomuniche storiche per abbracciarci e tuffarci tutti insieme nell’oceano dell’amore.
Sembra facile, ma non lo è! Infatti, alcuni cristiani sono attaccati alle loro dottrine, altri pensano che certe usanze, come il battesimo e la cena del Signore, non si dovrebbero buttare alle ortiche con tanto entusiasmo.
Da una parte, alcuni, pure non intendendo salvare nulla del cristianesimo storico per loro stessi, sono pronti, comunque, a lasciare in pace quelli che ancora ci credono, e bonariamente riconoscere che sono, in qualche modo, ammirevoli per la loro sincerità.
Altri, invece, considerano l’attaccamento di questi “fedeli” a cose antiche una manifestazione di ostinato oscurantismo e giudicano il loro tentativo di tenersi separati da chi ha già abbandonato le cose vecchie, come un’atteggiamento antisociale e pericoloso per la pace nazionale e mondiale.
Ma basta saperne anche solo un po’ sulle religioni, sulle dottrine e le usanze dei diversi movimenti e sulle chiese cristiane per rendersi conto che esistono fra loro delle differenze abissali. Alcuni credono che la Bibbia sia senza errori, altri che sia piena di leggende e incongruenze.
Alcuni credono che Gesù sia Dio e altri che Lui stesso non l’ha neppure mai pensato, ma che altri, forse lo stesso Paolo, lo hanno interpretato male.
Alcuni credono che Dio abbia basato la salvezza dell’uomo, che si era e si è ribellato a Lui, sulla morte e la risurrezione di Gesù. Altri che Gesù è morto solo per dimostrare fino a quale punto bisogna amare il prossimo, ma che la sua morte non abbia avuto niente a che fare con la salvezza di altri uomini.
Alcuni credono che il Papa, circondato e sostenuto dal vescovi, interpreti fedelmente e infallibilmente la Bibbia. Altri credono che il Papa sia solo un uomo che esprime le sue idee e basta.
Allora, a questo punto è logico e necessario domandarsi se sarà mai possibile che le religioni possano vivere in pace e addirittura unirsi in un’unica religione universale.
Citerò altre parole di Gesù, la prossima volta, che potranno aiutarci ad avvicinarci alla verita.
Ma forse no! Ed è un disastro
Molte volte, quando i credenti si trovano insieme in grandi incontri, hanno la sensazione di essere quasi usciti dal mondo per ritrovarsi in cielo, alla presenza del Signore.
Quando rimettono i piedi per terra, a casa loro, scoprono che esistono ancora differenze e dissidi fra loro, come sempre. O che si tratti delle differenze fra le diverse chiese, le sette e le organizzazioni religiose. O he si tratti, purtroppo, soltanto di scontri e antipatie nella loro piccola chiesa locale, l’accordo non si trova.
Eppure, come si ricorda spesso, e particolarmente quando tutti i cristiani sono di buon umore durante le feste di fine anno, Gesù aveva davvero pregato “che siano tutti uno”. Si tratta di una preghiera sua, forse l’unica, che non è stata esaudita?
Ora, nel ventunesimo secolo, le chiese cristiane sono piombate in tempi difficili. Sono pochi quelli che le seguono ancora con sincero fervore, e tanti che si professano cristiani senza sapere veramente cosa voglia dire.
Cattolici, protestanti, evangelici si ripiegano sul fatto che Gesù ha insegnato che bisogna amare tutti, perfino i nemici e che, in fondo, tutti ci riconosceranno come cristiani non tanto dalla nostra dottrina né della nostra fedeltà alle pratiche religiose, ma dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri. Basta lasciare da parte tutte le differenze inutili, le tradizioni, i dogmi, i sacramenti e le scomuniche storiche per abbracciarci e tuffarci tutti insieme nell’oceano dell’amore.
Sembra facile, ma non lo è! Infatti, alcuni cristiani sono attaccati alle loro dottrine, altri pensano che certe usanze, come il battesimo e la cena del Signore, non si dovrebbero buttare alle ortiche con tanto entusiasmo.
Da una parte, alcuni, pure non intendendo salvare nulla del cristianesimo storico per loro stessi, sono pronti, comunque, a lasciare in pace quelli che ancora ci credono, e bonariamente riconoscere che sono, in qualche modo, ammirevoli per la loro sincerità.
Altri, invece, considerano l’attaccamento di questi “fedeli” a cose antiche una manifestazione di ostinato oscurantismo e giudicano il loro tentativo di tenersi separati da chi ha già abbandonato le cose vecchie, come un’atteggiamento antisociale e pericoloso per la pace nazionale e mondiale.
Ma basta saperne anche solo un po’ sulle religioni, sulle dottrine e le usanze dei diversi movimenti e sulle chiese cristiane per rendersi conto che esistono fra loro delle differenze abissali. Alcuni credono che la Bibbia sia senza errori, altri che sia piena di leggende e incongruenze.
Alcuni credono che Gesù sia Dio e altri che Lui stesso non l’ha neppure mai pensato, ma che altri, forse lo stesso Paolo, lo hanno interpretato male.
Alcuni credono che Dio abbia basato la salvezza dell’uomo, che si era e si è ribellato a Lui, sulla morte e la risurrezione di Gesù. Altri che Gesù è morto solo per dimostrare fino a quale punto bisogna amare il prossimo, ma che la sua morte non abbia avuto niente a che fare con la salvezza di altri uomini.
Alcuni credono che il Papa, circondato e sostenuto dal vescovi, interpreti fedelmente e infallibilmente la Bibbia. Altri credono che il Papa sia solo un uomo che esprime le sue idee e basta.
Allora, a questo punto è logico e necessario domandarsi se sarà mai possibile che le religioni possano vivere in pace e addirittura unirsi in un’unica religione universale.
Citerò altre parole di Gesù, la prossima volta, che potranno aiutarci ad avvicinarci alla verita.
martedì 1 dicembre 2009
Il futuro di Darwin è in dubbio?
.
Dopo 200 anni l’evoluzione s’invecchia
Spesso si cerca di dare l’impressione, nella cultura moderna, che le teorie di Darwin sull’evoluzione siano descrizioni scientifiche di fatti veramente accaduti e che chi non è pronto a dare questa importanza al padre della storia dell’evoluzione della terra, è volutamente ignorante e accecato da fondamentalismi religiosi insostenibili.
È interessante però che, proprio in quest’anno, in cui Darwin è stato festeggiato in tutto il mondo, si stia formando e fortificando un attacco frontale alle sue teorie e ai suoi sostenitori.
Fra queste novità vi è il libro appena uscito, dal titolo: CHARLES DARWIN OLTRE LE COLONNE D’ERCOLE, con il sottotitolo: Protagonisti, fatti, idee e strategie del dibattito sulle origini e sull’evoluzione. L’autore è Michael Georgiev, medico chirurgo del Centro di Malattie Vascolari dell’Università di Ferrara, appassionato dell’argomento, già da quando era studente alle scuole medie superiori nella sua città natale, Sofia, in Bulgaria.
Fra le cose che i professori delle scuole superiori e delle università più o meno consciamente cercano di tenere nascoste sono gli innumerevoli volumi scritti da uomini di scienza che rivelano crepe nelle teorie basilari della teoria dell’evoluzione. E non rivelano ai loro studenti il numero di scienziati che apertamente dichiarano la loro poca fiducia nella possibilità di provare scientificamente che l’evoluzione, come descritta da Darwin e altri suoi successori, sia possibile o probabile.
È profondamente illuminante e interessante, allora, lo schema del libro di Georgiev, che descrive le origini e lo sviluppo sia dell’evoluzionismo sia dell’opposizione all’evoluzionismo, gia diversi secoli prima della nascita di Gesù e fino ad ora.
In realtà, praticamente ogni argomento che Darwin e altri hanno proposto come prove dell’evoluzionismo è stato contrastato e respinto da altri scienziati altrettanto autorevoli. In genere, le scuole e le autorità non fanno conoscere questo lato della discussione sulle origini del mondo e dell’uomo.
La posizione della casta scientifica sull’evoluzione non è, allora, il risultato della scoperta di prove incontestabili, ma, piuttosto, della scelta filosofica di respingere la possibilità dell’esistenza di un Dio di cui si può conoscere sia il pensiero sia le opere attraverso la sua autorivelazione. E non basta dire che la scienza si occupa solo di cose che si possono provare per mezzo della scienza e che, per questo motivo, non si occupa di realtà spirituali invisibili e non dimostrabili scientificamente.
Perché la verità e molto diversa da quanto affermata. Infatti, la maggior parte delle basi teoriche dell’evoluzione non sono mai state dimostrate scientificamente e non lo possono essere. Si tratta di ipotesi e teorie, per non dire fantasie, essenziali per sostenere l’insieme dell’impalcatura della teoria dell’evoluzione.
Il libro di Georgiev, il cui testo è appoggiato da una moltitudine di note, con riferimenti a studi scientifici, è scritto, comunque, con uno stile semplice e accessibile a qualsiasi lettore con un’istruzione media.
Edito da Gribaudi, il libro è in vendita nelle librerie e vale la pena leggerlo.
.
Dopo 200 anni l’evoluzione s’invecchia
Spesso si cerca di dare l’impressione, nella cultura moderna, che le teorie di Darwin sull’evoluzione siano descrizioni scientifiche di fatti veramente accaduti e che chi non è pronto a dare questa importanza al padre della storia dell’evoluzione della terra, è volutamente ignorante e accecato da fondamentalismi religiosi insostenibili.
È interessante però che, proprio in quest’anno, in cui Darwin è stato festeggiato in tutto il mondo, si stia formando e fortificando un attacco frontale alle sue teorie e ai suoi sostenitori.
Fra queste novità vi è il libro appena uscito, dal titolo: CHARLES DARWIN OLTRE LE COLONNE D’ERCOLE, con il sottotitolo: Protagonisti, fatti, idee e strategie del dibattito sulle origini e sull’evoluzione. L’autore è Michael Georgiev, medico chirurgo del Centro di Malattie Vascolari dell’Università di Ferrara, appassionato dell’argomento, già da quando era studente alle scuole medie superiori nella sua città natale, Sofia, in Bulgaria.
Fra le cose che i professori delle scuole superiori e delle università più o meno consciamente cercano di tenere nascoste sono gli innumerevoli volumi scritti da uomini di scienza che rivelano crepe nelle teorie basilari della teoria dell’evoluzione. E non rivelano ai loro studenti il numero di scienziati che apertamente dichiarano la loro poca fiducia nella possibilità di provare scientificamente che l’evoluzione, come descritta da Darwin e altri suoi successori, sia possibile o probabile.
È profondamente illuminante e interessante, allora, lo schema del libro di Georgiev, che descrive le origini e lo sviluppo sia dell’evoluzionismo sia dell’opposizione all’evoluzionismo, gia diversi secoli prima della nascita di Gesù e fino ad ora.
In realtà, praticamente ogni argomento che Darwin e altri hanno proposto come prove dell’evoluzionismo è stato contrastato e respinto da altri scienziati altrettanto autorevoli. In genere, le scuole e le autorità non fanno conoscere questo lato della discussione sulle origini del mondo e dell’uomo.
La posizione della casta scientifica sull’evoluzione non è, allora, il risultato della scoperta di prove incontestabili, ma, piuttosto, della scelta filosofica di respingere la possibilità dell’esistenza di un Dio di cui si può conoscere sia il pensiero sia le opere attraverso la sua autorivelazione. E non basta dire che la scienza si occupa solo di cose che si possono provare per mezzo della scienza e che, per questo motivo, non si occupa di realtà spirituali invisibili e non dimostrabili scientificamente.
Perché la verità e molto diversa da quanto affermata. Infatti, la maggior parte delle basi teoriche dell’evoluzione non sono mai state dimostrate scientificamente e non lo possono essere. Si tratta di ipotesi e teorie, per non dire fantasie, essenziali per sostenere l’insieme dell’impalcatura della teoria dell’evoluzione.
Il libro di Georgiev, il cui testo è appoggiato da una moltitudine di note, con riferimenti a studi scientifici, è scritto, comunque, con uno stile semplice e accessibile a qualsiasi lettore con un’istruzione media.
Edito da Gribaudi, il libro è in vendita nelle librerie e vale la pena leggerlo.
.
martedì 24 novembre 2009
Cercansi genitori adatti
.
Chi decide chi e degno?
I bambini senza genitori ci colpiscono e toccano le nostre emozioni. Speriamo che possano trovare delle persone buone che, forse, non hanno potuto avere figli e che li possano adottare.
Come credenti, pensiamo quanto sarebbe bello che una famiglia di credenti potesse adottarli e farli crescere in una casa piena di amore, amore fra bambini e genitori, amore fra la famiglia e Dio.
Poco tempo fa ho letto di una famiglia inglese a cui i servizi sociali avevano tolto i bambini, perché i genitori non erano considerati adatti. Infatti, erano obesi! Non avevo mai saputo che l’obesità fosse una crimine o che le persone obese non potessero essere buoni genitori. Ma sembra, secondo il parere di alcuni, che l’obesità sia una tale offesa al buon costume che gli obesi non possono curare bene i loro figli. Si dice che incoraggino i figli a diventare obesi!
Era interessante che, sullo stesso giornale, si parlava del fatto che i servizi sociali inglesi avevano deciso di affidare dei figli senza genitori a coppie di omosessuali, per curarli. Non voglio paragonare le persone obese alle persone omosessuali, né dare solo una mia opinione su quali siano i più adatte a curare i bambini.
Comunque, la decisione presa dai servizi sociali inglesi mi ha stupito.
È un fatto molto chiaro, nella Bibbia, che Dio ha creato la prima coppia composta di un maschio e una femmina. E Dio aveva affidato loro il compito di generare figli e curarli per conto di Dio. A me sembra una buona idea, dato che Dio non ha dato alle coppie unisex le facoltà necessarie per fare figli.
Infatti, sembra molto chiaro nella Bibbia che Dio non abbia proprio inteso stabilire delle coppie fatte di soli uomini o di sole donne. Avrà avuto i suoi buoni motivi. E, poi, come Creatore, aveva tutti i diritti di fare come credeva bene. Non ho mai sentito che vi siano altri creatori che hanno deciso, per conto loro, di fare diversamente.
Perciò, per quello che sappiamo di Dio nella Bibbia, Egli ha inteso che i genitori di bambini fossero coppie fatte di un uomo e una donna. E basta.
Ora, penso che sia chiaro, per quanto riguarda le coppie obese, che fisicamente non stiano troppo bene. Il troppo peso può fare male al cuore o ad altre funzioni e rendere più difficile e più breve la vita. Ciò mi dispiace e potrebbe, forse, impedire che delle persone così siano in grado di curare e educare i loro figli finché non diventino adulti. Certo, questo è un punto negativo.
Ma non ho mai sentito, e se tu l’hai sentito, scrivimi, che gli obesi siano meno capaci di amare i loro bambini o di educarli moralmente e spiritualmente dei genitori longilinei, ovvero magri. È mai possibile che solo i magri siano dei buoni genitori? Mi sembra assurdo.
Ma, non solo viviamo in un mondo assurdo, viviamo in un mondo in cui basta avere una laurea per credere di essere più intelligenti e più buoni di Dio stesso. Se Lui vuol dare i figli agli obesi, sbaglia, e noi glieli togliamo e così vedremo chi è più potente, Dio o noi, penserà qualcuno.
L’Apostolo Paolo ha scritto che dobbiamo cercare di vivere in pace con tutti, e anche Gesù ha insegnato così, ma, amici miei, è difficile farlo in un mondo in cui vi sono tante cose storte e in cui chi crede alla Bibbia è considerato stupido in partenza, addirittura prima che apra la bocca.
.
Chi decide chi e degno?
I bambini senza genitori ci colpiscono e toccano le nostre emozioni. Speriamo che possano trovare delle persone buone che, forse, non hanno potuto avere figli e che li possano adottare.
Come credenti, pensiamo quanto sarebbe bello che una famiglia di credenti potesse adottarli e farli crescere in una casa piena di amore, amore fra bambini e genitori, amore fra la famiglia e Dio.
Poco tempo fa ho letto di una famiglia inglese a cui i servizi sociali avevano tolto i bambini, perché i genitori non erano considerati adatti. Infatti, erano obesi! Non avevo mai saputo che l’obesità fosse una crimine o che le persone obese non potessero essere buoni genitori. Ma sembra, secondo il parere di alcuni, che l’obesità sia una tale offesa al buon costume che gli obesi non possono curare bene i loro figli. Si dice che incoraggino i figli a diventare obesi!
Era interessante che, sullo stesso giornale, si parlava del fatto che i servizi sociali inglesi avevano deciso di affidare dei figli senza genitori a coppie di omosessuali, per curarli. Non voglio paragonare le persone obese alle persone omosessuali, né dare solo una mia opinione su quali siano i più adatte a curare i bambini.
Comunque, la decisione presa dai servizi sociali inglesi mi ha stupito.
È un fatto molto chiaro, nella Bibbia, che Dio ha creato la prima coppia composta di un maschio e una femmina. E Dio aveva affidato loro il compito di generare figli e curarli per conto di Dio. A me sembra una buona idea, dato che Dio non ha dato alle coppie unisex le facoltà necessarie per fare figli.
Infatti, sembra molto chiaro nella Bibbia che Dio non abbia proprio inteso stabilire delle coppie fatte di soli uomini o di sole donne. Avrà avuto i suoi buoni motivi. E, poi, come Creatore, aveva tutti i diritti di fare come credeva bene. Non ho mai sentito che vi siano altri creatori che hanno deciso, per conto loro, di fare diversamente.
Perciò, per quello che sappiamo di Dio nella Bibbia, Egli ha inteso che i genitori di bambini fossero coppie fatte di un uomo e una donna. E basta.
Ora, penso che sia chiaro, per quanto riguarda le coppie obese, che fisicamente non stiano troppo bene. Il troppo peso può fare male al cuore o ad altre funzioni e rendere più difficile e più breve la vita. Ciò mi dispiace e potrebbe, forse, impedire che delle persone così siano in grado di curare e educare i loro figli finché non diventino adulti. Certo, questo è un punto negativo.
Ma non ho mai sentito, e se tu l’hai sentito, scrivimi, che gli obesi siano meno capaci di amare i loro bambini o di educarli moralmente e spiritualmente dei genitori longilinei, ovvero magri. È mai possibile che solo i magri siano dei buoni genitori? Mi sembra assurdo.
Ma, non solo viviamo in un mondo assurdo, viviamo in un mondo in cui basta avere una laurea per credere di essere più intelligenti e più buoni di Dio stesso. Se Lui vuol dare i figli agli obesi, sbaglia, e noi glieli togliamo e così vedremo chi è più potente, Dio o noi, penserà qualcuno.
L’Apostolo Paolo ha scritto che dobbiamo cercare di vivere in pace con tutti, e anche Gesù ha insegnato così, ma, amici miei, è difficile farlo in un mondo in cui vi sono tante cose storte e in cui chi crede alla Bibbia è considerato stupido in partenza, addirittura prima che apra la bocca.
.
martedì 17 novembre 2009
LA CARTA STRADALE PER IL CIELO
.
Non è sbagliato chiedere chiarimenti
I discepoli, turbati dai discorsi di Gesù sulla sua prossima morte, erano confusi quando Egli disse loro che dove andava Lui sarebbero andati pure loro. “Del luogo dove io vado sapete anche la via” disse.
Tommaso, che spesso viene soprannominato “il dubbioso”, ha fatto in tempo a mostrare proprio quella sua qualità. “Non sappiamo dove vai” obbiettò, “Come possiamo sapere la via?”.
Gesù aspettava proprio quella domanda, perché gli permise di fare una delle affermazioni più importanti della sua vita. Egli desiderava che i discepoli, e che anche tu ed io, sapessimo esattamente come vivere con Lui eternamente. Questo segreto avrebbe tolto loro per sempre la paura della morte.
Ecco l’indicazione stradale di cui gli apostoli avevano bisogno: “Io sono la VIA, la VERITÀ e la VITA; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.
Non è più necessario che qualcuno faccia mai più queste domande: “Come posso essere salvato dai miei peccati? Come posso conoscere la verità? Cosa significa avere la vita nuova?”.
La risposta è contenuta in una sola parola, un solo nome: GESÙ. Egli è la risposta a tutte le domande che riguardano la salvezza, il perdono dei peccati, la vita eterna, la grazia e l’amore divino.
Tanta gente domanda: “Qual è la religione giusta? Qual è la chiesa migliore? Come faccio a riconoscerla?”.
La risposta semplice e chiara della Bibbia è questa: non hai bisogno di trovare nessuna religione, nessuna chiesa, nessuna pratica religiosa. Nessuna di queste ti porta alla salvezza. Gesù Cristo solo è “la via”. Se ti avvicini a Lui attraverso la lettura della Bibbia, se ti fidi di Lui, comprendendo il sacrificio che ha fatto per la tua salvezza, se ubbidisci a Lui come tuo Signore, hai trovato la risposta alle tue domande. Perché Egli è la via della salvezza. Egli è l’unica verità e ogni verità esistente trova il suo centro in Lui. Egli solo possiede la vita eterna e la dona a chi crede in Lui.
Infatti Gesù ha chiuso questa sua rivelazione della sua persona, dicendo: “Nessuno viene al Padre (a Dio) se non per mezzo di me”. Nessuna'altra persona del passato (apostoli, madonna, santi o martiri ), nessuna persona vivente (sacerdoti, Papa o guru) ti potrà portare al Padre.
Non è sbagliato chiedere, come ha fatto l’apostolo Tommaso, chiarimenti e consigli direttamente a Gesù. Essi sono scritti nel vangelo, ma è importante, quando hai capito la sua risposta, che tu te ne fidi e ponga tutta la tua fede in Lui.
Non è sbagliato chiedere chiarimenti
I discepoli, turbati dai discorsi di Gesù sulla sua prossima morte, erano confusi quando Egli disse loro che dove andava Lui sarebbero andati pure loro. “Del luogo dove io vado sapete anche la via” disse.
Tommaso, che spesso viene soprannominato “il dubbioso”, ha fatto in tempo a mostrare proprio quella sua qualità. “Non sappiamo dove vai” obbiettò, “Come possiamo sapere la via?”.
Gesù aspettava proprio quella domanda, perché gli permise di fare una delle affermazioni più importanti della sua vita. Egli desiderava che i discepoli, e che anche tu ed io, sapessimo esattamente come vivere con Lui eternamente. Questo segreto avrebbe tolto loro per sempre la paura della morte.
Ecco l’indicazione stradale di cui gli apostoli avevano bisogno: “Io sono la VIA, la VERITÀ e la VITA; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.
Non è più necessario che qualcuno faccia mai più queste domande: “Come posso essere salvato dai miei peccati? Come posso conoscere la verità? Cosa significa avere la vita nuova?”.
La risposta è contenuta in una sola parola, un solo nome: GESÙ. Egli è la risposta a tutte le domande che riguardano la salvezza, il perdono dei peccati, la vita eterna, la grazia e l’amore divino.
Tanta gente domanda: “Qual è la religione giusta? Qual è la chiesa migliore? Come faccio a riconoscerla?”.
La risposta semplice e chiara della Bibbia è questa: non hai bisogno di trovare nessuna religione, nessuna chiesa, nessuna pratica religiosa. Nessuna di queste ti porta alla salvezza. Gesù Cristo solo è “la via”. Se ti avvicini a Lui attraverso la lettura della Bibbia, se ti fidi di Lui, comprendendo il sacrificio che ha fatto per la tua salvezza, se ubbidisci a Lui come tuo Signore, hai trovato la risposta alle tue domande. Perché Egli è la via della salvezza. Egli è l’unica verità e ogni verità esistente trova il suo centro in Lui. Egli solo possiede la vita eterna e la dona a chi crede in Lui.
Infatti Gesù ha chiuso questa sua rivelazione della sua persona, dicendo: “Nessuno viene al Padre (a Dio) se non per mezzo di me”. Nessuna'altra persona del passato (apostoli, madonna, santi o martiri ), nessuna persona vivente (sacerdoti, Papa o guru) ti potrà portare al Padre.
Non è sbagliato chiedere, come ha fatto l’apostolo Tommaso, chiarimenti e consigli direttamente a Gesù. Essi sono scritti nel vangelo, ma è importante, quando hai capito la sua risposta, che tu te ne fidi e ponga tutta la tua fede in Lui.
martedì 10 novembre 2009
IL GIORNO DEI “MORTI”
.
Quante riflessioni inutili
Paura di morire. Tante domande. Perché si muore? Cosa succede dopo la morte?
Poco prima della sua morte, Gesù si era incontrato con i suoi discepoli per mangiare la cena della Pasqua.
E Gesù disse loro, dopo avere annunziato la sua morte imminente: “Il vostro cuore non sia turbato”. Egli vedeva chiaramente sulle loro facce e sentiva nel tono della loro voce, la paura. Ma, davanti alla morte, tutti hanno paura. Soffrirò tanto? Dove si va quando si muore? Merito la grazia di Dio o la punizione?
È una bella esortazione mista a rimprovero: “Non siate turbati!” Ma sembra poco realistica, poco adatta.
L’ansia, il turbamento sono più che giustificati. Come si può vincerli?
Gesù aggiunse: “Credete in Dio; credete anche in me”. Certo, davanti ad una realtà così spaventevole, ci vuole pure la fede. Ma tu pensi: io vorrei anche capirci qualcosa. Non è sbagliato rispondere a domande sincere e basilari, proponendo, al posto della ragione, la fede?
La verità è questa: la realtà della morte, non solo del corpo, ma anche della personalità, è così vasta che la tua mente non arriverebbe mai a comprenderla. Potresti pensarci 24 ore al giorno, leggere migliaia di libri e non venirne mai a capo. La scienza, la logica, la ragione non bastano. E non sono neanche l’unico mezzo per conoscere e comprendere la verità.
La morte è uno di quegli argomenti che gli uomini hanno meditato e discusso da milenni e non sono arrivati ancora a capire. Anzi, se non arrivi ad affidarti alla fede, non la capirai mai. Credere non è, comunque, rinunziare alla logica e alla mente.
È piuttosto, il riconoscere che vi sono certi tipi di verità che possono essere esaminate e provate scientificamente, e altri tipi di verità che, quando affermate e spiegate da qualcuno che le comprende, debbono essere riconosciute e accettate soltanto per fede.
Per noi, che non abbiamo ora né coscienza né conoscenza della nostra esistenza prima della nascita e dopo la morte, queste realtà ci devono essere spiegate da qualcuno che ha una conoscenza non limitata alle realtà fisiche o materiali. E queste verità si comprendono soltanto per fede.
Sono esattamente questi tipi di verità che Gesù ha messo davanti agli apostoli in quel momento. Verità che non si possono investigare scientificamente, ma che non sono per questo motivo affatto meno reali né meno certe.
“Mio Padre vive in una casa così grande che ha posto per tutti quelli che verranno ad abitare con noi. Ma io devo ancora partecipare alla sua preparazione. Perciò, fra poco vi lascerò, ma non preoccupatevi, perché io certamente ritornerò per portare ognuno di voi nella casa celeste dove vivremo per sempre senza più sofferenze, malattie o morte.”
A te, che leggi, questo sembra un racconto fittizio come quello di Pinocchio o di Cenerentola? Da un lato lo è! Perché non puoi chiedere né ricevere delle prove scientifiche che si tratti di verità. Ma, da un altro lato, è molto convincente logicamente. Perché? Perché la logica stessa ti insegna che non puoi vedere né misurare ciò che Dio ha creato in un altro mondo. Quel mondo è vero quanto la sedia su cui sei seduto, o la forchetta che usi per mangiare, ma queste sono cose di questo mondo, e nessuna logica può dimostrare o provare che non esistono altri mondi, altre realtà che per te sono ora invisibili, ma che potrai vedere e sperimentare nel futuro, come Gesù ha promesso.
Ed è per questo che Gesù disse agli apostoli e che dice a te: “Pensi alla morte, ma non la comprendi? Ti spaventa perché fa parte dell’ignoto? «Il tuo cuore non sia turbato»”. Egli controlla tutto e non c’è nulla da temere, se tu sei pronto ad andare da Lui quando ti chiama.
Come esserne pronto? Lo descriverò la prossima volta.
Quante riflessioni inutili
Paura di morire. Tante domande. Perché si muore? Cosa succede dopo la morte?
Poco prima della sua morte, Gesù si era incontrato con i suoi discepoli per mangiare la cena della Pasqua.
E Gesù disse loro, dopo avere annunziato la sua morte imminente: “Il vostro cuore non sia turbato”. Egli vedeva chiaramente sulle loro facce e sentiva nel tono della loro voce, la paura. Ma, davanti alla morte, tutti hanno paura. Soffrirò tanto? Dove si va quando si muore? Merito la grazia di Dio o la punizione?
È una bella esortazione mista a rimprovero: “Non siate turbati!” Ma sembra poco realistica, poco adatta.
L’ansia, il turbamento sono più che giustificati. Come si può vincerli?
Gesù aggiunse: “Credete in Dio; credete anche in me”. Certo, davanti ad una realtà così spaventevole, ci vuole pure la fede. Ma tu pensi: io vorrei anche capirci qualcosa. Non è sbagliato rispondere a domande sincere e basilari, proponendo, al posto della ragione, la fede?
La verità è questa: la realtà della morte, non solo del corpo, ma anche della personalità, è così vasta che la tua mente non arriverebbe mai a comprenderla. Potresti pensarci 24 ore al giorno, leggere migliaia di libri e non venirne mai a capo. La scienza, la logica, la ragione non bastano. E non sono neanche l’unico mezzo per conoscere e comprendere la verità.
La morte è uno di quegli argomenti che gli uomini hanno meditato e discusso da milenni e non sono arrivati ancora a capire. Anzi, se non arrivi ad affidarti alla fede, non la capirai mai. Credere non è, comunque, rinunziare alla logica e alla mente.
È piuttosto, il riconoscere che vi sono certi tipi di verità che possono essere esaminate e provate scientificamente, e altri tipi di verità che, quando affermate e spiegate da qualcuno che le comprende, debbono essere riconosciute e accettate soltanto per fede.
Per noi, che non abbiamo ora né coscienza né conoscenza della nostra esistenza prima della nascita e dopo la morte, queste realtà ci devono essere spiegate da qualcuno che ha una conoscenza non limitata alle realtà fisiche o materiali. E queste verità si comprendono soltanto per fede.
Sono esattamente questi tipi di verità che Gesù ha messo davanti agli apostoli in quel momento. Verità che non si possono investigare scientificamente, ma che non sono per questo motivo affatto meno reali né meno certe.
“Mio Padre vive in una casa così grande che ha posto per tutti quelli che verranno ad abitare con noi. Ma io devo ancora partecipare alla sua preparazione. Perciò, fra poco vi lascerò, ma non preoccupatevi, perché io certamente ritornerò per portare ognuno di voi nella casa celeste dove vivremo per sempre senza più sofferenze, malattie o morte.”
A te, che leggi, questo sembra un racconto fittizio come quello di Pinocchio o di Cenerentola? Da un lato lo è! Perché non puoi chiedere né ricevere delle prove scientifiche che si tratti di verità. Ma, da un altro lato, è molto convincente logicamente. Perché? Perché la logica stessa ti insegna che non puoi vedere né misurare ciò che Dio ha creato in un altro mondo. Quel mondo è vero quanto la sedia su cui sei seduto, o la forchetta che usi per mangiare, ma queste sono cose di questo mondo, e nessuna logica può dimostrare o provare che non esistono altri mondi, altre realtà che per te sono ora invisibili, ma che potrai vedere e sperimentare nel futuro, come Gesù ha promesso.
Ed è per questo che Gesù disse agli apostoli e che dice a te: “Pensi alla morte, ma non la comprendi? Ti spaventa perché fa parte dell’ignoto? «Il tuo cuore non sia turbato»”. Egli controlla tutto e non c’è nulla da temere, se tu sei pronto ad andare da Lui quando ti chiama.
Come esserne pronto? Lo descriverò la prossima volta.
martedì 3 novembre 2009
SERVA, SCHIAVA… O? — 3
.
Un pericolo al femminile
Quando il marito considera sua moglie o serva o schiava, il matrimonio sarà più guerra che guarigione. Ma anche la moglie può sbagliare e rovinare tutto.
Questo è il caso in cui la moglie non è né serva né schiava, ma….. sciocca!
Un proverbio del saggio Salomone dice: “La donna savia edifica la sua casa, ma la stolta l’abbatte con le proprie mani”.
Purtroppo, la donna stolta non sa né quando è saggio parlare né quando è essenziale stare zitta. Il grande re e saggio Salomone ha anche detto: “Un gocciolar continuo in giorno di gran pioggia e una donna rissosa sone cose che si somigliano”.
Continuare a parlare, o per insistere che si ha ragione o per insistere che l’altro ha torto, è una follia che costa cara, perché rende impossibile trovare la via della pace. Purtroppo, le parole servono per non solo per lodare, esprimere simpatia, incoraggiare o perdonare ma anche per stancare, separare e seppellire una relazione.
L’abitudine di volere uscire vincitrice da una lite, dicendo “l’ultima parola”, cioè facendo la battuta che chiude una conversazione (magari con un po’ di malizia o di orgoglio) non ha mai portato bene a nessuno. È spesso un tentativo vigliacco di fare finta di avere avuto ragione nonostante la chiara evidenza del contrario.
Molte mogli si sentono incomprese, poco apprezzate, trascurate o offese, e tentano di riguadagnare la superiorità ripetendo all’infinito le stesse critiche offensive del marito. Tipo: “Tu mangi sempre troppo!” “Non mi aiuti mai!” “Perché non ti occupi tu un po’ dei bambini?” “Tu dai sempre ragione a tua mamma quando mi critica!”.
Sembra impossibile credere che queste donne pensino di ottenere l’affetto e la stima dei loro mariti criticandoli. Non esiste e non è mai esistito un marito che sia stato attirato ad amare di più sua moglie ascoltando le sue critiche (magari, anche giuste!).
Queste sono, come disse Salomone, “un gocciolare continuo in giorno di gran pioggia”, un rumore noioso che gli uomini cercano di ignorare e a cui sfuggire.
Infatti, “la stolta abbatte (la sua casa) con le proprie mani”.
La donna savia, invece, userà la sua intuizione, il suo desiderio di mostrare il suo amore per suo marito ed essere amata da lui, per sviluppare un’atmosfera di comprensione e di amore nell’accogliere suo marito, nel domandargli della sua giornata (e cambiando argomento, se lui non ne vuol parlare!). Lo ringrazierà o lo loderà per qualsiasi pensiero o azione che lei può interpretare come un segno della sua attenzione verso di lei, per ciò che le interessa o le serve.
Nessuno, né marito né moglie, deve pensare che lo stato attuale del loro matrimono, o del loro amore, sia fissato per sempre. Difatti, la realtà più ovvia nella vita è che niente rimane fermo o statico: tutto cambia, tutto si trasforma. Così è anche nel matrimonio: ciò che esso è oggi assolutamente NON è ciò che sarà domani. Infatti, peggiorerà o migliorerà. Quale sarà la differenza?
“La donna savia edifica la sua casa…” disse Salomone. Disse pure: “La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l’ira”.
La scelta è tua.
Un pericolo al femminile
Quando il marito considera sua moglie o serva o schiava, il matrimonio sarà più guerra che guarigione. Ma anche la moglie può sbagliare e rovinare tutto.
Questo è il caso in cui la moglie non è né serva né schiava, ma….. sciocca!
Un proverbio del saggio Salomone dice: “La donna savia edifica la sua casa, ma la stolta l’abbatte con le proprie mani”.
Purtroppo, la donna stolta non sa né quando è saggio parlare né quando è essenziale stare zitta. Il grande re e saggio Salomone ha anche detto: “Un gocciolar continuo in giorno di gran pioggia e una donna rissosa sone cose che si somigliano”.
Continuare a parlare, o per insistere che si ha ragione o per insistere che l’altro ha torto, è una follia che costa cara, perché rende impossibile trovare la via della pace. Purtroppo, le parole servono per non solo per lodare, esprimere simpatia, incoraggiare o perdonare ma anche per stancare, separare e seppellire una relazione.
L’abitudine di volere uscire vincitrice da una lite, dicendo “l’ultima parola”, cioè facendo la battuta che chiude una conversazione (magari con un po’ di malizia o di orgoglio) non ha mai portato bene a nessuno. È spesso un tentativo vigliacco di fare finta di avere avuto ragione nonostante la chiara evidenza del contrario.
Molte mogli si sentono incomprese, poco apprezzate, trascurate o offese, e tentano di riguadagnare la superiorità ripetendo all’infinito le stesse critiche offensive del marito. Tipo: “Tu mangi sempre troppo!” “Non mi aiuti mai!” “Perché non ti occupi tu un po’ dei bambini?” “Tu dai sempre ragione a tua mamma quando mi critica!”.
Sembra impossibile credere che queste donne pensino di ottenere l’affetto e la stima dei loro mariti criticandoli. Non esiste e non è mai esistito un marito che sia stato attirato ad amare di più sua moglie ascoltando le sue critiche (magari, anche giuste!).
Queste sono, come disse Salomone, “un gocciolare continuo in giorno di gran pioggia”, un rumore noioso che gli uomini cercano di ignorare e a cui sfuggire.
Infatti, “la stolta abbatte (la sua casa) con le proprie mani”.
La donna savia, invece, userà la sua intuizione, il suo desiderio di mostrare il suo amore per suo marito ed essere amata da lui, per sviluppare un’atmosfera di comprensione e di amore nell’accogliere suo marito, nel domandargli della sua giornata (e cambiando argomento, se lui non ne vuol parlare!). Lo ringrazierà o lo loderà per qualsiasi pensiero o azione che lei può interpretare come un segno della sua attenzione verso di lei, per ciò che le interessa o le serve.
Nessuno, né marito né moglie, deve pensare che lo stato attuale del loro matrimono, o del loro amore, sia fissato per sempre. Difatti, la realtà più ovvia nella vita è che niente rimane fermo o statico: tutto cambia, tutto si trasforma. Così è anche nel matrimonio: ciò che esso è oggi assolutamente NON è ciò che sarà domani. Infatti, peggiorerà o migliorerà. Quale sarà la differenza?
“La donna savia edifica la sua casa…” disse Salomone. Disse pure: “La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l’ira”.
La scelta è tua.
martedì 27 ottobre 2009
Serva, schiava o… salvezza? — 2
.
Bisogna andare oltre i luoghi comuni
È vero che, quando Dio ha creato la donna, ha detto qualcosa che gli uomini intendono, purtroppo, come vogliono.
“Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che gli sia convenevole.”
“Convenevole” NON vuol dire che la moglie sappia solo lavare piatti e lucidare le scarpe. Infatti, “convenevole” vuol dire, in parole pratiche, che Dio ha inteso mettere accanto all’uomo una creatura perfetta, squisita e amorevole, adatta e capace di completare ciò che serve nella sua vita, per vivere bene, felicemente, nel benesssere, nella pace, nella gioia e piena realizzazione dei piani di Dio, sia per l’uomo, sia per la coppia, sia per la famiglia.
Gli anni della “liberazione femminile”, in gran parte scatenata dall’incomprensione degli uomini verso le loro mogli, hanno dimostrato che le donne sono capaci di fare molte delle cose che hanno fatto sempre gli uomini e di farle bene: medici, scienziati, commercanti, imprenditori, operai, impiegati, professionisti di ogni categoria.
Come mai gli uomini non l’avevano scoperto, prima della guerra fra i sessi? Perché spesso andavano avanti ciecamente, nella loro cultura maschilista, ignorando il fatto che Dio, quando ha creato Adamo ed Eva, ha affidato loro, come coppia, la cura e lo sviluppo di tutte le possibilità e le gioie dell’intero creato.
Ma, dal momento dell’ingresso del peccato nella coppia, la collaborazione è stata sostituita dalla competizione, l’apprezzamento delle capacità e delle realizzazioni dell’altro, dalla pazza corsa da parte di ciascuno ad innalzare se stesso.
E così, a causa del peccato, l’uomo ha perso il più bel dono che Dio gli ha voluto dare: il pieno godimento e la soddisfazione dell’unità della coppia e dei benefici meravigliosi, spirituali, emotivi, intellettuali e fisici che sono frutto della collaborazione, comunione e comunicazione di due essere fatti a immagine di Dio e liberi e desiderosi di esprimere ogni loro capacità anche per il bene dell’altro.
È soltanto quando l’uomo nuovo in Cristo impara, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio, che può dire sinceramente e con piena convinzione a sua moglie: “Io ho bisogno di te! Senza di te non posso trovare né la gioia né le benedizioni che Dio mi vuole dare”.
E la moglie può rispondere, quando ha imparato, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio: “Io esisto per aiutarti. Permettimi di collaborare con te perché tu possa essere e fare tutto ciò che Dio vuole che tu sia”.
Non è facile per due esseri peccatori, neanche quando diventano figli di Dio per mezzo della “nuova nascita” spirituale, aprirsi totalmente per vivere una vita di amorevole dipendenza l’uno dell’altro.
Ma è soltanto quando, nella convinzione della coppia, la moglie non è più né serva né schiava, che lei può diventare la “salvezza” della coppia stessa, nel senso che, dedicandosi alla collaborazione col marito e al compimento del piano di Dio, diventa la spinta, la forza, la colla che permette a due persone diverse di diventare, in effetti, una sola.
Ovviamente, queste non sono vittorie che si conquistano in un momento, ma sono la conquista di una vita vissuta in due, sotto la guida di Dio. Sia il marito che la moglie devono imparare, attraverso le prove e le difficoltà, i tentativi e i successi, cosa significa donare ognuno la vita per l’altro.
La prossima volta: un pericolo che non dipende dal marito.
Bisogna andare oltre i luoghi comuni
È vero che, quando Dio ha creato la donna, ha detto qualcosa che gli uomini intendono, purtroppo, come vogliono.
“Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che gli sia convenevole.”
“Convenevole” NON vuol dire che la moglie sappia solo lavare piatti e lucidare le scarpe. Infatti, “convenevole” vuol dire, in parole pratiche, che Dio ha inteso mettere accanto all’uomo una creatura perfetta, squisita e amorevole, adatta e capace di completare ciò che serve nella sua vita, per vivere bene, felicemente, nel benesssere, nella pace, nella gioia e piena realizzazione dei piani di Dio, sia per l’uomo, sia per la coppia, sia per la famiglia.
Gli anni della “liberazione femminile”, in gran parte scatenata dall’incomprensione degli uomini verso le loro mogli, hanno dimostrato che le donne sono capaci di fare molte delle cose che hanno fatto sempre gli uomini e di farle bene: medici, scienziati, commercanti, imprenditori, operai, impiegati, professionisti di ogni categoria.
Come mai gli uomini non l’avevano scoperto, prima della guerra fra i sessi? Perché spesso andavano avanti ciecamente, nella loro cultura maschilista, ignorando il fatto che Dio, quando ha creato Adamo ed Eva, ha affidato loro, come coppia, la cura e lo sviluppo di tutte le possibilità e le gioie dell’intero creato.
Ma, dal momento dell’ingresso del peccato nella coppia, la collaborazione è stata sostituita dalla competizione, l’apprezzamento delle capacità e delle realizzazioni dell’altro, dalla pazza corsa da parte di ciascuno ad innalzare se stesso.
E così, a causa del peccato, l’uomo ha perso il più bel dono che Dio gli ha voluto dare: il pieno godimento e la soddisfazione dell’unità della coppia e dei benefici meravigliosi, spirituali, emotivi, intellettuali e fisici che sono frutto della collaborazione, comunione e comunicazione di due essere fatti a immagine di Dio e liberi e desiderosi di esprimere ogni loro capacità anche per il bene dell’altro.
È soltanto quando l’uomo nuovo in Cristo impara, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio, che può dire sinceramente e con piena convinzione a sua moglie: “Io ho bisogno di te! Senza di te non posso trovare né la gioia né le benedizioni che Dio mi vuole dare”.
E la moglie può rispondere, quando ha imparato, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio: “Io esisto per aiutarti. Permettimi di collaborare con te perché tu possa essere e fare tutto ciò che Dio vuole che tu sia”.
Non è facile per due esseri peccatori, neanche quando diventano figli di Dio per mezzo della “nuova nascita” spirituale, aprirsi totalmente per vivere una vita di amorevole dipendenza l’uno dell’altro.
Ma è soltanto quando, nella convinzione della coppia, la moglie non è più né serva né schiava, che lei può diventare la “salvezza” della coppia stessa, nel senso che, dedicandosi alla collaborazione col marito e al compimento del piano di Dio, diventa la spinta, la forza, la colla che permette a due persone diverse di diventare, in effetti, una sola.
Ovviamente, queste non sono vittorie che si conquistano in un momento, ma sono la conquista di una vita vissuta in due, sotto la guida di Dio. Sia il marito che la moglie devono imparare, attraverso le prove e le difficoltà, i tentativi e i successi, cosa significa donare ognuno la vita per l’altro.
La prossima volta: un pericolo che non dipende dal marito.
mercoledì 21 ottobre 2009
SERVA, SCHIAVA O SALVEZZA?
.
Una domanda che fa vergogna
La risposta giusta alla domanda di sopra è… salvezza.
Ma troppi rispondono (o vorrebbero rispondere, se solo osassero): “serva” o addirittura “schiava”.
Sto riferendomi, se non l’hai già capito, alla femmina della specie e, più precisamente, alla moglie.
Il disprezzo della donna non è dimostrato soltanto nello stupro, anche se questo male bestiale sta diventando sempre più comune in Italia. I giornali spesso cercano di far capire che si tratta soltanto di maschi extra-comunitari, ma ciò è vero solo in parte.
Però il disprezzo è un’altra cosa, che cambia la donna in oggetto, oggetto da fare ammirare dagli altri (per mostrarsi importante) quando è fidanzata (e, fra la gente più “evoluta”, molte ragazze non vanno mai oltre a questa categoria, perché i maschi chiamano la convivente “fidanzata” e cambiano fidanzata a ogni stagione.
Ma, fra la gente più comune, è facile che la moglie sia serva se non addirittura schiava. Se “non lavora” (bell’eufemismo per dire che non porta soldi a casa), diventa serva o schiava perché il suo compito è poco importante. Deve solo curare la casa, fare la spesa, cucinare, lavare, stirare, badare ai bambini, badare al parente malato e, poi, essere sempre disponibile a soddisfare i desideri del marito.
E perché mai il marito dovrebbe occuparsi di lei, dei suoi bisogni, dei suoi desideri, delle sue occupazioni e proccupazioni, dolori e sofferenze? È lei che deve soddisfare lui, non lui che deve soddisfare lei.
Purtroppo, con “l’emancipazione” della donna, col fatto che molte mogli lavorano fuori casa, hanno uno stipendio e possono comprarsi vestiti, bigiotteria, accessori, la donna non è davvero liberata, ma è resa più schiava. Oltre a servire e piacere al marito, ora deve servire e piacere al suo datore di lavoro. Oltre a passare otto ore in un lavoro stressante fra gente che non lei è simpatica, deve tornare a casa e lavorare altre otto ore per fare la moglie e la brava donna di casa, mentre il marito guarda la televisione o scende “per qualche minuto” a salutare gli amici al bar. O, se è credente, “fa qualche visita evangelistica”.
È un mistero che, mentre le parole “mogli, siate soggette al vostro marito” sono scritte a lettere di fuoco nella Bibbia dei mariti, non si trova mai quell’altra frase: “I mariti debbono amare le loro mogli, come i propri corpi”, per cui sarebbe naturale che le “nutrissero e curassero teneramente”.
Il disprezzo del marito per sua moglie, per essere qualcosa di colpevole, non dev’essere espresso in scenate, sfuriate, grida e critiche, perché bastano l’indifferenza e la trascuratezza. È quell’atteggiamento che dice: “Io la tratto benissimo, le dò sempre i soldi che le servono per la casa e non la maltratto mai” che fa di lei la serva che, quando ha avuto i soldi dovuti, non deve chiedere altro.
E, in questa situazione, chi è, secondo voi, che ci perde di più? La moglie o il marito? Da marito, vi posso dire con assoluta certezza: è il marito che sta perdendo il godimento di uno dei più grandi tesori che Dio gli ha donati.
Mi spiegherò meglio nel prossimo blog.
.
Una domanda che fa vergogna
La risposta giusta alla domanda di sopra è… salvezza.
Ma troppi rispondono (o vorrebbero rispondere, se solo osassero): “serva” o addirittura “schiava”.
Sto riferendomi, se non l’hai già capito, alla femmina della specie e, più precisamente, alla moglie.
Il disprezzo della donna non è dimostrato soltanto nello stupro, anche se questo male bestiale sta diventando sempre più comune in Italia. I giornali spesso cercano di far capire che si tratta soltanto di maschi extra-comunitari, ma ciò è vero solo in parte.
Però il disprezzo è un’altra cosa, che cambia la donna in oggetto, oggetto da fare ammirare dagli altri (per mostrarsi importante) quando è fidanzata (e, fra la gente più “evoluta”, molte ragazze non vanno mai oltre a questa categoria, perché i maschi chiamano la convivente “fidanzata” e cambiano fidanzata a ogni stagione.
Ma, fra la gente più comune, è facile che la moglie sia serva se non addirittura schiava. Se “non lavora” (bell’eufemismo per dire che non porta soldi a casa), diventa serva o schiava perché il suo compito è poco importante. Deve solo curare la casa, fare la spesa, cucinare, lavare, stirare, badare ai bambini, badare al parente malato e, poi, essere sempre disponibile a soddisfare i desideri del marito.
E perché mai il marito dovrebbe occuparsi di lei, dei suoi bisogni, dei suoi desideri, delle sue occupazioni e proccupazioni, dolori e sofferenze? È lei che deve soddisfare lui, non lui che deve soddisfare lei.
Purtroppo, con “l’emancipazione” della donna, col fatto che molte mogli lavorano fuori casa, hanno uno stipendio e possono comprarsi vestiti, bigiotteria, accessori, la donna non è davvero liberata, ma è resa più schiava. Oltre a servire e piacere al marito, ora deve servire e piacere al suo datore di lavoro. Oltre a passare otto ore in un lavoro stressante fra gente che non lei è simpatica, deve tornare a casa e lavorare altre otto ore per fare la moglie e la brava donna di casa, mentre il marito guarda la televisione o scende “per qualche minuto” a salutare gli amici al bar. O, se è credente, “fa qualche visita evangelistica”.
È un mistero che, mentre le parole “mogli, siate soggette al vostro marito” sono scritte a lettere di fuoco nella Bibbia dei mariti, non si trova mai quell’altra frase: “I mariti debbono amare le loro mogli, come i propri corpi”, per cui sarebbe naturale che le “nutrissero e curassero teneramente”.
Il disprezzo del marito per sua moglie, per essere qualcosa di colpevole, non dev’essere espresso in scenate, sfuriate, grida e critiche, perché bastano l’indifferenza e la trascuratezza. È quell’atteggiamento che dice: “Io la tratto benissimo, le dò sempre i soldi che le servono per la casa e non la maltratto mai” che fa di lei la serva che, quando ha avuto i soldi dovuti, non deve chiedere altro.
E, in questa situazione, chi è, secondo voi, che ci perde di più? La moglie o il marito? Da marito, vi posso dire con assoluta certezza: è il marito che sta perdendo il godimento di uno dei più grandi tesori che Dio gli ha donati.
Mi spiegherò meglio nel prossimo blog.
.
martedì 13 ottobre 2009
Chi ha preso il mio posto?
.
Perché non posso farlo io?
Hai mai sentito che i credenti lottano per potere servire il Signore? Mi dicono che succede.
È sicuro che Dio ha intenzione di usare tutti i veri credenti perché lo servano, e che non manca il lavoro da fare. Ma chi lo deve fare? Quando? Come?
Un passo biblico molto bello a questo riguardo è Efesini 2:10: “Infatti, noi siamo opera (di Dio), essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le buone opere, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo”.
In queste parole, l’apostolo Paolo dichiara che Dio ha ci ha creati spiritualmente per servirlo, facendo quelle opere che sono appropriate per noi, nella nostra propria situazione di vita.
Proprio parlando di questo versetto, ultimamente una donna credente (non so da dove venisse) mi ha detto: “Nella nostra comunità, i credenti litigano per fare le opere che Dio ha preparate per loro!”.
Sono rimasto stupito: “Ma come? Perché litigare?”.
“Perché una vuole suonare il pianoforte, ma un’altra lo sta già facendo. Un’altra vuole cantare e un’altra insegnare nella Scuola domenicale. Ma ci sono altre che lo stanno già facendo. Perciò si accusano l’una con l’altra: «Tu mi stai impedendo di fare le opere che Dio ha preparate per me!»”
Allora, mi è toccato spiegare un po’ le cose. Innanzi tutto, le “buone opere” non sono i ministeri della chiesa. È chiaro che, se una chiesa locale avesse 50 o 100 membri, non tutti potrebbero essere impegnati in un ministero pubblico durante il culto o in altre riunioni.
Le “buone” opere sono tutte le attività della vita quotidiana, in famiglia, al lavoro o in altri ambienti, in cui è possibile e necessario comportarsi non da svogliati né trascuratamente, ma facendole proponendosi di farle il meglio possibile. Se fatte per la gloria di Dio, per piacere Dio e per il bene degli altri, sono “buone” opere.
Perciò, ho detto a quella sorella in fede: “Se la donna che vuole fare le buone opere ha una casa sua, e lava bene il pavimento, lo fa alla gloria di Dio. Questo è certamente un compito che il Signore le ha dato. Se è sposata, stiri bene la camicia di suo marito alla gloria di Dio. Non avrà bisogno di litigare con nessuno per poterlo fare.”
Come ha scritto l’apostolo Paolo, nella stessa epistola agli Efesini in cui ha parlato delle opere buone che Dio ha preparate, ha detto anche: “Non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini.”
E, ai Colossesi, ha scritto: “Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Sginore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l’eredità. Servite Cristo, il Signore!”.
Le persone invidiose, che litigano per fare i compiti più in vista nella chiesa, o quelli che, forse, considerano di maggiore prestigio, sono, ovviamente, dei bambini, qualunque età possano avere e da quanto tempo possano essere credenti.
E, d’altra parte, anche quelle persone che, nella vita di chiesa, hanno un compito e si aggrappano fermamente ad esso come a un diritto personale, si comportano altrettanto come bambini orgogliosi.
Nessuno serve veramente il Signore se mosso da orgoglio, invidia o spirito di parte.
Nel famoso invito che ha fatto a tutti gli stanchi e sfiniti, di venire a lui, Gesù ha detto anche: “Imparate da me, perchè io sono mansueto e umile di cuore, e voi troverete riposo per le vostre anime”.
In realtà, nessuno impedisce ad un altro di servire il Signore, se quella persona è pronta a farlo con umiltà e fedeltà, proprio là dove il Signore l’ha messo.
Spero che tu non stia invidiando il posto di un altro.
Perché non posso farlo io?
Hai mai sentito che i credenti lottano per potere servire il Signore? Mi dicono che succede.
È sicuro che Dio ha intenzione di usare tutti i veri credenti perché lo servano, e che non manca il lavoro da fare. Ma chi lo deve fare? Quando? Come?
Un passo biblico molto bello a questo riguardo è Efesini 2:10: “Infatti, noi siamo opera (di Dio), essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le buone opere, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo”.
In queste parole, l’apostolo Paolo dichiara che Dio ha ci ha creati spiritualmente per servirlo, facendo quelle opere che sono appropriate per noi, nella nostra propria situazione di vita.
Proprio parlando di questo versetto, ultimamente una donna credente (non so da dove venisse) mi ha detto: “Nella nostra comunità, i credenti litigano per fare le opere che Dio ha preparate per loro!”.
Sono rimasto stupito: “Ma come? Perché litigare?”.
“Perché una vuole suonare il pianoforte, ma un’altra lo sta già facendo. Un’altra vuole cantare e un’altra insegnare nella Scuola domenicale. Ma ci sono altre che lo stanno già facendo. Perciò si accusano l’una con l’altra: «Tu mi stai impedendo di fare le opere che Dio ha preparate per me!»”
Allora, mi è toccato spiegare un po’ le cose. Innanzi tutto, le “buone opere” non sono i ministeri della chiesa. È chiaro che, se una chiesa locale avesse 50 o 100 membri, non tutti potrebbero essere impegnati in un ministero pubblico durante il culto o in altre riunioni.
Le “buone” opere sono tutte le attività della vita quotidiana, in famiglia, al lavoro o in altri ambienti, in cui è possibile e necessario comportarsi non da svogliati né trascuratamente, ma facendole proponendosi di farle il meglio possibile. Se fatte per la gloria di Dio, per piacere Dio e per il bene degli altri, sono “buone” opere.
Perciò, ho detto a quella sorella in fede: “Se la donna che vuole fare le buone opere ha una casa sua, e lava bene il pavimento, lo fa alla gloria di Dio. Questo è certamente un compito che il Signore le ha dato. Se è sposata, stiri bene la camicia di suo marito alla gloria di Dio. Non avrà bisogno di litigare con nessuno per poterlo fare.”
Come ha scritto l’apostolo Paolo, nella stessa epistola agli Efesini in cui ha parlato delle opere buone che Dio ha preparate, ha detto anche: “Non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini.”
E, ai Colossesi, ha scritto: “Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Sginore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l’eredità. Servite Cristo, il Signore!”.
Le persone invidiose, che litigano per fare i compiti più in vista nella chiesa, o quelli che, forse, considerano di maggiore prestigio, sono, ovviamente, dei bambini, qualunque età possano avere e da quanto tempo possano essere credenti.
E, d’altra parte, anche quelle persone che, nella vita di chiesa, hanno un compito e si aggrappano fermamente ad esso come a un diritto personale, si comportano altrettanto come bambini orgogliosi.
Nessuno serve veramente il Signore se mosso da orgoglio, invidia o spirito di parte.
Nel famoso invito che ha fatto a tutti gli stanchi e sfiniti, di venire a lui, Gesù ha detto anche: “Imparate da me, perchè io sono mansueto e umile di cuore, e voi troverete riposo per le vostre anime”.
In realtà, nessuno impedisce ad un altro di servire il Signore, se quella persona è pronta a farlo con umiltà e fedeltà, proprio là dove il Signore l’ha messo.
Spero che tu non stia invidiando il posto di un altro.
lunedì 28 settembre 2009
I vecchi miti non muoiono mai!
.
I “santi” finti fanno solo ridere
Ma, chi ha mai detto che… il vero credente non soffre mai di depressione?
Che i credenti col “cuore puro”… non peccano mai?
Che i matrimoni dei veri credenti… vanno sempre lisci?
Che coloro che predicano… devono essere sempre d’accordo su ogni interpretazione biblica?
Questi ed altri miti cercano di presentare una chiesa più perfetta della realtà, di fare finta che ogni credente sia un “santo” che non sbaglia mai. Ma questi “santi” che credono di non sbagliare mai, sono in verità peccatori camuffati e fanno solo ridere. O piangere. O fare rabbia. O spingere altri a andarsene dalle chiese.
Lo stesso apostolo Giovanni, tanto amato da Gesù, è stato rimproverato dal suo Signore per la sua collera fuori posto.
L’apostolo Pietro (futuro Papa?) è stato rimproverato dall’apostolo Paolo per la sua ambiguità o, meglio, ipocrisia. E Gesù stesso l’ha riproverato, chiamandolo “Satana”!
Gesù ha chiamato tutto il gruppo degli apostoli “gente di poca fede”.
L’apostolo Paolo ha scritto ai membri della chiesa di Corinto, chiamandoli “bambini” e “carnali”.
È ovvio che, ricordando queste cose, non intendo dire che le chiese siano necessriamente piene di ipocriti e di bambini spirituali ma, a volte, è difficile dimostrare il contrariio.
Il fatto importante, però, è un altro. Secondo gli insegnamenti biblici, i credenti, per quanto siano desiderosi di piacere al Signore in ogni dettaglio della loro vita, e malgrado l’aiuto dello Spirito Santo e lo studio della Parola di Dio, sono incapaci di vivere una vita perfettamente santa, come quella del Signore. Ogni giorno hanno bisogno di pregare per chiedere l’aiuto del Signore e, alla fine della giornata, chiedere il suo perdono per i loro peccati.
“Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità” ha scritto Giovanni, l’apostolo “che Gesù amava”. Purtroppo, “Se diciamo di non aver peccato, lo faciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi”, aggiunge Giovanni.
La realtà non è che siamo senza peccato, ma che Dio ci perdona completamente ogni colpa che riconosciamo, confessandola e chiedendone il perdono, nel nome del nostro Salvatore. E, per di più, ci “purifica” per renderci completamente accettevole a Lui.
Rallegriamoci della verità e abbandoniamo i miti!
.
I “santi” finti fanno solo ridere
Ma, chi ha mai detto che… il vero credente non soffre mai di depressione?
Che i credenti col “cuore puro”… non peccano mai?
Che i matrimoni dei veri credenti… vanno sempre lisci?
Che coloro che predicano… devono essere sempre d’accordo su ogni interpretazione biblica?
Questi ed altri miti cercano di presentare una chiesa più perfetta della realtà, di fare finta che ogni credente sia un “santo” che non sbaglia mai. Ma questi “santi” che credono di non sbagliare mai, sono in verità peccatori camuffati e fanno solo ridere. O piangere. O fare rabbia. O spingere altri a andarsene dalle chiese.
Lo stesso apostolo Giovanni, tanto amato da Gesù, è stato rimproverato dal suo Signore per la sua collera fuori posto.
L’apostolo Pietro (futuro Papa?) è stato rimproverato dall’apostolo Paolo per la sua ambiguità o, meglio, ipocrisia. E Gesù stesso l’ha riproverato, chiamandolo “Satana”!
Gesù ha chiamato tutto il gruppo degli apostoli “gente di poca fede”.
L’apostolo Paolo ha scritto ai membri della chiesa di Corinto, chiamandoli “bambini” e “carnali”.
È ovvio che, ricordando queste cose, non intendo dire che le chiese siano necessriamente piene di ipocriti e di bambini spirituali ma, a volte, è difficile dimostrare il contrariio.
Il fatto importante, però, è un altro. Secondo gli insegnamenti biblici, i credenti, per quanto siano desiderosi di piacere al Signore in ogni dettaglio della loro vita, e malgrado l’aiuto dello Spirito Santo e lo studio della Parola di Dio, sono incapaci di vivere una vita perfettamente santa, come quella del Signore. Ogni giorno hanno bisogno di pregare per chiedere l’aiuto del Signore e, alla fine della giornata, chiedere il suo perdono per i loro peccati.
“Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità” ha scritto Giovanni, l’apostolo “che Gesù amava”. Purtroppo, “Se diciamo di non aver peccato, lo faciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi”, aggiunge Giovanni.
La realtà non è che siamo senza peccato, ma che Dio ci perdona completamente ogni colpa che riconosciamo, confessandola e chiedendone il perdono, nel nome del nostro Salvatore. E, per di più, ci “purifica” per renderci completamente accettevole a Lui.
Rallegriamoci della verità e abbandoniamo i miti!
.
martedì 22 settembre 2009
SFRUTTERAPIA
.
Dopo le recenti notizie del fiorente mercato di psichiatri per animali domestici, cani e gatti in prima fila, non aspettavo altro che leggere un articolo sugli psichiatri per i pesci. Ma no! Almeno... non ancora. Ancora nuotano senza preoccuparsene.
Ma scopro adesso che sono sotto processo tre famosi psichiatri di New York City che si occupano di bambini con problemi emotivi. Sembra che, più che curare i piccoli, curassero i propri conti in banca. Che “piccoli” non erano!
Difatti, sono accusati dall'Agenzia delle tasse di avere “dimenticato” di dichiarare milioni di dollari in entrate, ricevute non dai loro piccoli pazienti o i loro genitori, ma sottobanco dalle case farmaceutiche di cui prescrivevano antipsicotici assolutamente inutili, se non dannosi, per i bambini.
Se i bambini avevano veramente bisogno di antipsicotici, è ovvio che i loro genitori avevano bisogno di lunghe cure in qualche manicomio. Infatti, la maggior parte dei bambini che sono diavoletti a scuola lo sono per un solo motivo. I loro genitori non li sanno educare!
Secondo te, fra la gente che tu conosci, chi ha più bisogno dello psichiatra, figli o genitori?
Dopo le recenti notizie del fiorente mercato di psichiatri per animali domestici, cani e gatti in prima fila, non aspettavo altro che leggere un articolo sugli psichiatri per i pesci. Ma no! Almeno... non ancora. Ancora nuotano senza preoccuparsene.
Ma scopro adesso che sono sotto processo tre famosi psichiatri di New York City che si occupano di bambini con problemi emotivi. Sembra che, più che curare i piccoli, curassero i propri conti in banca. Che “piccoli” non erano!
Difatti, sono accusati dall'Agenzia delle tasse di avere “dimenticato” di dichiarare milioni di dollari in entrate, ricevute non dai loro piccoli pazienti o i loro genitori, ma sottobanco dalle case farmaceutiche di cui prescrivevano antipsicotici assolutamente inutili, se non dannosi, per i bambini.
Se i bambini avevano veramente bisogno di antipsicotici, è ovvio che i loro genitori avevano bisogno di lunghe cure in qualche manicomio. Infatti, la maggior parte dei bambini che sono diavoletti a scuola lo sono per un solo motivo. I loro genitori non li sanno educare!
Secondo te, fra la gente che tu conosci, chi ha più bisogno dello psichiatra, figli o genitori?
martedì 15 settembre 2009
Amico, sei perduto?
.
Di nuovo? Ancora?
Hai perso il filo della vita? Della tua vita?
Sei partito tutto felice e, dopo molta strada, ti sei trovato davanti a un buco nero?
Cosa ti aspettavi? Un giardino fiorito? Un amico?
Poi, hai cercato ancora e sei ripartito? Verso una nuova vita, la felicità. Ma, in fondo a quella strada, hai scoperto soltanto la possibilità di fare un salto nel buio? Non basta!
Ma non sei solo. Quelle strade le ho fatte anch’io. Fino alla nausea.
“Io SONO la via...” Lo disse Gesù. Vero? Falso? Parole?
Ma, in fondo alla via, hai trovato una porta che avevi paura da aprire? O l’hai aperta? E dietro, cosa hai trovato? Io ho trovato dietro la porta un muro, la strada bloccata senza speranza.
“Io SONO la porta...” Lo disse Gesù. Vero? Falso? Parole?
Alla fine, mi sono stancato di vie false, fasulle, stancanti e senza senso. Alla fine, mi sono stufato di porte che promettevano tanto, ma offrivano niente.
Mi sono deciso di accettare Gesù come la mia via, Gesù come la mia porta, Gesù come la mia bussola, Gesù come la mia guida, Gesù come il mio amico.
E ho trovato ciò che cercavo: una via pulita e entusiasmante, una porta alla felicità che non avevo immaginato, amici che sono diventati i miei fratelli.
E se Gesù potesse fare lo stesso per te?
(Fammi conoscere i tuoi commenti e domande cliccando su “Commenti”, qui sotto. Manda una copia di questo blog a un amico, cliccando sulla piccola busta qui sotto a destra.)
Di nuovo? Ancora?
Hai perso il filo della vita? Della tua vita?
Sei partito tutto felice e, dopo molta strada, ti sei trovato davanti a un buco nero?
Cosa ti aspettavi? Un giardino fiorito? Un amico?
Poi, hai cercato ancora e sei ripartito? Verso una nuova vita, la felicità. Ma, in fondo a quella strada, hai scoperto soltanto la possibilità di fare un salto nel buio? Non basta!
Ma non sei solo. Quelle strade le ho fatte anch’io. Fino alla nausea.
“Io SONO la via...” Lo disse Gesù. Vero? Falso? Parole?
Ma, in fondo alla via, hai trovato una porta che avevi paura da aprire? O l’hai aperta? E dietro, cosa hai trovato? Io ho trovato dietro la porta un muro, la strada bloccata senza speranza.
“Io SONO la porta...” Lo disse Gesù. Vero? Falso? Parole?
Alla fine, mi sono stancato di vie false, fasulle, stancanti e senza senso. Alla fine, mi sono stufato di porte che promettevano tanto, ma offrivano niente.
Mi sono deciso di accettare Gesù come la mia via, Gesù come la mia porta, Gesù come la mia bussola, Gesù come la mia guida, Gesù come il mio amico.
E ho trovato ciò che cercavo: una via pulita e entusiasmante, una porta alla felicità che non avevo immaginato, amici che sono diventati i miei fratelli.
E se Gesù potesse fare lo stesso per te?
(Fammi conoscere i tuoi commenti e domande cliccando su “Commenti”, qui sotto. Manda una copia di questo blog a un amico, cliccando sulla piccola busta qui sotto a destra.)
martedì 8 settembre 2009
Non mi dire... È vero?
.
Sono ancora in pensiero per i genitori inglesi che dicono bugie ai figli (vedi blog precedente).
Che tipo di persone vorrebbero rovinare con le proprie mani, o la propria bocca, la possibilità di avere una relazione di fiducia con i propri figli? Vi sono pochissime cose nel mondo più importanti della possibilità di essere creduti dai figli, in tante circostanze.
Quando li avverti di qualche pericolo, fisico o morale. Quando fai una promessa di fare con loro, o per loro, qualcosa. Quando dici loro che li vuoi bene.
Nella nostra famiglia abbiamo promesso ai figli, da quando erano piccoli, di non dire loro MAI una bugia, perché desideravamo che loro potessero sapere che non avremmo mai cercato di ingannarli, di prenderli in giro o coprire i nostri errori nei loro confronti. E pretendevamo la stessa onestà loro nei nostri riguardi.
A volte non era facile (ognuno può essere tentato di dire una bugia per giustificarsi o coprire qualche errore), ma la bellezza di vivere nella perfetta fiducia l'uno dell'altro vale moltissimo di più del piccolo problema di dovere confessare, a volte, un proprio errore.
Pensate in quale mondo di sicurezza e pace si vivrebbe se ogni professionista dicesse la verità ai suoi clienti, ogni commerciante dicesse la verità sulla sua merce, ogni politico dicesse la verità sulle sue intenzioni, ogni moglie e marito dicessero soltanto la verità l'uno all'altro.
Ti pare che valga la pena, per avere il privilegio di mentire, vivere in un mondo di inganno, scaltrezza, menzogna e truffa?
Per dare una tua opinione, per fare una domanda, clicca su “Commenti” qui sotto.
.
Sono ancora in pensiero per i genitori inglesi che dicono bugie ai figli (vedi blog precedente).
Che tipo di persone vorrebbero rovinare con le proprie mani, o la propria bocca, la possibilità di avere una relazione di fiducia con i propri figli? Vi sono pochissime cose nel mondo più importanti della possibilità di essere creduti dai figli, in tante circostanze.
Quando li avverti di qualche pericolo, fisico o morale. Quando fai una promessa di fare con loro, o per loro, qualcosa. Quando dici loro che li vuoi bene.
Nella nostra famiglia abbiamo promesso ai figli, da quando erano piccoli, di non dire loro MAI una bugia, perché desideravamo che loro potessero sapere che non avremmo mai cercato di ingannarli, di prenderli in giro o coprire i nostri errori nei loro confronti. E pretendevamo la stessa onestà loro nei nostri riguardi.
A volte non era facile (ognuno può essere tentato di dire una bugia per giustificarsi o coprire qualche errore), ma la bellezza di vivere nella perfetta fiducia l'uno dell'altro vale moltissimo di più del piccolo problema di dovere confessare, a volte, un proprio errore.
Pensate in quale mondo di sicurezza e pace si vivrebbe se ogni professionista dicesse la verità ai suoi clienti, ogni commerciante dicesse la verità sulla sua merce, ogni politico dicesse la verità sulle sue intenzioni, ogni moglie e marito dicessero soltanto la verità l'uno all'altro.
Ti pare che valga la pena, per avere il privilegio di mentire, vivere in un mondo di inganno, scaltrezza, menzogna e truffa?
Per dare una tua opinione, per fare una domanda, clicca su “Commenti” qui sotto.
.
lunedì 31 agosto 2009
Una bugia al giorno...
.
Una metà dei genitori inglesi ammette, secondo un'indagine, di dire almeno una bugia al giorno ai figli. Chissà se gli italiani ne dicono di più o di meno ai loro figli?
Francamente, la cosa è preoccupante. Non perché sono inglesi, ma perché la verità è importante.
Il mondo non può esistere senza la verità.
Perfino le persone che dicono le bugie agli altri vorrebbero che gli altri dicessero la verità a loro. Altrimenti, la società umana si blocca. Se non si può credere a nessuno, bisogna pensare di essere tanto intelligenti da potere indovinare quale sia la verità che gli altri ci nascondono quando ci mentono. Un impresa pazzesca!
Purtroppo, tantissima gente è già cascata in questa trappola. Chi vuol farsi una fama da filosofo dice: “Nessuno possiede la verità”. Che si crede scienziato afferma: “La verità assoluta non esiste”. E i guru spirituali sfornano le loro pazzie: “Ognuno ha il diritto alla sua verità”.
Ma come si può ragionare con uno che ti dice: “Quella è la tua verità, non la mia! Io non accetto la tua verità”. Ma dillo all'oncologo che ti dice che hai il cancro al cervello e che ti devi operare immediatamente.
Dillo al vigile, quando ti fa la contravvenzione perché sei passato col rosso: “Quella è la sua verità”.
Se non riesci a imbrogliare il vigile, credi che riuscirai ad imbrogliare Dio?
Potrai, forse, convincerlo dicendo: “Per me, quello non era veramente un omicidio (o non era adulterio, non era un furto, non era un tradimento del mio migliore amico). Dio, quella è la tua verità. La mia è diversa”.
Non capisco perché la gente che si crede intelligente se la gode tanto quando dice che, per ciò che riguarda la religione, l'esistenza di Dio, o la colpa del peccato, la verità non esiste. Esistono soltanto opinioni e la mia opinione vale la tua.
Io non lo accetto. Non voglio vivere la mia vita come un ignorante felice, per paura che la verità, se la potessi sapere, non mi piacerebbe.
Gesù disse, quando ha pregato, rivolgendosi al Padre, “La tua Parola è verità”. Se leggo la Bibbia scopro la verità.
“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” disse Gesù. Ovviamente, i suoi nemici gli dissero che erano già liberi. Non erano mai stati schiavi di nessuno! Ma Gesù li smontò, dicendo che ognuno è schiavo di qualcosa: il peccato, che include, ovviamente, i propri difetti, sbagli, bugie piccole o grosse, ingiustizie e così avanti senza fine.
È proprio quella persona che dice di non essere schiava che lo è più profondamente, perché riesce a ingannarsi, credendo di essere libera.
Tu, di cosa sei schiavo? La cosa ti pesa tanto che vorresti scoprire come liberarti?
Io, la libertà l'ho trovata quando ho scoperto la vera verità. E tu?
Mandami i tuoi commenti, opinioni o domande, cliccando “Il tuo parere”.
Una metà dei genitori inglesi ammette, secondo un'indagine, di dire almeno una bugia al giorno ai figli. Chissà se gli italiani ne dicono di più o di meno ai loro figli?
Francamente, la cosa è preoccupante. Non perché sono inglesi, ma perché la verità è importante.
Il mondo non può esistere senza la verità.
Perfino le persone che dicono le bugie agli altri vorrebbero che gli altri dicessero la verità a loro. Altrimenti, la società umana si blocca. Se non si può credere a nessuno, bisogna pensare di essere tanto intelligenti da potere indovinare quale sia la verità che gli altri ci nascondono quando ci mentono. Un impresa pazzesca!
Purtroppo, tantissima gente è già cascata in questa trappola. Chi vuol farsi una fama da filosofo dice: “Nessuno possiede la verità”. Che si crede scienziato afferma: “La verità assoluta non esiste”. E i guru spirituali sfornano le loro pazzie: “Ognuno ha il diritto alla sua verità”.
Ma come si può ragionare con uno che ti dice: “Quella è la tua verità, non la mia! Io non accetto la tua verità”. Ma dillo all'oncologo che ti dice che hai il cancro al cervello e che ti devi operare immediatamente.
Dillo al vigile, quando ti fa la contravvenzione perché sei passato col rosso: “Quella è la sua verità”.
Se non riesci a imbrogliare il vigile, credi che riuscirai ad imbrogliare Dio?
Potrai, forse, convincerlo dicendo: “Per me, quello non era veramente un omicidio (o non era adulterio, non era un furto, non era un tradimento del mio migliore amico). Dio, quella è la tua verità. La mia è diversa”.
Non capisco perché la gente che si crede intelligente se la gode tanto quando dice che, per ciò che riguarda la religione, l'esistenza di Dio, o la colpa del peccato, la verità non esiste. Esistono soltanto opinioni e la mia opinione vale la tua.
Io non lo accetto. Non voglio vivere la mia vita come un ignorante felice, per paura che la verità, se la potessi sapere, non mi piacerebbe.
Gesù disse, quando ha pregato, rivolgendosi al Padre, “La tua Parola è verità”. Se leggo la Bibbia scopro la verità.
“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” disse Gesù. Ovviamente, i suoi nemici gli dissero che erano già liberi. Non erano mai stati schiavi di nessuno! Ma Gesù li smontò, dicendo che ognuno è schiavo di qualcosa: il peccato, che include, ovviamente, i propri difetti, sbagli, bugie piccole o grosse, ingiustizie e così avanti senza fine.
È proprio quella persona che dice di non essere schiava che lo è più profondamente, perché riesce a ingannarsi, credendo di essere libera.
Tu, di cosa sei schiavo? La cosa ti pesa tanto che vorresti scoprire come liberarti?
Io, la libertà l'ho trovata quando ho scoperto la vera verità. E tu?
Mandami i tuoi commenti, opinioni o domande, cliccando “Il tuo parere”.
martedì 18 agosto 2009
L’evoluzione e la Bibbia
.
Un libro che vale la pena leggere
Vedere il nostro universo da un punto di vista alternativo a quello della cultura attuale, permette di scoprire molte cose sorprendenti, sentirsi incoraggiato e sostenuto in alcune delle proprie idee e, forse, capire che alcune altre idee sono proprio da cambiare.
Il libro, Cultura e Bibbia, è veramente diverso da qualunque libro io abbia mai letto. Peccato che il suo titolo così generico potrebbe spaventare e allontanare molti possibili lettori, che non hanno nessuna voglia di occuparsi della “cultura”, che sembra una barba noiosa.
Al contrario, chi vorrebbe informarsi su come la lettura della Bibbia e la fede in ciò che la Bibbia afferma possa cambiare la nostra vita e il nostro modo di pensare su molti argomenti troverà il libro del prof. Fernando De Angelis interessante, provocante, informativo e, a volte, rivoluzionario.
A smentire l’idea sbagliata che il libro tratti di “Cultura” in senso scolastico, circa duecento pagine su trecento, trattano della teoria dell’evoluzione e la Bibbia, cioè un argomento di grande importanza ed interesse per la maggioranza dei credenti evangelici.
Può darsi che alcuni credenti considerino l’argomento sorpassato e che il creazionismo biblico non sia più sostenitbile a livello scolastico, ma questo libro dimostra la falsità di questo atteggiamento pessimista. Secondo l’autore, è proprio la Bibbia che concorda con alcune importanti scoperte scientifiche molto meglio della teoria darwiniana dello sviluppo di tutto ciò che vive da un solo punto in cui la vita è apparsa spontaneamente e per puro caso.
Nella sua prefazione al libro, Lino Conti, professore di Storia della Scienza e di Filosofia della Scienza nell’Università di Perugia, scrive. “Quella di De Angelis è una visione della cultura che, per quanto scritta di getto ed espressa nel linguaggio semplice della divulgazione scientifica, offre interessanti stimoli a tutti coloro che ai triti rituali dello scientismo bigotto preferiscono la dimensione problematica della scienza”.
Il sottotitolo del libro offre un’idea più allargata sul suo contenuto: “Evoluzione, storia, economia e geografia in un’ottica nuova”.
È un libro che molti genitori vorranno leggere per comprendere meglio come aiutare i loro figli nei loro studi di scienza nelle scuole pubbliche. Ed è un libro che molti giovani a cui piace la lettura troveranno interessante e informativo proprio sugli argomenti che affrontano nei loro studi.
Oltre a raccomandarne la lettura, è giusto avvertire che questo libro può anche incontrare alcune obbiezioni per qualche frase o qualche opinione personale espressa da De Angelis, ma questo è inevitabile in qualsiasi libro e chi legge ha ampia libertà a non accettare ciò che non condivide.
Il libro “Cultura e Bibbia”, di Fernando De Angelis, edito da Piero Gribaudi Editore, si può trovare nelle librerie evangeliche, o si puo ordinare direttamente dall’editore o dall’autore: deanfer@alice.it
Un libro che vale la pena leggere
Vedere il nostro universo da un punto di vista alternativo a quello della cultura attuale, permette di scoprire molte cose sorprendenti, sentirsi incoraggiato e sostenuto in alcune delle proprie idee e, forse, capire che alcune altre idee sono proprio da cambiare.
Il libro, Cultura e Bibbia, è veramente diverso da qualunque libro io abbia mai letto. Peccato che il suo titolo così generico potrebbe spaventare e allontanare molti possibili lettori, che non hanno nessuna voglia di occuparsi della “cultura”, che sembra una barba noiosa.
Al contrario, chi vorrebbe informarsi su come la lettura della Bibbia e la fede in ciò che la Bibbia afferma possa cambiare la nostra vita e il nostro modo di pensare su molti argomenti troverà il libro del prof. Fernando De Angelis interessante, provocante, informativo e, a volte, rivoluzionario.
A smentire l’idea sbagliata che il libro tratti di “Cultura” in senso scolastico, circa duecento pagine su trecento, trattano della teoria dell’evoluzione e la Bibbia, cioè un argomento di grande importanza ed interesse per la maggioranza dei credenti evangelici.
Può darsi che alcuni credenti considerino l’argomento sorpassato e che il creazionismo biblico non sia più sostenitbile a livello scolastico, ma questo libro dimostra la falsità di questo atteggiamento pessimista. Secondo l’autore, è proprio la Bibbia che concorda con alcune importanti scoperte scientifiche molto meglio della teoria darwiniana dello sviluppo di tutto ciò che vive da un solo punto in cui la vita è apparsa spontaneamente e per puro caso.
Nella sua prefazione al libro, Lino Conti, professore di Storia della Scienza e di Filosofia della Scienza nell’Università di Perugia, scrive. “Quella di De Angelis è una visione della cultura che, per quanto scritta di getto ed espressa nel linguaggio semplice della divulgazione scientifica, offre interessanti stimoli a tutti coloro che ai triti rituali dello scientismo bigotto preferiscono la dimensione problematica della scienza”.
Il sottotitolo del libro offre un’idea più allargata sul suo contenuto: “Evoluzione, storia, economia e geografia in un’ottica nuova”.
È un libro che molti genitori vorranno leggere per comprendere meglio come aiutare i loro figli nei loro studi di scienza nelle scuole pubbliche. Ed è un libro che molti giovani a cui piace la lettura troveranno interessante e informativo proprio sugli argomenti che affrontano nei loro studi.
Oltre a raccomandarne la lettura, è giusto avvertire che questo libro può anche incontrare alcune obbiezioni per qualche frase o qualche opinione personale espressa da De Angelis, ma questo è inevitabile in qualsiasi libro e chi legge ha ampia libertà a non accettare ciò che non condivide.
Il libro “Cultura e Bibbia”, di Fernando De Angelis, edito da Piero Gribaudi Editore, si può trovare nelle librerie evangeliche, o si puo ordinare direttamente dall’editore o dall’autore: deanfer@alice.it
martedì 11 agosto 2009
Le nostre corse inutili
.
Hai capito che correre non basta?
Non c’è che dire: il giovane era forte e correva bene. Mi aveva superato come se fosse seduto in poltrona.
“Eh! Fa troppo caldo per correre tanto. Dove stai andando?”
“Non lo so” rispose. “Ma spero di arrivare presto!”
Paragonare la vita ad una corsa è molto comune. Insomma, tutti corriamo. Partiamo dall’infanzia e arriviamo… alla vecchiaia e alla tomba! Vale la pena correre tanto?
Vale la pena correre senza sapere dove vai e neanche come arrivare? La solita corsa include la scuola, la palestra, gli amici, il lavoro, la discoteca, il fidanzato, il cuore rotto, la nuova speranza, la convivenza, il matrimonio, un figlio, la separazione, il nuovo amore, il divorzio, la casa, i viaggi, la carriera, la delusione, la stanchezza, il desiderio di buttare tutto alle ortiche. C’è chi ammette la sconfitta e chi la nasconde.
Ovviamente, quella corsa non è la tua. Ma quanto sei diverso o diversa? Sei sicuro che sai dove stai andando? Sei sicura che ci arriverai? Cristiani, atei, agnostici, apatici, seguaci dell’ultima setta, del guru più “in”. Molti hanno una meta irrealizzabile: la loro vita è un “Vorrei ma non ce la faccio!”
Altri si sono stufati della corsa, ma non sanno scendere.
“Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio corrono tutti?” ha domandato l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Corinzi, e poi aggiunse, secco: “ma uno solo ottiene il premio”. Correre non basta!
Ecco il punto: tutti corrono, ma ottenere il premio è una cosa rara. E, secondo la Bibbia, ottenere il premio non dipende dalla forza fisica, dall’intelligenza, dalla furbizia, dal caso, dalla chiesa che frequenti, dalla posizione dei pianeti, dalla fortuna né da alcuna qualità umana.
Purtroppo, molte persone sincere, con le intenzioni migliori, sprecano la loro vita e, alla fine, rimangono frustrate e depresse. Vanno avanti soltanto per abitudine.
Questo può succedere anche ai credenti, ai figli di credenti, agli amici di credenti, a quelli che si impegnano nella chiesa e nelle attività più stimate. È una cosa certa: nessuno vince il “premio” solo per caso.
È stato l’apostolo Paolo che, parlando della sua esperienza personale, ha dato un quadro giusto di questa corsa e di ciò che è necessario per finirla bene.
Nella sua lettera ai Filippesi, al capitolo 3, Paolo fa un lungo elenco delle cose che egli aveva considerato come spinte preziose per essere approvato da Dio: la sua famiglia molto religiosa, la sua educazione severa e pia, i suoi sforzi da adulto di essere riconosciuto come zelante nella religione. Ma, ad un certo punto, ha scoperto che, invece di dargli una spinta in avanti, questi suoi pregi erano tutti pesi che lo frenevano e lo portavano fuori pista. Egli, come tanta gente religiosa, era, di fatto, un perdente. Perciò ha scritto che, ad un certo punto, ha buttato via tutto ciò che era stato il tesoro di cui si era vantato da tanti anni, considerandolo come letame.
Da quel punto in avanti ha cominciato una nuova “corsa”, non basata su ciò che lui era o che lui faceva per meritare l’approvazione di Dio, ma sulla rivoluzione avvenuta in lui per mezzo della sua fede in Cristo, per cui la sua posizione era garantita. Egli godeva, davanti a Dio, del diritto di essere considerato giusto quanto Cristo stesso.
Ma non si considerava “arrivato”. Tutta la sua vita era una corsa. Ora la sua corsa aveva un solo scopo: conoscere intimamente, attraverso la comunione spirituale, Cristo e, conoscendolo, essere trasformato per somigliare a Lui nel suo carattere, nella sua santità, nelle sue mete.
La sua vita non poteva certamente essere considerata una corsa senza meta. Anzi, egli scrisse: “Una cosa faccio, dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.”
Con queste parole, ha svalutato, una volta per sempre, tutte le corse e tutte le mète secondarie o palesamente inutili, che coinvolgono gli uomini di ogni razza, cultura e religione.
Forse per noi è difficile comprendere questo profondo cambiamento nel pensiero e nella vita di Paolo. Perciò, torno spesso a questo passo nel capitolo 3 della sua lettera ai Filippesi, nel Nuovo Testamento, per esaminare la mia vita e la mia mèta.
Non vorrei spendere la mia vita raccogliendo e tenendomi stretto del letame! O, forse, finire la mia vita in un letamaio. E tu?
Hai capito che correre non basta?
Non c’è che dire: il giovane era forte e correva bene. Mi aveva superato come se fosse seduto in poltrona.
“Eh! Fa troppo caldo per correre tanto. Dove stai andando?”
“Non lo so” rispose. “Ma spero di arrivare presto!”
Paragonare la vita ad una corsa è molto comune. Insomma, tutti corriamo. Partiamo dall’infanzia e arriviamo… alla vecchiaia e alla tomba! Vale la pena correre tanto?
Vale la pena correre senza sapere dove vai e neanche come arrivare? La solita corsa include la scuola, la palestra, gli amici, il lavoro, la discoteca, il fidanzato, il cuore rotto, la nuova speranza, la convivenza, il matrimonio, un figlio, la separazione, il nuovo amore, il divorzio, la casa, i viaggi, la carriera, la delusione, la stanchezza, il desiderio di buttare tutto alle ortiche. C’è chi ammette la sconfitta e chi la nasconde.
Ovviamente, quella corsa non è la tua. Ma quanto sei diverso o diversa? Sei sicuro che sai dove stai andando? Sei sicura che ci arriverai? Cristiani, atei, agnostici, apatici, seguaci dell’ultima setta, del guru più “in”. Molti hanno una meta irrealizzabile: la loro vita è un “Vorrei ma non ce la faccio!”
Altri si sono stufati della corsa, ma non sanno scendere.
“Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio corrono tutti?” ha domandato l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Corinzi, e poi aggiunse, secco: “ma uno solo ottiene il premio”. Correre non basta!
Ecco il punto: tutti corrono, ma ottenere il premio è una cosa rara. E, secondo la Bibbia, ottenere il premio non dipende dalla forza fisica, dall’intelligenza, dalla furbizia, dal caso, dalla chiesa che frequenti, dalla posizione dei pianeti, dalla fortuna né da alcuna qualità umana.
Purtroppo, molte persone sincere, con le intenzioni migliori, sprecano la loro vita e, alla fine, rimangono frustrate e depresse. Vanno avanti soltanto per abitudine.
Questo può succedere anche ai credenti, ai figli di credenti, agli amici di credenti, a quelli che si impegnano nella chiesa e nelle attività più stimate. È una cosa certa: nessuno vince il “premio” solo per caso.
È stato l’apostolo Paolo che, parlando della sua esperienza personale, ha dato un quadro giusto di questa corsa e di ciò che è necessario per finirla bene.
Nella sua lettera ai Filippesi, al capitolo 3, Paolo fa un lungo elenco delle cose che egli aveva considerato come spinte preziose per essere approvato da Dio: la sua famiglia molto religiosa, la sua educazione severa e pia, i suoi sforzi da adulto di essere riconosciuto come zelante nella religione. Ma, ad un certo punto, ha scoperto che, invece di dargli una spinta in avanti, questi suoi pregi erano tutti pesi che lo frenevano e lo portavano fuori pista. Egli, come tanta gente religiosa, era, di fatto, un perdente. Perciò ha scritto che, ad un certo punto, ha buttato via tutto ciò che era stato il tesoro di cui si era vantato da tanti anni, considerandolo come letame.
Da quel punto in avanti ha cominciato una nuova “corsa”, non basata su ciò che lui era o che lui faceva per meritare l’approvazione di Dio, ma sulla rivoluzione avvenuta in lui per mezzo della sua fede in Cristo, per cui la sua posizione era garantita. Egli godeva, davanti a Dio, del diritto di essere considerato giusto quanto Cristo stesso.
Ma non si considerava “arrivato”. Tutta la sua vita era una corsa. Ora la sua corsa aveva un solo scopo: conoscere intimamente, attraverso la comunione spirituale, Cristo e, conoscendolo, essere trasformato per somigliare a Lui nel suo carattere, nella sua santità, nelle sue mete.
La sua vita non poteva certamente essere considerata una corsa senza meta. Anzi, egli scrisse: “Una cosa faccio, dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.”
Con queste parole, ha svalutato, una volta per sempre, tutte le corse e tutte le mète secondarie o palesamente inutili, che coinvolgono gli uomini di ogni razza, cultura e religione.
Forse per noi è difficile comprendere questo profondo cambiamento nel pensiero e nella vita di Paolo. Perciò, torno spesso a questo passo nel capitolo 3 della sua lettera ai Filippesi, nel Nuovo Testamento, per esaminare la mia vita e la mia mèta.
Non vorrei spendere la mia vita raccogliendo e tenendomi stretto del letame! O, forse, finire la mia vita in un letamaio. E tu?
martedì 4 agosto 2009
Un giorno tutto sarà scoperto
.
Nessun segreto può rimanere nascosto
Un burlone un po’ crudele ha mandato a sei uomini ben conosciuti e benestanti del suo paese lo stesso telegramma:
SCAPPA. TUTTO È SCOPERTO. UN AMICO.
Entro 24 ore, nessuno di loro era rintracciabile!
Vero o falso, il racconto esprime una grande verità: vi sono poche persone che non hanno nulla da nascondere, o che permetterebbero volontieri che tutta la loro vita fosse resa pubblico.
Ricordo quanto sono stato scioccato e spaventato da ragazzo, sentendo qualcuno citare delle parole di Gesù, ricordate nel Vangelo di Luca 12:2,3: “Non c’è niente di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Perciò, tutto quello che avete detto nelle tenebre sarà udito nella luce, e quel che avete detto nelle stanze interne sarà proclamato sui tetti”.
Ricordo le conferenze di uno scienziato credente, seguite quando ero giovane, che illustrava la possibilità di registrare le conversazioni sui dei nastri fini e stretti di plastica, facendoci risentire alcune sue parole registrate su uno dei primi registratori a cassetta. Non ci potevamo credere!
E, poi, ci ha detto che, siccome le parole dette in privato potevano essere registrate e fatte sentire in seguito da chiunque, le parole di Gesù erano pienamente credibili. Ma, ancora di più, affermò che le stesse qualità magnetiche impresse su quei nastri potevano esistere in natura negli atomi di qualsiasi materiale, per cui le stesse mura di casa, o il tetto, o una roccia nel parco, potrebbero, almeno teoreticamente, ripetere tutte le parole mai dette nelle loro vicinanze, se si sapesse soltanto come ricuperarle.
In altre parole, qualsiasi segreto, qualsiasi parola mai detta, non è stata cancellata, ma esiste ancora nell’universo aspettando solo di essere ricuperata da chi lo può fare. E si dà per scontato che Dio lo può fare quando vuole.
Altro che le registrazioni nella camera di Berlusconi o le altre intercettaioni che scappano un giorno sì e un’altro pure, dai tribunali per essere pubblicate da qualche giornale.
Basta, credo, per mettere paura a chiunque sia sano di mente. E forse mette più paura alle persone per bene, che hanno cercato sinceramente di vivere una vita modello, che non ai politici che sono abbastanza abituati ad essere smentiti e sbugiardati.
Per grazia di Dio, ho scoperto come tutte le registrazioni ignobili, inconfessabili, immorali della mia vita possono essere cancellate. L’hai scoperto anche tu? Perché non mi scrivi brevemente la tua scoperta, o come commento al mio blog, o sulla mia pagina di Facebook?
.
Nessun segreto può rimanere nascosto
Un burlone un po’ crudele ha mandato a sei uomini ben conosciuti e benestanti del suo paese lo stesso telegramma:
SCAPPA. TUTTO È SCOPERTO. UN AMICO.
Entro 24 ore, nessuno di loro era rintracciabile!
Vero o falso, il racconto esprime una grande verità: vi sono poche persone che non hanno nulla da nascondere, o che permetterebbero volontieri che tutta la loro vita fosse resa pubblico.
Ricordo quanto sono stato scioccato e spaventato da ragazzo, sentendo qualcuno citare delle parole di Gesù, ricordate nel Vangelo di Luca 12:2,3: “Non c’è niente di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Perciò, tutto quello che avete detto nelle tenebre sarà udito nella luce, e quel che avete detto nelle stanze interne sarà proclamato sui tetti”.
Ricordo le conferenze di uno scienziato credente, seguite quando ero giovane, che illustrava la possibilità di registrare le conversazioni sui dei nastri fini e stretti di plastica, facendoci risentire alcune sue parole registrate su uno dei primi registratori a cassetta. Non ci potevamo credere!
E, poi, ci ha detto che, siccome le parole dette in privato potevano essere registrate e fatte sentire in seguito da chiunque, le parole di Gesù erano pienamente credibili. Ma, ancora di più, affermò che le stesse qualità magnetiche impresse su quei nastri potevano esistere in natura negli atomi di qualsiasi materiale, per cui le stesse mura di casa, o il tetto, o una roccia nel parco, potrebbero, almeno teoreticamente, ripetere tutte le parole mai dette nelle loro vicinanze, se si sapesse soltanto come ricuperarle.
In altre parole, qualsiasi segreto, qualsiasi parola mai detta, non è stata cancellata, ma esiste ancora nell’universo aspettando solo di essere ricuperata da chi lo può fare. E si dà per scontato che Dio lo può fare quando vuole.
Altro che le registrazioni nella camera di Berlusconi o le altre intercettaioni che scappano un giorno sì e un’altro pure, dai tribunali per essere pubblicate da qualche giornale.
Basta, credo, per mettere paura a chiunque sia sano di mente. E forse mette più paura alle persone per bene, che hanno cercato sinceramente di vivere una vita modello, che non ai politici che sono abbastanza abituati ad essere smentiti e sbugiardati.
Per grazia di Dio, ho scoperto come tutte le registrazioni ignobili, inconfessabili, immorali della mia vita possono essere cancellate. L’hai scoperto anche tu? Perché non mi scrivi brevemente la tua scoperta, o come commento al mio blog, o sulla mia pagina di Facebook?
.
lunedì 27 luglio 2009
Il grande scienziato e il bambino
.
Le origini della terra: un “mistero”
Per meglio comprendere le origini della nostra terra e della vita, preferiresti essere un grande e famoso scienziato o un bambino? Chi avrebbe più probabilità di avere ragione, lo scienziato o il bambino?
Sir Fred Hoyle, famoso scienziato inglese, coniò la frase “big bang” (grande esplosione) nel 1949. Gli scienziati dicono che il big bang è la teoria migliore dell’origine e evoluzione del cosmo, cioè l’universo.
Questa teoria immagina che l’origine dell’universo accadde per mezzo di una grande esplosione, quando “densità e temperatura infinite arrivarono a un punto finito del tempo, nel passato”. Tutta la massa dell’universo fu raccolta in un punto, chiamato “l’atomo primevo”, prima che il tempo e lo spazio esistessero.
Ovviamente “la teoria del Big Bang non può e non tenta di spiegare quella condizione iniziale, ma studia e «spiega» l’evoluzione da quel punto in avanti”.
Ma, molti scienziati si sono resi conto che questa teoria non spiega molte cose, fra cui l’origine della vita, che è un fattore essenziale del nostro universo.
Immaginiamo, allora, questa conversazione.
Il prof. Fred Hoyle: “Vedi, ragazzo, che si può facilmente spiegare le origini dell’universo senza credere affatto in un dio?”
“Sì, signore, ma chi ha messo tutta quella energia e calore «infinite» in quel punto?”
“Beh, a dire il vero, questo non lo sappiamo. È un mistero” risponde il grande scienziato.
“E, poi, come mai esistiamo noi? Non potevamo uscire da un esplosione!”
“Beh”, risponde il grande scienziato: “Anche questo non lo sappiamo. È un grande mistero! Personalmente, credo che la vita è arrivata sulla terra dallo spazio.”
“Mi scusi, professore, ma come mai la vita esisteva nello spazio?” chiese il ragazzo, sempre più confuso.
“Caro ragazzo, tu ti devi fidare di noi scienziati e non credere più a quelle teorie sciocche di un dio che ha creato tutto. In verità, non sappiamo come mai la vita è esistita nello spazio. È un grande mistero.”
“O.K.” disse il ragazzo. “Voi credete ai vostri “misteri”. Io, invece, credo in Dio, come dice la Bibbia, che ha creato tutto. Per me, credere ai vostri «misteri» è più difficile che credere in Dio!”
Il ragazzo è effettivamente più intelligente dello scienziato. Lo scienziato crede a ciò che non può provare e che non può spiegare. E, per di più, non sa neanche dove cercare le risposte.
Anche il ragazzo non può provare e spiegare tutto, ma sa dove trovare le risposte. Forse non può spiegare tutto, ma trova che credere in un Dio infinito è molto più facile che credere in densità e temperatura infinite (cioè senza alcun limite) che neanche il grande scienziato può spiegare.
Per capire di più ciò che il professore credeva, vedi le voci “Big Bang” e “exogenesis” nella enciclopedia “Wikipedia” su internet. Per capire di più ciò che il ragazzo crede, vedi Genesi, capitolo 1, nella Bibbia.
,
Le origini della terra: un “mistero”
Per meglio comprendere le origini della nostra terra e della vita, preferiresti essere un grande e famoso scienziato o un bambino? Chi avrebbe più probabilità di avere ragione, lo scienziato o il bambino?
Sir Fred Hoyle, famoso scienziato inglese, coniò la frase “big bang” (grande esplosione) nel 1949. Gli scienziati dicono che il big bang è la teoria migliore dell’origine e evoluzione del cosmo, cioè l’universo.
Questa teoria immagina che l’origine dell’universo accadde per mezzo di una grande esplosione, quando “densità e temperatura infinite arrivarono a un punto finito del tempo, nel passato”. Tutta la massa dell’universo fu raccolta in un punto, chiamato “l’atomo primevo”, prima che il tempo e lo spazio esistessero.
Ovviamente “la teoria del Big Bang non può e non tenta di spiegare quella condizione iniziale, ma studia e «spiega» l’evoluzione da quel punto in avanti”.
Ma, molti scienziati si sono resi conto che questa teoria non spiega molte cose, fra cui l’origine della vita, che è un fattore essenziale del nostro universo.
Immaginiamo, allora, questa conversazione.
Il prof. Fred Hoyle: “Vedi, ragazzo, che si può facilmente spiegare le origini dell’universo senza credere affatto in un dio?”
“Sì, signore, ma chi ha messo tutta quella energia e calore «infinite» in quel punto?”
“Beh, a dire il vero, questo non lo sappiamo. È un mistero” risponde il grande scienziato.
“E, poi, come mai esistiamo noi? Non potevamo uscire da un esplosione!”
“Beh”, risponde il grande scienziato: “Anche questo non lo sappiamo. È un grande mistero! Personalmente, credo che la vita è arrivata sulla terra dallo spazio.”
“Mi scusi, professore, ma come mai la vita esisteva nello spazio?” chiese il ragazzo, sempre più confuso.
“Caro ragazzo, tu ti devi fidare di noi scienziati e non credere più a quelle teorie sciocche di un dio che ha creato tutto. In verità, non sappiamo come mai la vita è esistita nello spazio. È un grande mistero.”
“O.K.” disse il ragazzo. “Voi credete ai vostri “misteri”. Io, invece, credo in Dio, come dice la Bibbia, che ha creato tutto. Per me, credere ai vostri «misteri» è più difficile che credere in Dio!”
Il ragazzo è effettivamente più intelligente dello scienziato. Lo scienziato crede a ciò che non può provare e che non può spiegare. E, per di più, non sa neanche dove cercare le risposte.
Anche il ragazzo non può provare e spiegare tutto, ma sa dove trovare le risposte. Forse non può spiegare tutto, ma trova che credere in un Dio infinito è molto più facile che credere in densità e temperatura infinite (cioè senza alcun limite) che neanche il grande scienziato può spiegare.
Per capire di più ciò che il professore credeva, vedi le voci “Big Bang” e “exogenesis” nella enciclopedia “Wikipedia” su internet. Per capire di più ciò che il ragazzo crede, vedi Genesi, capitolo 1, nella Bibbia.
,
martedì 21 luglio 2009
È giusto non giudicare mai? - 3
.
Tu hai bisogno di discernimento biblico
Non “giudicare” gli altri è un comandamento di Gesù e un insegnamento dell’Apostolo Paolo. (Vedi i due precedenti blog)
Allora, dobbiamo lasciare correre tutto? Stare zitti quando vediamo il male? Fare questo non ti sembra molto pericolso? Lo è!
Paolo ha scritto anche questo: “Devo giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi” (1 Corinzi 5:12,13). Ovviamente, il credente, o chi si professa credente, che commette il peccato in modo evidente non può continuare a vivere una vita doppia in seno alla chiesa. Dev’essere riconosciuto e escluso.
Difatti, la Bibbia insegna che, in ogni parte della società vi sono quelli che hanno il compito e il dovere di “giudicare”.
Nella società civile, sono i giudici e il sistema legale che devono intervenire con chi trasgredisce la legge (vedere Romani 13:1-4). “Il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene” (Romani 13:4).
Nella chiesa locale, i responsabili dell’ordine e della disciplina sono, in primo luogo, gli anziani: vedere Atti 20:28-31. Paolo usa come titolo dei respsonsabili della chiesa la parola “vescovi”, che vuol dire sorvegliante, e, poi, ordina loro di “vegliare”, per riconoscere la cattiva dottrina e i falsi dottori, e escluderli dalla chiesa. Nell’Epistola agli Ebrei è scritto: “Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettevi a loro” (13:17).
Anche nella famiglia, vi sono coloro che hanno il dovere di vegliare, riconoscere il male e fermarlo: i genitori. “Abbiamo avuto per correttori i nostri padri… Essi infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno” (Ebrei 12:8,10). Ai figli, Paolo scrive: “Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori” (Efesini 6:1).
Ovviamente, la Bibbia non considera nessuna di queste autorità come infallibile né assoluta. Tutte risponderanno a Dio per i loro errori, sia di commissione, sia di omissione, sia di parzialità, sia di ingiustizia, sia di trascuratezza o di esagerazione.
Comunque, tre principi sono chiari. Primo, il giudizio e la sua applicazione non sono lasciati indistintatemente nelle mani di tutti. Secondo, nessuno ha il diritto di fare le proprie vendette, diventando, cioè, legislatore, giudice e esecutore della pena. Terzo, tutto il male fatto non sarà mai scoperto e pagato in questa vita, ma nessun male mai fatto e nessun malfattore mai esistito potrà sfuggire al giudizio perfetto di Dio.
Nessno di noi ha il diritto di giudicare le intenzioni segrete o i pensieri che abbiamo attribuito agli altri, perché sono i fatti e le parole quelli che si giudicano, quando sono confermati e provati. Per questo, Gesù disse: “Guardatevi (un dovere di ogni credente) dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti” (Matteo 7:15,16).
Ogni credente ha il dovere di discernere e ubbidire alle parole di Paolo: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi”, cioè non dobbiamo legarci in attività e impegni con chi non condivide la nostra fede, né in legami matrimoniali, né in legami di comunione e collaborazione spirituale, né in legami di società negli affari.
Le istruzioni bibliche sono sempre chiare e tassative. Tocca a noi ubbidire.
Solo con lo studio e per mezzo dell’ubbidienza alla Bibbia cresceremo in discernimento e sapremo cosa fare nelle tante scelte della vita.
.
Tu hai bisogno di discernimento biblico
Non “giudicare” gli altri è un comandamento di Gesù e un insegnamento dell’Apostolo Paolo. (Vedi i due precedenti blog)
Allora, dobbiamo lasciare correre tutto? Stare zitti quando vediamo il male? Fare questo non ti sembra molto pericolso? Lo è!
Paolo ha scritto anche questo: “Devo giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi” (1 Corinzi 5:12,13). Ovviamente, il credente, o chi si professa credente, che commette il peccato in modo evidente non può continuare a vivere una vita doppia in seno alla chiesa. Dev’essere riconosciuto e escluso.
Difatti, la Bibbia insegna che, in ogni parte della società vi sono quelli che hanno il compito e il dovere di “giudicare”.
Nella società civile, sono i giudici e il sistema legale che devono intervenire con chi trasgredisce la legge (vedere Romani 13:1-4). “Il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene” (Romani 13:4).
Nella chiesa locale, i responsabili dell’ordine e della disciplina sono, in primo luogo, gli anziani: vedere Atti 20:28-31. Paolo usa come titolo dei respsonsabili della chiesa la parola “vescovi”, che vuol dire sorvegliante, e, poi, ordina loro di “vegliare”, per riconoscere la cattiva dottrina e i falsi dottori, e escluderli dalla chiesa. Nell’Epistola agli Ebrei è scritto: “Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettevi a loro” (13:17).
Anche nella famiglia, vi sono coloro che hanno il dovere di vegliare, riconoscere il male e fermarlo: i genitori. “Abbiamo avuto per correttori i nostri padri… Essi infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno” (Ebrei 12:8,10). Ai figli, Paolo scrive: “Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori” (Efesini 6:1).
Ovviamente, la Bibbia non considera nessuna di queste autorità come infallibile né assoluta. Tutte risponderanno a Dio per i loro errori, sia di commissione, sia di omissione, sia di parzialità, sia di ingiustizia, sia di trascuratezza o di esagerazione.
Comunque, tre principi sono chiari. Primo, il giudizio e la sua applicazione non sono lasciati indistintatemente nelle mani di tutti. Secondo, nessuno ha il diritto di fare le proprie vendette, diventando, cioè, legislatore, giudice e esecutore della pena. Terzo, tutto il male fatto non sarà mai scoperto e pagato in questa vita, ma nessun male mai fatto e nessun malfattore mai esistito potrà sfuggire al giudizio perfetto di Dio.
Nessno di noi ha il diritto di giudicare le intenzioni segrete o i pensieri che abbiamo attribuito agli altri, perché sono i fatti e le parole quelli che si giudicano, quando sono confermati e provati. Per questo, Gesù disse: “Guardatevi (un dovere di ogni credente) dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti” (Matteo 7:15,16).
Ogni credente ha il dovere di discernere e ubbidire alle parole di Paolo: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi”, cioè non dobbiamo legarci in attività e impegni con chi non condivide la nostra fede, né in legami matrimoniali, né in legami di comunione e collaborazione spirituale, né in legami di società negli affari.
Le istruzioni bibliche sono sempre chiare e tassative. Tocca a noi ubbidire.
Solo con lo studio e per mezzo dell’ubbidienza alla Bibbia cresceremo in discernimento e sapremo cosa fare nelle tante scelte della vita.
.
martedì 14 luglio 2009
Attento all’albero!
.
Giudicare gli altri mi fa male?
Perché l’apostolo Paolo ha vietato con grande rigore la critica di altri fratelli? Perché non sbagliano mai? No. Ma perché la critica diventa chiacchiere, parole vuote e vane, senza alcuno scopo, valore o frutto spirituale. Parole dette solo per gustare il sapore agro-dolce del pettegolezzo.
Gesù stesso, prima di Paolo, aveva detto: “Non giudicate, affinché non siate giudicati”. E ha avvertito: “Con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati”. Per capire il significato di queste parole, vai a controllare, per piacere, questo breve discorso di Gesù nel vangelo di Matteo, capitolo 7, vv. 1-5. Ovviamente, questo avvertimento non vuol dire che tu non sei capace di discernere il bene dal male, perché poco più avanti, Gesù dice che si può riconoscere le persone dal frutto che portano (vv. 15-20).
Gesù parla, piuttosto, di quel tipo di giudizio, tanto cattivo quanto ingiusto, che indaga e crede di capire i motivi e le intenzioni degli altri, di sapere leggere nella loro mente, cosa crudele che tutti facciamo con tanta facilità e sicurezza. “Hai visto che non mi ha salutato perché si considera migliore di tutti?” “Lo sapevi che non viene più in chiesa perché non va d’accordo con… ?"
O, peggio ancora, crediamo di capire tanto bene il cuore degli altri da sapere come correggere in loro quello che non va.
“Caro, non so se tu sai quante volte le tue parole nascondono una buona dose di orgoglio. Ti posso aiutare, spiegandoti come il Signore ha tolto l’orgoglio a me.”
Certo, il Signore dice che, forse, hai visto giusto che tuo fratello ha un granello si sabbia in un occhio, o qualche altro tipo di problema, ma come fai a dire che tu non sei orgoglioso più di lui? È fin troppo facile pensare che noi non abbiamo bisogno di cambiare nulla, mentre gli altri ne hanno tanto!
Prima di pretendere di saper mettere a posto tua sorella, togli dal tuo occhio quell’ingombrante tronco d’albero, addirittura con tutte le sue radici e il fogliame, che fai finta di non vedere!
Ma come fa il Signore ad accusarti di avere un tronco nel tuo occhio, quando, in fondo, ti senti abbastanza a posto spiritualmente? Egli fa esattamente quello che hai fatto tu, quando credevi di leggere nel cuore e nelle intenzioni di tua sorella. La sola differenza è che tu non lo puoi e non lo sai fare, mentre Lui sì. Egli ti legge come un libro aperto.
C’è un vecchio proverbio che dice che i difetti che vediamo e giudichiamo negli altri sono quelli che abbiamo noi. Fermati a pensarci, quando critichi o giudichi qualcuno. Lo giudichi come troppo insistente, o troppo pronto a non dire tutta la verità o troppo pronto a criticare? Non sarà, forse, che questo sia proprio un difetto tuo?
Il Signore ha voluto insegnare che, prima di intervenire per aiutare qualcuno, o prima di credere di essere in grado di capire i problemi di qualcuno, tu devi fare un profondo e sincero esame del tuo cuore, dei tuoi atteggiamenti, delle tue debolezze, del tuo comportamento, per arrivare a confessare ogni peccato a Dio e chiedergli di trasformarti. Nella soluzione dei problemi, fra marito e moglie, figli e genitori, parenti, fratelli e sorelle di chiesa, non dobbiamo mai credere che la soluzione dipenda solo dall’altro.
Esaminare ai raggi X la propria vita è essenziale, sia nei suoi lati spirituali (rapporto col Signore, meditazione della Parola, confessione di peccato, cammino nella purezza e nella luce), sia nei lati pratici (offese, contrasti, ingiustizie, risentimenti, trascuratezze, amarezze). Allora sapremo, prima di poterci offrire per aiutare altri, o pretendere di saperlo fare, se i nostri giudizi e valutazioni sono giusti.
È inutile fare finta che la chiesa sia una società priva di problemi: è fatta di essere umani prorio come te e me. È vero che i membri della vera chiesa sono “nati di nuovo”, che sono diventati “il tempio dello Spirito Santo”. Ma è un tempio ancora in costruzione e la perfezione arriverà soltanto quando la chiesa sarà in cielo con il suo Signore.
In questo periodo, fai attenzione che, criticando gli altri, non riveli a tutti i tuoi propri difetti.
.
Giudicare gli altri mi fa male?
Perché l’apostolo Paolo ha vietato con grande rigore la critica di altri fratelli? Perché non sbagliano mai? No. Ma perché la critica diventa chiacchiere, parole vuote e vane, senza alcuno scopo, valore o frutto spirituale. Parole dette solo per gustare il sapore agro-dolce del pettegolezzo.
Gesù stesso, prima di Paolo, aveva detto: “Non giudicate, affinché non siate giudicati”. E ha avvertito: “Con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati”. Per capire il significato di queste parole, vai a controllare, per piacere, questo breve discorso di Gesù nel vangelo di Matteo, capitolo 7, vv. 1-5. Ovviamente, questo avvertimento non vuol dire che tu non sei capace di discernere il bene dal male, perché poco più avanti, Gesù dice che si può riconoscere le persone dal frutto che portano (vv. 15-20).
Gesù parla, piuttosto, di quel tipo di giudizio, tanto cattivo quanto ingiusto, che indaga e crede di capire i motivi e le intenzioni degli altri, di sapere leggere nella loro mente, cosa crudele che tutti facciamo con tanta facilità e sicurezza. “Hai visto che non mi ha salutato perché si considera migliore di tutti?” “Lo sapevi che non viene più in chiesa perché non va d’accordo con… ?"
O, peggio ancora, crediamo di capire tanto bene il cuore degli altri da sapere come correggere in loro quello che non va.
“Caro, non so se tu sai quante volte le tue parole nascondono una buona dose di orgoglio. Ti posso aiutare, spiegandoti come il Signore ha tolto l’orgoglio a me.”
Certo, il Signore dice che, forse, hai visto giusto che tuo fratello ha un granello si sabbia in un occhio, o qualche altro tipo di problema, ma come fai a dire che tu non sei orgoglioso più di lui? È fin troppo facile pensare che noi non abbiamo bisogno di cambiare nulla, mentre gli altri ne hanno tanto!
Prima di pretendere di saper mettere a posto tua sorella, togli dal tuo occhio quell’ingombrante tronco d’albero, addirittura con tutte le sue radici e il fogliame, che fai finta di non vedere!
Ma come fa il Signore ad accusarti di avere un tronco nel tuo occhio, quando, in fondo, ti senti abbastanza a posto spiritualmente? Egli fa esattamente quello che hai fatto tu, quando credevi di leggere nel cuore e nelle intenzioni di tua sorella. La sola differenza è che tu non lo puoi e non lo sai fare, mentre Lui sì. Egli ti legge come un libro aperto.
C’è un vecchio proverbio che dice che i difetti che vediamo e giudichiamo negli altri sono quelli che abbiamo noi. Fermati a pensarci, quando critichi o giudichi qualcuno. Lo giudichi come troppo insistente, o troppo pronto a non dire tutta la verità o troppo pronto a criticare? Non sarà, forse, che questo sia proprio un difetto tuo?
Il Signore ha voluto insegnare che, prima di intervenire per aiutare qualcuno, o prima di credere di essere in grado di capire i problemi di qualcuno, tu devi fare un profondo e sincero esame del tuo cuore, dei tuoi atteggiamenti, delle tue debolezze, del tuo comportamento, per arrivare a confessare ogni peccato a Dio e chiedergli di trasformarti. Nella soluzione dei problemi, fra marito e moglie, figli e genitori, parenti, fratelli e sorelle di chiesa, non dobbiamo mai credere che la soluzione dipenda solo dall’altro.
Esaminare ai raggi X la propria vita è essenziale, sia nei suoi lati spirituali (rapporto col Signore, meditazione della Parola, confessione di peccato, cammino nella purezza e nella luce), sia nei lati pratici (offese, contrasti, ingiustizie, risentimenti, trascuratezze, amarezze). Allora sapremo, prima di poterci offrire per aiutare altri, o pretendere di saperlo fare, se i nostri giudizi e valutazioni sono giusti.
È inutile fare finta che la chiesa sia una società priva di problemi: è fatta di essere umani prorio come te e me. È vero che i membri della vera chiesa sono “nati di nuovo”, che sono diventati “il tempio dello Spirito Santo”. Ma è un tempio ancora in costruzione e la perfezione arriverà soltanto quando la chiesa sarà in cielo con il suo Signore.
In questo periodo, fai attenzione che, criticando gli altri, non riveli a tutti i tuoi propri difetti.
.
martedì 7 luglio 2009
Esistono nella chiesa degli “ispettori”?
.
Criticare è vietato
“Non so se tu lo sai” mi ha detto un giovane che mi era venuto a trovare, “ma ho visto con i miei occhi che certi credenti, anche persone in vista, non vivono veramente da cristiani. Perdono la pazienza, dicono cose acide e cattive, non trattano bene la moglie e i figli. Ne ho visto tanti.”
“È interessante” gli ho risposto. “La Bibbia insegna chiaramente come dovrebbe essere il frutto dello Spirito nella nostra vita. Ma non è mai scritto che Dio abbia messo nella chiesa qualcuno e gli abbia dato il compito di essere ispettore del frutto altrui”.
Non c’è nulla di più facile, però, che alcuni di noi si sentano in dovere, e pensino di esserne capaci, di valutare, pesare, ispezionare la testimonianza e la vita degli altri. Senza avere né il diritto né, purtroppo, le qualifiche per farlo.
Minimo, minimo, chi esprime pareri sul frutto spirituale nella vita degli altri farebbe bene a non avere nulla da nascondere nella propria vita.
Giacomo, un fratello di Gesù, era un insegnante autorevole nella chiesa apostolica, e ha scritto nella sua lettera, al capitolo 3: “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, perché manchiamo tutti in molte cose”.
Abbiamo capito bene? Quanti credenti mancano in qualcosa? TUTTI! E in quante cose manchiamo tutti? MOLTE!
Giacomo continua il suo discorso, scrivendo: “Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto”. Siccome l’insegnamento continuo della Parola di Dio è che non esistono uomini perfetti (e neanche donne perfette, né giovani perfetti né anziani perfetti), è scontato che tutti sbagliano, a volte, in ciò che dicono e nel modo di dirlo.
Non ha usato frasi “politicamente corrette” l’apostolo Paolo quando ha dovuto trattare il problema delle critiche e giudizi di altri nella chiesa. Ha scritto: “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui (cioè un tuo fratello che, come te, serve il Signore)? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone: ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi” (Lettera di Paolo ai Romani, capito 14, v. 4).
“Ma tu, perché giudichi il tuo fratello?” Paolo scrive nel versetto 10 dello stesso capitolo. “E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio” (v. 10). E, nel versetto 13, conclude: “Smettiamo, dunque, di giudicarci gli uni gli altri”.
Perché l’apostolo Paolo si riscaldava tanto? La risposta è chiara: perché i giudizi, il disprezzo, le critiche di altri fratelli e sorelle era un problema grosso nella chiesa a Roma. Esattamente come può essere un problema grosso nella tua chiesa o nella mia. La tentazione di criticare altri, per innalzare, consciamente o inconsciamente, noi stessi è così comune che nessuno ne è esente.
Ma le critiche, se le teniamo soltanto “fra noi” (marito e moglie, alcuni del gruppo dei giovani, alcune sorelle o fratelli), che male possono fare? Primo, è una disubbidienza a Dio, una spia che si è accesa per indicare la mancanza dello spirito di amore che dovrebbe regnare nella chiesa. Poi, secondo, è qualcosa che certamente porterà alla formazione di divisioni, cricche, rivalità nocive per la buona armonia della chiesa. Terzo, smorzerà l’opera dello Spirito Santo, impedendo la testimonianza verso l’esterno, frenando la crescita spirituale di tutti, permettendo che la carnalità regni a tutti i livelli della vita della chiesa.
Ma, non si può neanche avvertire un fratello, una sorella, un giovane, che sta sbagliando, che sta perdendo il suo “primo amore”? Devo accettare tutto e rimanere zitto? Ne parlerò la prossima volta.
Per ora, facciamo un attento esame di coscienza riguardo alle parole che vengono dalla nostra bocca, e i sentimenti che abbiamo in cuore.
.
Criticare è vietato
“Non so se tu lo sai” mi ha detto un giovane che mi era venuto a trovare, “ma ho visto con i miei occhi che certi credenti, anche persone in vista, non vivono veramente da cristiani. Perdono la pazienza, dicono cose acide e cattive, non trattano bene la moglie e i figli. Ne ho visto tanti.”
“È interessante” gli ho risposto. “La Bibbia insegna chiaramente come dovrebbe essere il frutto dello Spirito nella nostra vita. Ma non è mai scritto che Dio abbia messo nella chiesa qualcuno e gli abbia dato il compito di essere ispettore del frutto altrui”.
Non c’è nulla di più facile, però, che alcuni di noi si sentano in dovere, e pensino di esserne capaci, di valutare, pesare, ispezionare la testimonianza e la vita degli altri. Senza avere né il diritto né, purtroppo, le qualifiche per farlo.
Minimo, minimo, chi esprime pareri sul frutto spirituale nella vita degli altri farebbe bene a non avere nulla da nascondere nella propria vita.
Giacomo, un fratello di Gesù, era un insegnante autorevole nella chiesa apostolica, e ha scritto nella sua lettera, al capitolo 3: “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, perché manchiamo tutti in molte cose”.
Abbiamo capito bene? Quanti credenti mancano in qualcosa? TUTTI! E in quante cose manchiamo tutti? MOLTE!
Giacomo continua il suo discorso, scrivendo: “Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto”. Siccome l’insegnamento continuo della Parola di Dio è che non esistono uomini perfetti (e neanche donne perfette, né giovani perfetti né anziani perfetti), è scontato che tutti sbagliano, a volte, in ciò che dicono e nel modo di dirlo.
Non ha usato frasi “politicamente corrette” l’apostolo Paolo quando ha dovuto trattare il problema delle critiche e giudizi di altri nella chiesa. Ha scritto: “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui (cioè un tuo fratello che, come te, serve il Signore)? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone: ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi” (Lettera di Paolo ai Romani, capito 14, v. 4).
“Ma tu, perché giudichi il tuo fratello?” Paolo scrive nel versetto 10 dello stesso capitolo. “E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio” (v. 10). E, nel versetto 13, conclude: “Smettiamo, dunque, di giudicarci gli uni gli altri”.
Perché l’apostolo Paolo si riscaldava tanto? La risposta è chiara: perché i giudizi, il disprezzo, le critiche di altri fratelli e sorelle era un problema grosso nella chiesa a Roma. Esattamente come può essere un problema grosso nella tua chiesa o nella mia. La tentazione di criticare altri, per innalzare, consciamente o inconsciamente, noi stessi è così comune che nessuno ne è esente.
Ma le critiche, se le teniamo soltanto “fra noi” (marito e moglie, alcuni del gruppo dei giovani, alcune sorelle o fratelli), che male possono fare? Primo, è una disubbidienza a Dio, una spia che si è accesa per indicare la mancanza dello spirito di amore che dovrebbe regnare nella chiesa. Poi, secondo, è qualcosa che certamente porterà alla formazione di divisioni, cricche, rivalità nocive per la buona armonia della chiesa. Terzo, smorzerà l’opera dello Spirito Santo, impedendo la testimonianza verso l’esterno, frenando la crescita spirituale di tutti, permettendo che la carnalità regni a tutti i livelli della vita della chiesa.
Ma, non si può neanche avvertire un fratello, una sorella, un giovane, che sta sbagliando, che sta perdendo il suo “primo amore”? Devo accettare tutto e rimanere zitto? Ne parlerò la prossima volta.
Per ora, facciamo un attento esame di coscienza riguardo alle parole che vengono dalla nostra bocca, e i sentimenti che abbiamo in cuore.
.
martedì 30 giugno 2009
Esiste una nuova fobia?
.
La Bibbia che cosa dice?
Come ho spiegato nel blog della settimana scorsa (vedi quel blog, se non h’hai letto), il giornale delle Chiese battiste-metodiste-valdesi, Riforma, ha pubblicato recentemente un articolo sull’omofobia, intitolato “Riconoscersi creature di Dio”, in occasione della “Giornata mondiale contro l’omofobia”.
Lo scopo è stato spiegare perché alcuni membri delle loro chiese, o altri cristiani, potrebbero correre il pericolo di cadere nell’omofobia, se non capiscono che gli omosessuali devono essere accettati pienamente nelle chiese, come qualsiasi altra minoranza.
È chiaro dall’articolo che l’autore desidera giustificare la condotta omosessuale biblicamente. Ovviamente, non si pensa minimamente a mettere in discussione il comportamento omosessuale, ma, piuttosto, conviene mettere in dubbio ciò che è scritto nella Bibbia. Facendo la scoperta dell’impossibilità di far quadrare le loro tesi con la Bibbia, corrono al riparo nell’unico modo possibile, rifiutando di prendere sul serio ciò che la Bibbia stessa afferma come Parola di Dio.
Mettono a tacere i passi biblici sull’argomento con due metodi diversi, e complementari.
Primo, i passi che chiaramente condannano l’omosessualità, come Levitico 18:22, 20:13, secondo loro, non condannano l’omosessualità di oggi, che sarebbe basata sull’amore, ma l’omosessualità praticata in antichi riti religiosi pagani. Neanche la descrizione e condanna contenuta nel passo della lettera ai Romani 1:24,27 parla dell’omosessualità praticata oggi, perché l’apostolo Paolo avrebbe voluto parlare solo contro il vizio e sfruttamento dell’omossessualità. Oppure, secondo altri, in questo passo Paolo non parlava per ispirazione di Dio.
È alquanto strano, però, che questi passi di condanna non affermano neanche alla lontana, nel loro contesto, ciò che oggi si vorrebbe fare dire loro. Anzi, condannano fortemente il comportamento omosessuale e basta.
Il secondo tentativo di fare accettare l’omosessualità oggi è affermare che la Bibbia contiene riferimenti a relazioni omosessuali o lesbiche senza condannarle.
Gli esempi sarebbero, secondo alcuni, nell’Antico Testamento, la relazione fra Rut e sua suocera, Naomi, che potrebbe fare capire che il lesbismo è approvato, mentre l’amicizia fra Davide e Gionatan potrebbe descrivere una relazione omosessuale pulita e amorevole, non da condannare.
Per di più, alcuni si sono spinti a vedere nella relazione fra Gesù e Giovanni, descritto come “colui che Gesù amava” (Giovanni 13:23, 21:20), più di una mera amicizia.
Ovviamente, vedere in queste relazioni bibliche un riferimento all’omosessualità, velato o criptato che sia, sembra rivelare un chiodo fisso di chi vede in esse una rivelazione biblica a favore dell’omosessualtià.
Se questo movimento di alcuni omosessuali evangelici e cattolici vuole per forza chiamarsi cristiano, noi non possiamo che fare registrare un nostro forte dubbio sull’uso delle parole. Non intendiamo agire con odio, violenza o altro nei loro riguardi, né con persecuzioni. Ma questa nostra posizione non li soddisfa; perciò non trovano pace.
In varie nazioni i movimenti contro l’omofobia hanno promosso delle leggi che farebbero passare legalmente la mera citazione di ciò che la Bibbia dice sulla questione per “discorsi intrisi di odio”. Credenti in diverse nazioni sono stati già denunziati soltanto per avere letto certi passi della Bibbia ad alta voce, all’interno delle sale di culto.
Anche in Italia, recentemente Il Tribunale dei Minori di Catanzaro ha rifiutato di concedere al padre l’affido condiviso con la madre del proprio figlio, perché, in quanto egli ha denunziato “omosessuali e drogati”, la corte ha considerato “fortemente diseducativo” per il figlio dovere frequentare un padre che potrebbe trasmettergli dei “disvalori come l’omofobia”.
Ovviamente la discriminazione in questo caso non è contro l’omosessualità, come gli omosessuali continuano a insistere, ma contro il padre non-omosessuale, togliendogli il diritto di godere la compagnia di suo figlio e di professare ciò che crede.
E qui vediamo dove casca l’asino. Si è inventata una parola, omofobia, dandole un senso assolutamente contrario al suo significato etimologico, per condannare chi non approva l’omosessualità. Già facendo passare questa parola come una corretta descrizione di chi non approva l’omosessualità, la parola “fobia” fa diventare questa persona una povera malata, che ha una paura irragionevole e ossessiva degli omosessuali e perciò va curata mentalmente, e anche denunziata penalmente e eventualmente allontanata dai propri figli.
Questo processo di criminalizzazione è, in parte, sostenuto dalle chiese evangeliche e dagli omosessuali che ne fanno parte. In Italia, come nel resto del mondo “cristiano”, molte chiese approvano questo movimento o altre si chiudono nel silenzio per paura di confrontarsi su ciò che la Bibbia dice.
Il credente, che utilizza il suo diritto di esprimere la sua opinione e la sua comprensione delle Sacre Scritture per condannare quei comportamenti nella sfera sessuale che sono anche condannati nella Bibbia, non è certamente ammalato di nessuna fobia. Anzi non solo agisce giustamente nei riguardi della sua fede, ma dimostra amore, non odio, per tutti quelli che sono, alla luce della Bibbia, sotto la condanna di Dio.
Amare un adultero, un fornicatore o altra persona intrappolata in diversi tipi di peccato nella sfera sessuale, fino al punto di spiegargli come Dio, nel suo amore, ha agito donando il proprio Figlio per potergli offrire in dono la vita eterna, liberandolo dal suo peccato, non è il risultato di nessuna fobia, ma è un agire con una coscienza chiara davanti a Dio e agli uomini.
È, in fondo, ubbidire al comandamento di Dio di predicare a tutti gli uomini il bisogno di ravvedersi e credere nel Salvatore che è morto per togliere il loro peccato e la sua pena.
I credenti non sono mai giustificati se agiscano con odio o disprezzo verso qualsiasi essere umano, qualunque sia il peccato che possa praticare, perché il messaggio del Vangelo è un messaggio di amore e di salvezza. Comunque non è un messaggio che approva o sorvola sul peccato. Ignorare o fare finta di nulla davanti a qualsiasi peccato sarebbe un atto totalmente mancante dell’amore cristiano.
.
La Bibbia che cosa dice?
Come ho spiegato nel blog della settimana scorsa (vedi quel blog, se non h’hai letto), il giornale delle Chiese battiste-metodiste-valdesi, Riforma, ha pubblicato recentemente un articolo sull’omofobia, intitolato “Riconoscersi creature di Dio”, in occasione della “Giornata mondiale contro l’omofobia”.
Lo scopo è stato spiegare perché alcuni membri delle loro chiese, o altri cristiani, potrebbero correre il pericolo di cadere nell’omofobia, se non capiscono che gli omosessuali devono essere accettati pienamente nelle chiese, come qualsiasi altra minoranza.
È chiaro dall’articolo che l’autore desidera giustificare la condotta omosessuale biblicamente. Ovviamente, non si pensa minimamente a mettere in discussione il comportamento omosessuale, ma, piuttosto, conviene mettere in dubbio ciò che è scritto nella Bibbia. Facendo la scoperta dell’impossibilità di far quadrare le loro tesi con la Bibbia, corrono al riparo nell’unico modo possibile, rifiutando di prendere sul serio ciò che la Bibbia stessa afferma come Parola di Dio.
Mettono a tacere i passi biblici sull’argomento con due metodi diversi, e complementari.
Primo, i passi che chiaramente condannano l’omosessualità, come Levitico 18:22, 20:13, secondo loro, non condannano l’omosessualità di oggi, che sarebbe basata sull’amore, ma l’omosessualità praticata in antichi riti religiosi pagani. Neanche la descrizione e condanna contenuta nel passo della lettera ai Romani 1:24,27 parla dell’omosessualità praticata oggi, perché l’apostolo Paolo avrebbe voluto parlare solo contro il vizio e sfruttamento dell’omossessualità. Oppure, secondo altri, in questo passo Paolo non parlava per ispirazione di Dio.
È alquanto strano, però, che questi passi di condanna non affermano neanche alla lontana, nel loro contesto, ciò che oggi si vorrebbe fare dire loro. Anzi, condannano fortemente il comportamento omosessuale e basta.
Il secondo tentativo di fare accettare l’omosessualità oggi è affermare che la Bibbia contiene riferimenti a relazioni omosessuali o lesbiche senza condannarle.
Gli esempi sarebbero, secondo alcuni, nell’Antico Testamento, la relazione fra Rut e sua suocera, Naomi, che potrebbe fare capire che il lesbismo è approvato, mentre l’amicizia fra Davide e Gionatan potrebbe descrivere una relazione omosessuale pulita e amorevole, non da condannare.
Per di più, alcuni si sono spinti a vedere nella relazione fra Gesù e Giovanni, descritto come “colui che Gesù amava” (Giovanni 13:23, 21:20), più di una mera amicizia.
Ovviamente, vedere in queste relazioni bibliche un riferimento all’omosessualità, velato o criptato che sia, sembra rivelare un chiodo fisso di chi vede in esse una rivelazione biblica a favore dell’omosessualtià.
Se questo movimento di alcuni omosessuali evangelici e cattolici vuole per forza chiamarsi cristiano, noi non possiamo che fare registrare un nostro forte dubbio sull’uso delle parole. Non intendiamo agire con odio, violenza o altro nei loro riguardi, né con persecuzioni. Ma questa nostra posizione non li soddisfa; perciò non trovano pace.
In varie nazioni i movimenti contro l’omofobia hanno promosso delle leggi che farebbero passare legalmente la mera citazione di ciò che la Bibbia dice sulla questione per “discorsi intrisi di odio”. Credenti in diverse nazioni sono stati già denunziati soltanto per avere letto certi passi della Bibbia ad alta voce, all’interno delle sale di culto.
Anche in Italia, recentemente Il Tribunale dei Minori di Catanzaro ha rifiutato di concedere al padre l’affido condiviso con la madre del proprio figlio, perché, in quanto egli ha denunziato “omosessuali e drogati”, la corte ha considerato “fortemente diseducativo” per il figlio dovere frequentare un padre che potrebbe trasmettergli dei “disvalori come l’omofobia”.
Ovviamente la discriminazione in questo caso non è contro l’omosessualità, come gli omosessuali continuano a insistere, ma contro il padre non-omosessuale, togliendogli il diritto di godere la compagnia di suo figlio e di professare ciò che crede.
E qui vediamo dove casca l’asino. Si è inventata una parola, omofobia, dandole un senso assolutamente contrario al suo significato etimologico, per condannare chi non approva l’omosessualità. Già facendo passare questa parola come una corretta descrizione di chi non approva l’omosessualità, la parola “fobia” fa diventare questa persona una povera malata, che ha una paura irragionevole e ossessiva degli omosessuali e perciò va curata mentalmente, e anche denunziata penalmente e eventualmente allontanata dai propri figli.
Questo processo di criminalizzazione è, in parte, sostenuto dalle chiese evangeliche e dagli omosessuali che ne fanno parte. In Italia, come nel resto del mondo “cristiano”, molte chiese approvano questo movimento o altre si chiudono nel silenzio per paura di confrontarsi su ciò che la Bibbia dice.
Il credente, che utilizza il suo diritto di esprimere la sua opinione e la sua comprensione delle Sacre Scritture per condannare quei comportamenti nella sfera sessuale che sono anche condannati nella Bibbia, non è certamente ammalato di nessuna fobia. Anzi non solo agisce giustamente nei riguardi della sua fede, ma dimostra amore, non odio, per tutti quelli che sono, alla luce della Bibbia, sotto la condanna di Dio.
Amare un adultero, un fornicatore o altra persona intrappolata in diversi tipi di peccato nella sfera sessuale, fino al punto di spiegargli come Dio, nel suo amore, ha agito donando il proprio Figlio per potergli offrire in dono la vita eterna, liberandolo dal suo peccato, non è il risultato di nessuna fobia, ma è un agire con una coscienza chiara davanti a Dio e agli uomini.
È, in fondo, ubbidire al comandamento di Dio di predicare a tutti gli uomini il bisogno di ravvedersi e credere nel Salvatore che è morto per togliere il loro peccato e la sua pena.
I credenti non sono mai giustificati se agiscano con odio o disprezzo verso qualsiasi essere umano, qualunque sia il peccato che possa praticare, perché il messaggio del Vangelo è un messaggio di amore e di salvezza. Comunque non è un messaggio che approva o sorvola sul peccato. Ignorare o fare finta di nulla davanti a qualsiasi peccato sarebbe un atto totalmente mancante dell’amore cristiano.
.
martedì 23 giugno 2009
Il bluff della nuova fobia
.
Ne pensano sempre una nuova
Dimmi la verità: se sei uomo, hai avuto una paura irragionevole dell’uomo che hai visto ieri al supermercato? Se sei donna, senti sempre una paura irragionevole della tua parucchiera, quando vai da lei?
Come sappiamo tutti, “fobia” viene dal greco e vuol dire paura. Particolarmente una paura irragionevole e oppressiva. C’è la agorafobia, ovvero la paura di attraversare una piazza affollata, l’acrofobia, che è la paura di stare in luoghi alti, la claustrofobia, cioè la paura di trovarsi in luoghi chiusi e tante altre.
E, secondo Riforma, (Anno XII – numero 19 – 15 maggio 2009), il periodico delle Chiese battiste, metodiste e valdesi, in Italia, il 17 maggio è stata osservata la quarta giornata mondiale contro la “omofobia”.
Cos’è questa nuova fobia? Il prefisso omo vuol dire “uguale, dello stesso tipo”. Perciò, a rigore di logica, l’omofobia sarebbe una paura irragionevole e ossessiva da parte degli omosessuali contro altri omosessuali, cioè di “qualcuno come te, uguale a te”. Ma… esiste una fobia simile?
Il Parlamento europeo è intervenuto per chiarire la questione. In una risoluzione approvata il 18/1/06, paragrafo A, afferma: “L'omofobia può essere definita come una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e dei gay, delle lesbiche, dei bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo.”
In altre parole, l’omofobia non vuol dire che tu hai una paura irrazionale di tutti gli uomini, se tu sei uomo, o hai la stessa paura di tutte le donne, se tu sei donna. Questa sarebbe la definizione giusta della parola omofobia. Invece, gli omosessuali hanno deciso che la parola omofobia vuol dire avere una paura irrazionale e ossessiva di loro. E siccome hanno una forte influenza in molti ambienti, possono definire la parola come vogliono loro.
E, come si comportano le persone pericolose afflitte dall’omofobia? Il Parlamento europeo l’ha spiegato così: “L'omofobia si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza.”
E questo tipo di omofobia sarebbe un pericolo perché si trasmette nelle chiese evangeliche?
Per la grazia di Dio, io frequento delle chiese evangeliche da oltre settanta anni, sia in quasi tutti i paesi dell’Europa e tutti gli stati degli Stati Uniti. Non mi pare di avere mai sentito in queste chiese, neanche una volta, un “discorso intriso di odio e istigazione alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzione e omicidio, ecc.” contro gli omosessuali. Dall’altra parte, lo ammetto, nelle chiese che ho frequentate io, non mi ricordo di avere mai sentito un discorso a favore dell’omosessualità.
A me sembra che attaccare le chiese o i credenti come malati di omofobia sia una forma violenta di straightofobia (Questa parola l’ho inventata io e vuol descrivere chi soffre a causa di una fobia, cioè una paura irragionevole e ossessiva, delle persone non omosessuali, ovvero straight).
L’articolo apparso sul giornale delle chiese battiste-metodiste-valdesi, sembra agitarsi contro la diffusione, o anche l’esistenza, dell’omofobia nelle chiese, che chiama “spia dei crampi religiosi che con i loro affanni impediscono la libera crescita di una fede serena, responsabile e matura”.
Mi ha sempre sorpreso il fatto che un certo segmento del movimento di “gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT)”, desidera essere considerato per forza un movimento cristiano o evangelico. Mi sorprende questa fissazione per ottenere l’approvazione religiosa del loro comportmento, perché sono loro, in generale, che, per difendere la loro posizione, cercano di smontare in qualche modo il messaggio della Bibbia.
L’articolo su Riforma, riferendosi a passi biblici che non parlano affatto bene dell’omosessualità, si domanda: “Come facciamo a dire con certezza che sono Parola di Dio?” Aggiunge poi che gli evangelici che non approvano l’omosessualità onorano “prescrizioni religiose dall’origine divina quantomeno dubbia e problematica”. In altre parole, sanno che vi sono passi biblici che addirittura vietano e condannano gli atti omosessuali, ma concludono, secondo loro, che non è possibile sapere se questi passi siano davvero parola di Dio e, anzi, che si farebbe bene a classificarli come “di origine dubbia e problematica”.
In altre parole, se la Bibbia parla male dell’omosessualità, è meglio non considerare queste affermazioni come Parola di Dio.
Ma, di questo scriverò la prossima volta.
.
Ne pensano sempre una nuova
Dimmi la verità: se sei uomo, hai avuto una paura irragionevole dell’uomo che hai visto ieri al supermercato? Se sei donna, senti sempre una paura irragionevole della tua parucchiera, quando vai da lei?
Come sappiamo tutti, “fobia” viene dal greco e vuol dire paura. Particolarmente una paura irragionevole e oppressiva. C’è la agorafobia, ovvero la paura di attraversare una piazza affollata, l’acrofobia, che è la paura di stare in luoghi alti, la claustrofobia, cioè la paura di trovarsi in luoghi chiusi e tante altre.
E, secondo Riforma, (Anno XII – numero 19 – 15 maggio 2009), il periodico delle Chiese battiste, metodiste e valdesi, in Italia, il 17 maggio è stata osservata la quarta giornata mondiale contro la “omofobia”.
Cos’è questa nuova fobia? Il prefisso omo vuol dire “uguale, dello stesso tipo”. Perciò, a rigore di logica, l’omofobia sarebbe una paura irragionevole e ossessiva da parte degli omosessuali contro altri omosessuali, cioè di “qualcuno come te, uguale a te”. Ma… esiste una fobia simile?
Il Parlamento europeo è intervenuto per chiarire la questione. In una risoluzione approvata il 18/1/06, paragrafo A, afferma: “L'omofobia può essere definita come una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e dei gay, delle lesbiche, dei bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo.”
In altre parole, l’omofobia non vuol dire che tu hai una paura irrazionale di tutti gli uomini, se tu sei uomo, o hai la stessa paura di tutte le donne, se tu sei donna. Questa sarebbe la definizione giusta della parola omofobia. Invece, gli omosessuali hanno deciso che la parola omofobia vuol dire avere una paura irrazionale e ossessiva di loro. E siccome hanno una forte influenza in molti ambienti, possono definire la parola come vogliono loro.
E, come si comportano le persone pericolose afflitte dall’omofobia? Il Parlamento europeo l’ha spiegato così: “L'omofobia si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza.”
E questo tipo di omofobia sarebbe un pericolo perché si trasmette nelle chiese evangeliche?
Per la grazia di Dio, io frequento delle chiese evangeliche da oltre settanta anni, sia in quasi tutti i paesi dell’Europa e tutti gli stati degli Stati Uniti. Non mi pare di avere mai sentito in queste chiese, neanche una volta, un “discorso intriso di odio e istigazione alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzione e omicidio, ecc.” contro gli omosessuali. Dall’altra parte, lo ammetto, nelle chiese che ho frequentate io, non mi ricordo di avere mai sentito un discorso a favore dell’omosessualità.
A me sembra che attaccare le chiese o i credenti come malati di omofobia sia una forma violenta di straightofobia (Questa parola l’ho inventata io e vuol descrivere chi soffre a causa di una fobia, cioè una paura irragionevole e ossessiva, delle persone non omosessuali, ovvero straight).
L’articolo apparso sul giornale delle chiese battiste-metodiste-valdesi, sembra agitarsi contro la diffusione, o anche l’esistenza, dell’omofobia nelle chiese, che chiama “spia dei crampi religiosi che con i loro affanni impediscono la libera crescita di una fede serena, responsabile e matura”.
Mi ha sempre sorpreso il fatto che un certo segmento del movimento di “gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT)”, desidera essere considerato per forza un movimento cristiano o evangelico. Mi sorprende questa fissazione per ottenere l’approvazione religiosa del loro comportmento, perché sono loro, in generale, che, per difendere la loro posizione, cercano di smontare in qualche modo il messaggio della Bibbia.
L’articolo su Riforma, riferendosi a passi biblici che non parlano affatto bene dell’omosessualità, si domanda: “Come facciamo a dire con certezza che sono Parola di Dio?” Aggiunge poi che gli evangelici che non approvano l’omosessualità onorano “prescrizioni religiose dall’origine divina quantomeno dubbia e problematica”. In altre parole, sanno che vi sono passi biblici che addirittura vietano e condannano gli atti omosessuali, ma concludono, secondo loro, che non è possibile sapere se questi passi siano davvero parola di Dio e, anzi, che si farebbe bene a classificarli come “di origine dubbia e problematica”.
In altre parole, se la Bibbia parla male dell’omosessualità, è meglio non considerare queste affermazioni come Parola di Dio.
Ma, di questo scriverò la prossima volta.
.
martedì 16 giugno 2009
Lo sai che sei solo fango?
.
Quando le cose ti vanno male…
Nelle case antiche, vi erano molti vasi, di varie forme, alcuni modellati con arte e alcuni fatti di materiali preziosi, oro, argento o vetro.
Ma la stragrande maggioranza era di vasi fatti di fango, cioè di argilla, e cotti nella fornace. Erano vasi che valevano poco, facilmente si scheggiavano, si incrinavano, si rompevano. Ma, dato che valevano poco, erano facilmente rimpiazzati.
L’apostolo Paolo dice che dobbiamo tutti considerarci vasi fatti di fango.
D’altra parte, i vasi di argilla erano molto utili, più utili di quelli di materiali preziosi, perché si potevano adattare a molti usi. In generale, se si mettevano alcuni di questi vasi in un luogo più nascosto o riparato, ciò non dipendeva dal valore del vaso stesso, ma dal valore di ciò che conteneva.
Ecco, allora, se tu sei solo un vaso di terra, cosa contieni?
“Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra” scrisse Paolo, in 2 Corinzi 4:7.
Di quale tesoro si tratta? Nei versetti precedenti, Paolo parla di “Parola di Dio”, “verità”, “vangelo”, “luce” e di “conosocenza della gloria di Dio”. Non c’è da dubitare che si tratta di veri tesori che Dio ha affidato a vasi di terra.
Noi credenti, trasformati e rigenerati dallo Spirito Santo, rimaniamo, purtroppo, vasi di terra, con tutte le debolezze e difetti che questi vasi inevitabilmente portano. E ciò spesso ci spinge a disperare, dubitare, riconoscere il nostro poco valore con dolore o disprezzo. O, altre volte, guardiamo i nostri fratelli e sorelle in Cristo con giudizi, condanna o disprezzo perché ci sembrano talmente deboli, imperfetti e indegni della grazia di Dio.
Difatti, riconoscendosi un debole vaso di terra, Paolo dice che “siamo tribolati in ogni maniera”, “perplessi”, “perseguitati” e “atterrati”.
Penso che tutti noi ci disperiamo spesso per le nostre debolezze, le nostre cadute, la nostra incapacità di vivere la vita cristiana più completamente. D’altra parte, se anche l’apostolo si trovava in questa situazione, bisogna rendersi conto che questo è una parte normale della vita del credente.
Sapere che siamo solo dei vasi di fango o di coccio, ci aiuta a comprendere che viviamo in un mondo imperfetto e che siamo anche noi imperfetti. Non ne siamo contenti, ma questa realtà ci fa desiderare di più di conoscere, un giorno, la realtà perfetta del cielo.
D’altra parte, non possiamo usare la nostra debolezza come scusa per coprire o giustificare le nostre numerose mancanze e non possiamo rilassarci e farci portare dalla corrente.
Però mi pare che veramente ne soffra soltanto il credente che ha un profondo desiderio di essere “santo come Dio è santo”, quando si rende conto continuamente quanto è lontano dalla meta.
Faremmo bene a fare meno attenzione al “vaso” e dedicare il nostro tempo, le nostre forze e la nostra mente a godere e condividere il “tesoro” che Dio, nella sua grazia, ci ha affidato.
.
Quando le cose ti vanno male…
Nelle case antiche, vi erano molti vasi, di varie forme, alcuni modellati con arte e alcuni fatti di materiali preziosi, oro, argento o vetro.
Ma la stragrande maggioranza era di vasi fatti di fango, cioè di argilla, e cotti nella fornace. Erano vasi che valevano poco, facilmente si scheggiavano, si incrinavano, si rompevano. Ma, dato che valevano poco, erano facilmente rimpiazzati.
L’apostolo Paolo dice che dobbiamo tutti considerarci vasi fatti di fango.
D’altra parte, i vasi di argilla erano molto utili, più utili di quelli di materiali preziosi, perché si potevano adattare a molti usi. In generale, se si mettevano alcuni di questi vasi in un luogo più nascosto o riparato, ciò non dipendeva dal valore del vaso stesso, ma dal valore di ciò che conteneva.
Ecco, allora, se tu sei solo un vaso di terra, cosa contieni?
“Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra” scrisse Paolo, in 2 Corinzi 4:7.
Di quale tesoro si tratta? Nei versetti precedenti, Paolo parla di “Parola di Dio”, “verità”, “vangelo”, “luce” e di “conosocenza della gloria di Dio”. Non c’è da dubitare che si tratta di veri tesori che Dio ha affidato a vasi di terra.
Noi credenti, trasformati e rigenerati dallo Spirito Santo, rimaniamo, purtroppo, vasi di terra, con tutte le debolezze e difetti che questi vasi inevitabilmente portano. E ciò spesso ci spinge a disperare, dubitare, riconoscere il nostro poco valore con dolore o disprezzo. O, altre volte, guardiamo i nostri fratelli e sorelle in Cristo con giudizi, condanna o disprezzo perché ci sembrano talmente deboli, imperfetti e indegni della grazia di Dio.
Difatti, riconoscendosi un debole vaso di terra, Paolo dice che “siamo tribolati in ogni maniera”, “perplessi”, “perseguitati” e “atterrati”.
Penso che tutti noi ci disperiamo spesso per le nostre debolezze, le nostre cadute, la nostra incapacità di vivere la vita cristiana più completamente. D’altra parte, se anche l’apostolo si trovava in questa situazione, bisogna rendersi conto che questo è una parte normale della vita del credente.
Sapere che siamo solo dei vasi di fango o di coccio, ci aiuta a comprendere che viviamo in un mondo imperfetto e che siamo anche noi imperfetti. Non ne siamo contenti, ma questa realtà ci fa desiderare di più di conoscere, un giorno, la realtà perfetta del cielo.
D’altra parte, non possiamo usare la nostra debolezza come scusa per coprire o giustificare le nostre numerose mancanze e non possiamo rilassarci e farci portare dalla corrente.
Però mi pare che veramente ne soffra soltanto il credente che ha un profondo desiderio di essere “santo come Dio è santo”, quando si rende conto continuamente quanto è lontano dalla meta.
Faremmo bene a fare meno attenzione al “vaso” e dedicare il nostro tempo, le nostre forze e la nostra mente a godere e condividere il “tesoro” che Dio, nella sua grazia, ci ha affidato.
.
martedì 9 giugno 2009
Il Presidente Obama al Cairo
.
Ci credi alla pace universale?
Il “discorso al mondo arabo”, che il Presidente degli Stati Uniti ha pronunziato all’Università del Cairo il 4 giugno, ha suscitato grandi speranze in alcuni, ha fatto arrabbiare altri, ma a me ha confermato la confusione che esiste nella gente “per bene”.
È evidente che egli si sentiva in dovere di dimostrare, come si dice, un’“apertura” al mondo arabo e musulmano, seminando lodi del loro passato, delle loro capacità, della loro religione e di quant’altro. Ha sottolineato il fatto che lui è “Cristiano”, ma che suo padre era musulmano (grande applauso di pubblico).
Come il Papa, anche Obama ha sottolineato l’importanza del fatto che l’islamismo, il giudaismo e il cristianesimo sono le tre grandi religioni monoteistiche. Ma il fatto che tutti e tre affermano che esiste un solo dio (monoteismo) non significa nulla se non si può dimostrare che tutte e tre le religioni affermano non solo che esiste un unico dio, ma che tutte e tre adorano lo stesso Dio. Su questo punto si sorvola, perché poche persone sono interessate al problema fino al punto di andare a scoprire come queste tre religioni definiscono il dio che adorano.
Né l’islamismo né l’ebraismo affermano che Dio ha un figlio, anzi lo negano con tutta la loro forza. Ma il cristianesimo non esisterebbe senza credere che Gesù è sia Figlio di Dio sia Dio stesso. Per l’islamismo e l’ebraismo questa è bestemmia e eresia. Eppure, Gesù ha detto: “Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato” (Vangelo di Giovanni 5:23) e “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Vangelo di Giovanni 14:6).
Perciò, qui cade uno dei “ponti” che Obama ha voluto gettare verso l’altra sponda.
E sebbene Obama abbia potuto salutare l’uditorio e il mondo arabo con un saluto nella loro lingua, e abbia potuto citare alcune frasi dal Corano stesso, un altro suo “ponte” è stato molto debole. Ha detto che la religione musulmana è una religione di pace e di tolleranza, e ha detto che il Corano condanna l’uccisione dell’innocente (altri applausi). Ma ha omesso di dire che il Corano non dimostra una perfetta coerenza nelle sue proclamazioni. È vero che condanna l’uccisione dell’innocente, ma è altrettanto vero che afferma che Allah premierà chi uccide gli infedeli e che le guerre e gli stermini per guadagnare il favore di Allah sono una parte della storia musulmana di cui vanno fieri.
Non c’è dubbio che questo tipo di appello religioso alla pace e alla tolleranza fra i popoli sia uno dei temi dei grandi discorsi dei nostri tempi. Fa sentire tutti bene e virtuosi, ma è un appello basato soltanto sulla superficiale conoscenza delle diverse religioni o sulla convinzione che le particolari dottrine che le religioni insegnano non hanno, in fondo, molta importanza. Per raggiungere lo scopo, le dottrine si possono smussare o abbandonare.
Dico tutto questo non per dire che desidero che i musulmani, gli ebrei e i cristiani più fedeli alla loro religione debbano ammazzarsi. Dico soltanto che l’appello alle religioni è un’appello fasullo. Più demogogia che conoscenza.
Ovviamente, un appello all’umanità, al bisogno, in un mondo armato di bombe atomiche, di smetterla di ammazzarsi a vicenda, non è affatto sbagliato. Dovrebbe essere logico capire che finora la storia umana ha insegnato che quando gli uomini, le nazioni, le tribù, le ideologie ammassano le armi sempre più potenti, finiscono, poi, per usarle.
È vero che, se tutti i popoli seguissero l’insegnamento biblico di amare il prossimo, e perfino il proprio nemico, le guerre dovrebbero finire. Anche senza l’intervento dell’ONU o di trattati di pace.
Ma le profezie bibliche e gli insegnamenti biblici sul peccato dell’uomo non permettono molto ottimismo su questo fronte. Come disse un altro presidente americano, Teddy Roosevelt, più di un secolo fa, è prudente lavorare per la pace e tenere in mano un forte bastone.
.
Ci credi alla pace universale?
Il “discorso al mondo arabo”, che il Presidente degli Stati Uniti ha pronunziato all’Università del Cairo il 4 giugno, ha suscitato grandi speranze in alcuni, ha fatto arrabbiare altri, ma a me ha confermato la confusione che esiste nella gente “per bene”.
È evidente che egli si sentiva in dovere di dimostrare, come si dice, un’“apertura” al mondo arabo e musulmano, seminando lodi del loro passato, delle loro capacità, della loro religione e di quant’altro. Ha sottolineato il fatto che lui è “Cristiano”, ma che suo padre era musulmano (grande applauso di pubblico).
Come il Papa, anche Obama ha sottolineato l’importanza del fatto che l’islamismo, il giudaismo e il cristianesimo sono le tre grandi religioni monoteistiche. Ma il fatto che tutti e tre affermano che esiste un solo dio (monoteismo) non significa nulla se non si può dimostrare che tutte e tre le religioni affermano non solo che esiste un unico dio, ma che tutte e tre adorano lo stesso Dio. Su questo punto si sorvola, perché poche persone sono interessate al problema fino al punto di andare a scoprire come queste tre religioni definiscono il dio che adorano.
Né l’islamismo né l’ebraismo affermano che Dio ha un figlio, anzi lo negano con tutta la loro forza. Ma il cristianesimo non esisterebbe senza credere che Gesù è sia Figlio di Dio sia Dio stesso. Per l’islamismo e l’ebraismo questa è bestemmia e eresia. Eppure, Gesù ha detto: “Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato” (Vangelo di Giovanni 5:23) e “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Vangelo di Giovanni 14:6).
Perciò, qui cade uno dei “ponti” che Obama ha voluto gettare verso l’altra sponda.
E sebbene Obama abbia potuto salutare l’uditorio e il mondo arabo con un saluto nella loro lingua, e abbia potuto citare alcune frasi dal Corano stesso, un altro suo “ponte” è stato molto debole. Ha detto che la religione musulmana è una religione di pace e di tolleranza, e ha detto che il Corano condanna l’uccisione dell’innocente (altri applausi). Ma ha omesso di dire che il Corano non dimostra una perfetta coerenza nelle sue proclamazioni. È vero che condanna l’uccisione dell’innocente, ma è altrettanto vero che afferma che Allah premierà chi uccide gli infedeli e che le guerre e gli stermini per guadagnare il favore di Allah sono una parte della storia musulmana di cui vanno fieri.
Non c’è dubbio che questo tipo di appello religioso alla pace e alla tolleranza fra i popoli sia uno dei temi dei grandi discorsi dei nostri tempi. Fa sentire tutti bene e virtuosi, ma è un appello basato soltanto sulla superficiale conoscenza delle diverse religioni o sulla convinzione che le particolari dottrine che le religioni insegnano non hanno, in fondo, molta importanza. Per raggiungere lo scopo, le dottrine si possono smussare o abbandonare.
Dico tutto questo non per dire che desidero che i musulmani, gli ebrei e i cristiani più fedeli alla loro religione debbano ammazzarsi. Dico soltanto che l’appello alle religioni è un’appello fasullo. Più demogogia che conoscenza.
Ovviamente, un appello all’umanità, al bisogno, in un mondo armato di bombe atomiche, di smetterla di ammazzarsi a vicenda, non è affatto sbagliato. Dovrebbe essere logico capire che finora la storia umana ha insegnato che quando gli uomini, le nazioni, le tribù, le ideologie ammassano le armi sempre più potenti, finiscono, poi, per usarle.
È vero che, se tutti i popoli seguissero l’insegnamento biblico di amare il prossimo, e perfino il proprio nemico, le guerre dovrebbero finire. Anche senza l’intervento dell’ONU o di trattati di pace.
Ma le profezie bibliche e gli insegnamenti biblici sul peccato dell’uomo non permettono molto ottimismo su questo fronte. Come disse un altro presidente americano, Teddy Roosevelt, più di un secolo fa, è prudente lavorare per la pace e tenere in mano un forte bastone.
.
Iscriviti a:
Post (Atom)