martedì 11 agosto 2009

Le nostre corse inutili

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Hai capito che correre non basta?

Non c’è che dire: il giovane era forte e correva bene. Mi aveva superato come se fosse seduto in poltrona.

“Eh! Fa troppo caldo per correre tanto. Dove stai andando?”

“Non lo so” rispose. “Ma spero di arrivare presto!”

Paragonare la vita ad una corsa è molto comune. Insomma, tutti corriamo. Partiamo dall’infanzia e arriviamo… alla vecchiaia e alla tomba! Vale la pena correre tanto?

Vale la pena correre senza sapere dove vai e neanche come arrivare? La solita corsa include la scuola, la palestra, gli amici, il lavoro, la discoteca, il fidanzato, il cuore rotto, la nuova speranza, la convivenza, il matrimonio, un figlio, la separazione, il nuovo amore, il divorzio, la casa, i viaggi, la carriera, la delusione, la stanchezza, il desiderio di buttare tutto alle ortiche. C’è chi ammette la sconfitta e chi la nasconde.

Ovviamente, quella corsa non è la tua. Ma quanto sei diverso o diversa? Sei sicuro che sai dove stai andando? Sei sicura che ci arriverai? Cristiani, atei, agnostici, apatici, seguaci dell’ultima setta, del guru più “in”. Molti hanno una meta irrealizzabile: la loro vita è un “Vorrei ma non ce la faccio!”

Altri si sono stufati della corsa, ma non sanno scendere.

“Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio corrono tutti?” ha domandato l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Corinzi, e poi aggiunse, secco: “ma uno solo ottiene il premio”. Correre non basta!

Ecco il punto: tutti corrono, ma ottenere il premio è una cosa rara. E, secondo la Bibbia, ottenere il premio non dipende dalla forza fisica, dall’intelligenza, dalla furbizia, dal caso, dalla chiesa che frequenti, dalla posizione dei pianeti, dalla fortuna né da alcuna qualità umana.

Purtroppo, molte persone sincere, con le intenzioni migliori, sprecano la loro vita e, alla fine, rimangono frustrate e depresse. Vanno avanti soltanto per abitudine.

Questo può succedere anche ai credenti, ai figli di credenti, agli amici di credenti, a quelli che si impegnano nella chiesa e nelle attività più stimate. È una cosa certa: nessuno vince il “premio” solo per caso.

È stato l’apostolo Paolo che, parlando della sua esperienza personale, ha dato un quadro giusto di questa corsa e di ciò che è necessario per finirla bene.

Nella sua lettera ai Filippesi, al capitolo 3, Paolo fa un lungo elenco delle cose che egli aveva considerato come spinte preziose per essere approvato da Dio: la sua famiglia molto religiosa, la sua educazione severa e pia, i suoi sforzi da adulto di essere riconosciuto come zelante nella religione. Ma, ad un certo punto, ha scoperto che, invece di dargli una spinta in avanti, questi suoi pregi erano tutti pesi che lo frenevano e lo portavano fuori pista. Egli, come tanta gente religiosa, era, di fatto, un perdente. Perciò ha scritto che, ad un certo punto, ha buttato via tutto ciò che era stato il tesoro di cui si era vantato da tanti anni, considerandolo come letame.

Da quel punto in avanti ha cominciato una nuova “corsa”, non basata su ciò che lui era o che lui faceva per meritare l’approvazione di Dio, ma sulla rivoluzione avvenuta in lui per mezzo della sua fede in Cristo, per cui la sua posizione era garantita. Egli godeva, davanti a Dio, del diritto di essere considerato giusto quanto Cristo stesso.

Ma non si considerava “arrivato”. Tutta la sua vita era una corsa. Ora la sua corsa aveva un solo scopo: conoscere intimamente, attraverso la comunione spirituale, Cristo e, conoscendolo, essere trasformato per somigliare a Lui nel suo carattere, nella sua santità, nelle sue mete.

La sua vita non poteva certamente essere considerata una corsa senza meta. Anzi, egli scrisse: “Una cosa faccio, dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù.”

Con queste parole, ha svalutato, una volta per sempre, tutte le corse e tutte le mète secondarie o palesamente inutili, che coinvolgono gli uomini di ogni razza, cultura e religione.

Forse per noi è difficile comprendere questo profondo cambiamento nel pensiero e nella vita di Paolo. Perciò, torno spesso a questo passo nel capitolo 3 della sua lettera ai Filippesi, nel Nuovo Testamento, per esaminare la mia vita e la mia mèta.

Non vorrei spendere la mia vita raccogliendo e tenendomi stretto del letame! O, forse, finire la mia vita in un letamaio. E tu?

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