martedì 27 ottobre 2009

Serva, schiava o… salvezza? — 2

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Bisogna andare oltre i luoghi comuni

È vero che, quando Dio ha creato la donna, ha detto qualcosa che gli uomini intendono, purtroppo, come vogliono.

“Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che gli sia convenevole.”

“Convenevole” NON vuol dire che la moglie sappia solo lavare piatti e lucidare le scarpe. Infatti, “convenevole” vuol dire, in parole pratiche, che Dio ha inteso mettere accanto all’uomo una creatura perfetta, squisita e amorevole, adatta e capace di completare ciò che serve nella sua vita, per vivere bene, felicemente, nel benesssere, nella pace, nella gioia e piena realizzazione dei piani di Dio, sia per l’uomo, sia per la coppia, sia per la famiglia.

Gli anni della “liberazione femminile”, in gran parte scatenata dall’incomprensione degli uomini verso le loro mogli, hanno dimostrato che le donne sono capaci di fare molte delle cose che hanno fatto sempre gli uomini e di farle bene: medici, scienziati, commercanti, imprenditori, operai, impiegati, professionisti di ogni categoria.

Come mai gli uomini non l’avevano scoperto, prima della guerra fra i sessi? Perché spesso andavano avanti ciecamente, nella loro cultura maschilista, ignorando il fatto che Dio, quando ha creato Adamo ed Eva, ha affidato loro, come coppia, la cura e lo sviluppo di tutte le possibilità e le gioie dell’intero creato.

Ma, dal momento dell’ingresso del peccato nella coppia, la collaborazione è stata sostituita dalla competizione, l’apprezzamento delle capacità e delle realizzazioni dell’altro, dalla pazza corsa da parte di ciascuno ad innalzare se stesso.

E così, a causa del peccato, l’uomo ha perso il più bel dono che Dio gli ha voluto dare: il pieno godimento e la soddisfazione dell’unità della coppia e dei benefici meravigliosi, spirituali, emotivi, intellettuali e fisici che sono frutto della collaborazione, comunione e comunicazione di due essere fatti a immagine di Dio e liberi e desiderosi di esprimere ogni loro capacità anche per il bene dell’altro.

È soltanto quando l’uomo nuovo in Cristo impara, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio, che può dire sinceramente e con piena convinzione a sua moglie: “Io ho bisogno di te! Senza di te non posso trovare né la gioia né le benedizioni che Dio mi vuole dare”.

E la moglie può rispondere, quando ha imparato, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio: “Io esisto per aiutarti. Permettimi di collaborare con te perché tu possa essere e fare tutto ciò che Dio vuole che tu sia”.

Non è facile per due esseri peccatori, neanche quando diventano figli di Dio per mezzo della “nuova nascita” spirituale, aprirsi totalmente per vivere una vita di amorevole dipendenza l’uno dell’altro.

Ma è soltanto quando, nella convinzione della coppia, la moglie non è più né serva né schiava, che lei può diventare la “salvezza” della coppia stessa, nel senso che, dedicandosi alla collaborazione col marito e al compimento del piano di Dio, diventa la spinta, la forza, la colla che permette a due persone diverse di diventare, in effetti, una sola.

Ovviamente, queste non sono vittorie che si conquistano in un momento, ma sono la conquista di una vita vissuta in due, sotto la guida di Dio. Sia il marito che la moglie devono imparare, attraverso le prove e le difficoltà, i tentativi e i successi, cosa significa donare ognuno la vita per l’altro.

La prossima volta: un pericolo che non dipende dal marito.

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