martedì 25 dicembre 2012

Una passeggiata fra le bugie



E tu credi di capire il Natale


  • Tanto per cominciare: Gesù è nato in una stalla, vero?
  • Gesù è nato il 25 dicembre, vero?
  • Gesù è nato in una grotta, vero?
  • Quando Gesù è nato, aveva vicini un bue e un asino, vero?
  • I re magi erano tre, vero?
  • I re magi viaggiavano su cammelli, vero?
  • Gesù è venuto per fermare le guerre e per stabilire la pace, vero?
  • Il bambino Gesù ha fatto diversi miracoli, vero?
  • Maria mise Gesù in una mangiatoia, vero?
  • I re magi trovarono Gesù in una casa, vero?

Beh, secondo i vangeli che raccontano la nascita di Gesù, solo le due ultime asserzioni sono vere, ma tutte le altre non sono confermate da nessuna parola della Bibbia.

Ci sono tre affermazioni di Gesù sul motivo per cui è venuto che meritano la tua attenzione.

“Io (il Figlio dell’uomo) sono venuto per cercare e salvare ciò che era perduto”.

“Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi.”

“Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.”

Queste parole di Gesù ti fanno pensare che la sua venuta poteva avere un significato personale proprio per te?

C’è un modo in cui tu potresti essere definito come un “perduto” da salvare?

C’è un modo in cui tu potresti essere definito come uno che “non vede”? Un non-vedente che ha bisogno di guarigione?

Tu dubiti di possedere e godere “la vita in abbondanza” di cui Gesù ha parlato? C’è una “vita abbondante” che ti sfugge?

È importante che né tu né io crediamo che “abbiamo tutte le risposte giuste”. Hai sbagliato almeno una risposta delle domande che ho fatto all’inizio? È possibile che tu sia una persona che Gesù sta ancora cercando per darti la sua “vita abbondante”?

Che bella stagione, per essere “trovato”, “guarito” e ricevere il dono che Dio ti ha preparato. Pensaci!
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martedì 18 dicembre 2012

Un bellissimo mondo con tanti difetti



Tu puoi goderlo di più!

Sai perché esisti? È una bella domanda. E anche la risposta è bella.


Tu esisti perché Dio lo ha voluto. Punto. Non sei qui per caso. La Bibbia dice che prima che il mondo fosse creato, Dio già ti conosceva!


Dio ha creato il mondo con tutte le sue bellissime perfezioni e ha creato anche gli uomini che miracolosamente sono fatti “a sua immagine”, cioè sono capaci di amare, godere, apprezzare, immaginare, inventare (e molto di più) come fa Lui.


Dio voleva che tu vivessi in questa meravigliosa creazione e che tu conoscessi, per mezzo di essa, la sua eterna potenza, che supera qualsiasi potenza che noi possiamo immaginare, e la sua divinità, cioè l’immensa differenza che esiste fra noi e Lui, per cui Egli merita la nostra gratitudine per ogni cosa bella e preziosa che ha messo nella nostra vita e per ogni prezioso momento di pace, di gioia, di amore, che sperimentiamo ora o che mai sperimenteremo.


Purtroppo, sia l’universo sia la nostra stessa persona sono stati in qualche modo influenzati dal peccato e dall’imperfezione che sono stati introdotti nel mondo a causa della ribellione degli uomini a Dio. Malgrado questo disastro, il mondo e la vita ancora ci offrono molti motivi di gioia e di amore.


E l’apostolo Paolo ha scritto che gli uomini sono giudicati da Dio perché, pur potendo percepire la sua bontà e la sua perfezione nel creato, non l’hanno né ringraziato né glorificato. Guardiamo le cose da vicino: tu vivi ringraziando Dio e glorificandolo?


Cosa vuol dire “glorificare” Dio? Tutto ciò che tu fai di bene e di bello e di generoso e di amorevole serve a “glorificare” Dio o a mostrare e a rendere visibile nel mondo la sua gloria. Però, è anche vero che tutto ciò che tu fai, basato sulle tue capacità e volontà, è reso imperfetto (cioè meno che perfetto) se il tuo cuore e la tua mente non sono pienamente in armonia con Dio. Questa armonia è impossibile all’uomo o donna nel loro stato naturale, perché tutti gli esseri umani nascono e vivono, proprio a causa della loro natura, sotto l’ombra velenosa del peccato.


Il cambiamento, che solo Dio può attuare, si chiama “nuova nascita” (la nascita di una nuova vita spirituale, capace di piacere a Dio perché creata da Dio). Èun’esperienza che trasformala tua vita che vivi col corpo e con la mente che hai avuti fin dalla tua nascita fisica.


In effetti, tu non sei nato per soffrire, né per marcire, né per annoiarti, né per fallire, perché Dio ha mandato suo Figlio per… ma questa mi sembra la storia di Natale. Che hai sentito, forse, mille volte. Però, ci sono delle verità a questo riguardo che forse non hai mai sentito. Ne scriverò martedì prossimo.
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martedì 11 dicembre 2012

Rallegriamoci di quanto siamo bravi



Dopotutto, siamo noi i capi che meritano gli onori!


“Io mi sento a posto. La mia coscienza sta bene. Anche se Dio mi dovesse giudicare, non troverebbe che ho mai ucciso qualcuno, rubato qualcosa, fatto male ad una mosca. Che mi può chiedere di più?”


Che parole stupide! Spero che tu non le abbia mai dette.


Come fa una persona a sentirsi a posto con Dio se non sa neppure cosa Dio gli chiede e vuole? Parole come queste non fanno altro che dimostrare l’ignoranza e l’orgoglio della razza umana. E della persona che le ha dette.


Certamente, Dio non vuole che gli uomini vadano in giro ammazzandosi a vicenda, o rubando a man bassa, come sembra che tanti facciano. Ma Lui aspetta dall’uomo molto di più del non comportarsi da criminale. Se uno leggesse la Bibbia, non direbbe delle sciocchezze simili.


Quando l’apostolo Paolo arriva al “dunque”, nella sua accusa dell’uomo per il suo peccato, parla di qualcosa di molto più ovvio e di qualcosa da cui nessun essere umano può onestamente tirarsi fuori.


Egli scrive così: Davanti a Dio gli uomini sono tutti colpevoli perché “non l’hanno glorificato come Dio né l’hanno ringraziato” (Lettera ai Romani, capitolo 1, versetto 21). Hai capito?


La colpa maggiore dell’uomo non è che si comporta da criminale, ma da stupido, accecato dal proprio orgoglio e dal suo rifiuto di quel tanto di conoscenza di Dio che Dio gli ha data.


Non basta che si metta comodamente seduto nella sua poltrona e dica: “Vedi quanto sono bravo e intelligente e quanto sono riuscito a fare, più e meglio degli altri!


“Sono io che ho fatto quest’industria, fondato questo partito, che sono diventato capo di questa religione, che ho fatto tanto bene a tanta gente. Che peccato che gli altri non mi rendano l’onore che mi è dovuto e non mi ringrazino per la vita comoda che fanno, dato che sono io che gliel’ho fatta fare!


“Certo, qualche sgambetto a qualcuno l’ho fatto, ma solo perché, se non glielo facevo io, lo faceva lui a me. E, poi, se qualcuno alzava troppo la cresta, ho dovuto metterlo al posto che meritava. Ma queste non sono vere colpe. Sono dimostrazioni che sono fatto per essere un capo!”.


E l’apostolo Paolo scrive al riguardo: “Dio chiede: ma chi sono questi uomini che non mi riconoscono, non mi onorano, non mi ringraziano, pur avendo occhi per vedere le bellezze dell’universo, per capire che la sua creazione è ben altra cosa rispetto alle cose piccole e imperfette che essi hanno messe insieme, usando la materia che io ho creata e l’intelligenza che io gli ho data?”.


Invece di darsi delle pacche sulle spalle, vantandosi di non essere criminali, gli uomini avrebbero il dovere di inginocchiarsi nella polvere per meravigliarsi dell’intelligenza incommensurabile che ha inventato l’universo e tutto ciò che esso contiene e piegarsi davanti alla potenza infinita che l’ha potuto creare dal nulla.


Allora potrebbero conoscere il loro Creatore e godere della loro provenienza da Lui e della sua amorevole cura e provvidenza verso di loro.


Invece, hanno inventato le armi e condotto guerre in tutta la terra, uccidendo milioni dei loro simili, hanno stabilito governi e istituzioni che permettono loro di sfruttarsi a vicenda, arrampicandosi sulle spalle dei loro vicini, hanno inventato corruzioni e perversioni capaci di trasformare ogni loro buona qualità in male.


Eppure, Dio li ama e ha mandato loro un Salvatore, che è l’unica cosa di cui hanno veramente bisogno. È questa la verità meravigliosa che si ricorda a Natale, che non è un mito o una leggenda da raccontare ai bambini.


Ma i capi non se ne preoccupano, a meno che non possano trasformarla in soldi. In più, continuano a congratularsi per la loro bontà e generosità.
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martedì 4 dicembre 2012

Signore, per piacere, non darmi la giustizia!



Tanti gridano: “Giustizia! Vogliamo giustizia!”. Non sopportano più le tante ingiustizie, o che siano loro quelli che le soffrono o altri.
Non c’è che dire: il mondo è pieno di ingiustizie e, se abbiamo una briciola di giustizia in noi, vorremmo che tutti quelli che sono trattati ingiustamente, e spesso forzati a soffrire per le ingiustizie inflitte loro, potessero essere liberati. E che i loro aguzzini fossero puniti.
La settimana scorsa, ho scritto che le tante ingiustizie commesse giornalmente nel mondo, e che vanno avanti da secoli, meriterebbero una giustizia giusta e inevitabile.
Ma siamo sicuri che lo crediamo? Non ci piacerebbe anche un po’ di ingiustizia? O, almeno, di una giustizia diversa da quella solita.
Dopo tutto, nel mio post della settimana scorsa, ho citato alcune brevi frasi dagli scritti dell’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani. Una delle frasi era questa: “Tutti hanno peccato…” Come dovrebbe trattare Dio le persone nominate in questa frase? Cioè, quei “tutti”, fra i quali ci siamo anche tu ed io?
Se gridiamo a pieni polmoni che vogliamo giustizia, cosa stiamo chiedendo?
Se leggiamo un po’ più avanti nella stessa lettera dell’apostolo Paolo, troviamo scritto: “Lo stipendio del peccato è la morte”. Vogliamo giustizia! Vogliamo il nostro giusto stipendio! Vogliamo, cioè, la morte?!
Aspetta un momento, un piccolissimo momento. Se io sono un peccatore e se lo stipendio del mio peccato è la mia morte, forse ripenserò un momento al problema.
Io sono uno che proclama con molta sicurezza che credo a tutta la Bibbia. Che è tutta Parola di Dio. Che è l’assoluta verità, l’unica verità di cui fidarsi.
E questa Bibbia dichiara che io ho meritato, cioè guadagnato, il mio stipendio, che è la morte. E mica parla soltanto di morte fisica. Parla di quella morte che è il giudizio finale di Dio, che la Bibbia chiama “la seconda morte”, l’eternità nell’inferno.
Fermiamoci! Non è quello lo stipendio che voglio! D’altra parte, il problema non è ciò che io voglio, ma ciò che Dio promette. Egli promette al peccatore (a me) lo stipendio che ho meritato ovvero la morte nell’inferno eterno.
Se questa è la giustizia, allora mi convinco che NON la voglio! Vorrei, piuttosto, la misericordia. Ma, l’ho meritata? Assolutamente no! Nessuno può “meritare” la misericordia, perché essa è una concessione a chi non la merita. Come la “grazia”, che significa “immeritato favore”.
L’apostolo Paolo ha chiarito il problema scrivendo: ”Ora, a chi opera (a chi, cioè, crede di riuscire a fare delle opere buone che Dio dovrebbe apprezzare e, perciò, desidera lo stipendio di ogni sua opera “buona”), il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito, mentre a chi NON opera, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede è messa in conto di giustizia” (Romani 4:4,5).
Il senso di questo versetto biblico è chiaro: se tu desideri “operare” per piacere a Dio, quelle tue opere saranno considerate soltanto come un debito che stai cercando di pagare, ma che non riuscirai mai a pagare completamente. Mentre, invece, la persona che non pretende di fare delle opere meritorie, ma soltanto crede a Cristo, che è morto per donare la sua giustizia gratuitamente al peccatore, la sua stessa fede è contata da Dio come “giustizia”, la giustizia di Cristo che gli è messa in conto.
In altre parole, la tua salvezza eterna non potrà mai dipendere dalle opere pie o buone che tu fai, perché non basterebbero mai a pagare il debito causato dai tuoi peccati. Soltanto la grazia di Dio, che non dipende per nulla dalle opere tue, può salvarti.
Paolo ha scritto: “Ma, se è per grazia, non è più per opere; altrimenti la grazia non è più grazia.” (Romani 11:6).
La conclusione sconcertante del discorso è questa: chi vuole pagare per i suoi peccati con le sue buone opere è automaticamente escluso dalla grazia di Dio. Chi, invece, si basa per fede sulla grazia di Dio per la sua salvezza, non deve cercare di aggiungervi qualche sua opera, perché ciò dimostrerebbe che non si sta fidando completamente della grazia di Dio.
Chiaro, no?
La persona che grida: “Voglio la giustizia” si sta tagliando la terra da sotto i piedi. La giustizia per i suoi peccati porta sempre la morte, la condanna. Solo chi dice sinceramente a Dio: “Voglio la grazia che tu mi doni perché mi affido a te, (non voglio la giustizia)” sarà salvato.
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martedì 27 novembre 2012

Ci vorrebbe un posto come l’inferno


Qual è la tua reazione quando scopri che qualcuno ti ha rubato dei soldi? O che qualcuno ha raccontato a una persona a cui tieni, una brutta menzogna su di te? 
Quali emozioni ti vengono quando leggi che una vecchia signora che abitava da sola, è stata ammazzata con un martello da suo nipote per rubarle 50 euro?
Che cosa meritano gli italiani che volano a Bangkok per godere le loro perversioni, pagando chi vende le proprie figlie, o figli, per fare sesso contro la loro volontà?
Quale punizione vorresti dare ad un dittatore che comincia una guerra, uccide migliaia di nemici, solo per evitare il pericolo che qualcuno voglia fermare la sua vita di lusso sfrenato e il suo controllo assoluto di vita e di morte su i suoi sudditi?
La verità è che quello che tu faresti, o che pensi che sarebbe giusto, non importa niente a nessuno. Ti dico perché!
La verità è che migliaia di ragazze sono stuprate, migliaia di pedofili sono attivi ogni sera, migliaia di commercianti di droga si arricchiscono sulla vendita della morte, migliaia di politici, commercianti, professionisti rubano moltissimi soldi, e tutte queste persone non saranno mai arrestate, processate o condannate.
Non crederai mica che tutti gli stupratori, tutti gli omicidi, tutti i criminali, tutti i profittatori, tutti quelli che vivono di crimini, sfruttamenti, ingiustizie saranno puniti una volta o l’altra?
Non sono solo pochi i mali sofferti in questo mondo quelli che non riceveranno mai ciò che meritano, ma sarà la maggioranza!
Ci vorrebbero più poliziotti, più investigatori, più prosecutori e più giudici onesti, più prigioni, più sentenze all’ergastolo, più criminali tolti di mezzo, per non fare soffrire più nessuno. A volte, di giorno o di notte, mi fermo per un momento e cerco di immaginare la quantità di crimini, uccisioni, furti, stupri, torture che stanno succedendo in tutto il mondo in quel momento, quante persone soffrono, quante gridano, piangono e muoiono in quel preciso momento.
Sono pensieri che gelano il sangue nelle vene, che fanno male allo stomaco, che fanno impazzire il cervello. Mi devo fermare subito. Non è umanamente sopportabile. Ma queste cose succedono. In quel momento, e ogni minuto del giorno e della notte, in ogni angolo del mondo.
E, poi, cè la gente che dice che Dio non dev’essere così crudele. Non deve punire nessuno. Egli dovrebbe solo amare tutti, perdonarli, passare sopra ciò che fanno, quando non hanno fatto altro che bestemmiare il suo nome, respingere ogni possibilità di redenzione, inventarsi ogni tipo di sopraffazione e massacro dei deboli e indifesi.
Saresti tu felice di vivere in un mondo di ingiustizie e di sofferenze, di mali che porti sulla tua pelle e sapere che non ci sarà mai giustizia, che la giustizia è un mito, che i peggiori cattivi saranno trattati esattamente come chi ha vissuto una vita di gentilezza, di amore e di sofferenza per aiutare gli altri?
È questo il mondo che tu sogni? Il futuro che aspetti?
Non credi, invece, che un Dio di amore e di giustizia dovrebbe preparare non soltanto un Paradiso, ma anche un inferno?
Ne scriverò la prossima volta.
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martedì 20 novembre 2012

Il peccato esiste ancora?



Il nostro mondo ha perso il concetto di peccato. Non vuole sentirne parlare. Neanche tu?
Una forte ribellione respinge l’idea che qualcuno, siano genitori, insegnanti, autorità, capi religiosi, o un dio, possa importi delle regole su ciò che dovresti fare e non fare. Diventa particolarmente odioso quando ti dicono di non fare qualcosa che vuoi fare e che ti fa piacere.
Qualcuno ha fatto l’osservazione: “Ogni cosa che trovo piacevole, qualcuno mi dice che è peccato!”.
Eppure, diciamolo francamente, ci sono delle cose che non vorremmo che gli altri ci facessero. Si tratta di peccato? Anche noi, quando abbiamo fatto o detto certe cose, sentiamo un senso di dispiacere, quasi di vergogna. Si tratta di peccati?
A volte ci viene detto che si tratta soltanto di regole che la società in cui viviamo inventa per permetterci di vivere una vita civile. E si dice che, siccome è dimostrato che altre società attuali o precedenti, hanno o hanno avuto delle regole diverse, è chiaro che non esistono delle regole universali e eterne che determinano cosa sia il peccato.
Però, questo ragionamento potrebbe dimostrare anche il contrario. Se tutte le società umane hanno delle regole di ciò che è giusto o sbagliato, ciò dimostra che l’esistenza di regole non dipende solo da genitori, governi o divinità nostre. Non dipende solo dalla decisione di alcune persone che ci vogliono imporre le loro idee.
E se, in tutte le società che conosciamo, certe cose erano disapprovate e le trasgressioni gravi erano punite, ciò dimostra che tutti gli esseri umani hanno la convinzione che le azioni e i comportamenti possono essere divisi in “approvati” o “disapprovati”.
Riconoscono che esiste una differenza fra il bene e il male e che ognuno sarebbe tenuto a riconoscerlo e a tenerne conto. Proprio a questo scopo esistono le regole, perché non è permesso che ogni persona decida per conto proprio, senza domandarsi cosa ne pensano gli altri, cosa sia bene o male.
Per quanto mi riguarda, a me sembra totalmente illogico e irragionevole credere che questo universale senso del bene e del male, e di approvazione o disapprovazione di certi comportamenti, sia dovuto unicamente al caso, ad un istinto universale o, ancora più incredibile, ad un accordo che si raggiunge volontariamente.
La Bibbia, invece, risolve i miei problemi e risponde alle mie domande.
Rivela il Dio Creatore che ha creato gli esseri umani simili a sé, con un concetto di bene e di male; concetto ora parzialmente offuscato e pervertito, perché l’umanità è caduta nel peccato. Pur riconoscendo il bene ed il giusto, gli uomini sono tentati a trasgredire ciò che hanno compreso, sia pure parzialmente, proprio per soddisfare i loro desideri egoisti e i propri interessi, anche quando ciò richiede un trasgredire gli interessi degli altri e il bene della società.
Questo stato di ingiustizia e di peccato è dimostrato ogni giorno in Italia, e in tutte le nazioni del mondo, nelle notizie dei giornali e della TV. Pensaci anche solo per due minuti e riconoscerai che “le regole”, non solo della società, ma anche della coscienza, della moralità, della convivenza umana, sono costantemente infrante da governanti, politici, industriali, religiosi e milioni di persone anonime.
L’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani, non stava esagerando, non malignava nessuno, quanto ha scritto: “Tutti hanno peccato…” “Non c’è alcun giusto…” “Tutti si sono sviati…” Infatti, tu hai peccato, io ho peccato, tu hai fatto cose ingiuste, io ho fatto cose ingiuste, io sono andato fuori strada, tu sei andato fuori strada.
Se la nostra società ha perduto il senso di peccato, come ho scritto più sopra, non ha, però, perduto l’abitudine di peccare. Ne le sue conseguenze, di cui scriverò la prossima volta.
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martedì 30 ottobre 2012

Ciò che ho trovato in Sicilia



È di valore e di buon senso
Sono appena tornato da un viaggio in Sicilia, dove ho rivisitato alcune delle zone, in cui ero stato circa 50 anni fa, alla ricerca di credenti evangelici. Ho visitato e insegnato la Bibbia in quattro città dove, 50 anni fa, non c’era una testimonianza evangelica.
Per lo più, ho trovato sale piene di fratelli e sorelle in Cristo, pieni di zelo, di gioia e di riconoscenza per il Vangelo che è stato predicato loro ed a cui hanno creduto. Ho trovato dei fratelli, riconosciuti come “anziani” e responsabili delle chiese, dotati di una buona conoscenza della Bibbia e animati da un forte desiderio di guidare la chiesa in un cammino di fedeltà biblica, sia per la dottrina, sia per la pratica.
Questi cambiamenti di vita non sono stati vissuti senza trovarsi in contrasto, e spesso con un urto frontale, con alcuni aspetti della cultura e delle abitudini radicate, addirittura da secoli, nella vita tradizionale della popolazione siciliana.
Fra questi, i contrasti religiosi. Ancora in molte località, le feste dei santi, e particolarmente dei patroni della città, sono considerate una parte del tessuto sociale che coinvolge tutti in manifestazioni pubbliche della “fedeltà” alle usanze e alle rivalità antiche. Non partecipare è già una colpa religiosa e civile. Dichiarare addirittura che non si crede più ai santi e alla loro capacità di procurare vantaggi per i fedeli è considerato un tradimento.
Questo tipo di usanze e di credenze una volta coinvolgevano tutta l’Italia, ma, sotto la pressione di cambiamenti e di convinzioni nuove, stanno scomparendo. Si tratta di un progresso, come civiltà o come vita religiosa? Non necessariamente.
Purtroppo, molti italiani, tanti italiani, non solo si allontanano dalle tradizioni e le pratiche religiose che i loro antenati seguivano fedelmente, ma fanno un passo ancora più grande. Mettono in dubbio, se non la rifiutano del tutto, l’esistenza di un Dio che, nella sua perfezione infinita, conosce e si interessa delle persone, della loro condotta, della loro fede e del loro destino eterno.
La maggioranza degli italiani non è ancora pronta a definirsi “atea”, ma il suo modo di pensare e di vivere è, in pratica, un’ateismo vero e proprio anche se non ancora definito e professato come tale. Non si accettano più, e non ci si sottomette più, a “regole” morali insegnate dalla chiesa o imposte da un’autorità divina.
Chi ha fatto questo passo ancora si riempie spesso la bocca di parole come “spiritualità” o cristianesimo, dicendo che la sua spiritualità è una realtà personale ma non religiosa, o che il suo cristianesimo non è più quello della chiesa, ma dello spirito, basato sugli insegnamenti di Cristo.
Respinge non solo il cattolicesimo o il cristianesimo, ma qualsiasi religione organizzata.
Dal mio punto di vista, conversare sulla Bibbia, sulla fede e sulla vita eterna è immensamente più facile con un cattolico romano praticante che con queste persone convinte che l’unica verità che conta sia quella che hanno inventata e abbracciata loro.
La loro “religione personale” è l’unica che li interessa, e parlarne con altri non è né necessario né possibile. Vista da fuori, è una religione che richiede poco o niente, né come moralità né come rinunzia né come ragionamento. Il suo pregio è il senso di conforto e di auto-sufficienza che dona loro, immune alle critiche o al giudizio di alcuno.
Che Dio benedica i Siciliani che credono alla Bibbia e felicemente proclamano la loro fede.
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martedì 23 ottobre 2012

Rispettare chi fa male


Non sembra un’idea sana 
Onorare chi? Ma scherzi! Quando mai bisogna onorare chi ruba e chi fa gli interessi suoi a spese tue?
Se la Bibbia insegna questo, certamente parla di altri tempi. Quando gli uomini erano più buoni. Ma non vedi che viviamo in un mondo di imbroglioni e di furfanti che sempre si presentano come i tuoi amici e difensori? Quelli che dicono: “Lascia a me, ci penso io!” E, poi, ci pensano davvero, ma a come ingannarti.
Dobbiamo, come credenti, lasciarci ingannare e derubare, come i soliti “polli” che non sanno difendersi? E, poi, dobbiamo “onorare” chi lo fa?
No, come ho scritto la settimana scorsa, chi ruba dovrebbe finire in carcere. La Bibbia non insegna a fare nessuno sconto di pena per chi s’approfitta della sua posizione per arricchirsi dietro le nostre spalle, e a nostre spese.
Ma la Bibbia non ci lascia la scelta di andare in giro maledicendo il governo (dicendo male), con frasi tipo: “I politici sono tutti ladri!” o “governo ladro”.
Perché mai? Perché, secondo la Bibbia, le autorità esistono per volontà di Dio e hanno il compito di fare la sua volontà. Non lo fanno? Se trasgediscono la legge, vanno puniti giustamente per i loro malefatti. Ma, se non governano con la giustizia e onestà che Dio richiede loro a motivo dell’ufficio che esercitano, non ti preoccupare! A suo tempo ci penserà Lui con la sua giustizia perfetta, al giudiizio e alla pena.
L’apostolo Pietro ha scritto così: Siate sottomessi, per amor del Signore, a ogni umana istituzione: al re, come al sovrano; ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per dar lode a quelli che fanno il bene” (1 Pietro 2:13,14).
Dal tempo della caduta di Adamo ed Eva nel peccato, l’uomo ha avuto bisogno di governi, che potevano premiare i cittadini sottomessi alle sue leggi, e di giudici per eseguire, secondo le leggi, il giudizio e la punizione per chi disubbidisce. Senza un sistema fatto per questo scopo e funzionante correttamente, il mondo sarebbe un caos di crimine e di ingiustizia, in cui ognuno, secondo le sue possibilità, lotterebbe per ottenere ciò che desidera.
Purtroppo, dato che la Bibbia insegna che ogni persona che nasce in questo mondo è un peccatore, che agisce soprattutto per soddisfare i propri desideri, è chiaro che chi fa parte del governo è soggetto alle stesse tentazioni di ogni altro uomo. In un governo che funziona bene, i governanti sarebbero consci della loro responsabilità di dirigere la società secondo la volontà di Dio, evitando il crescere del peccato e della criminalità, per mezzo di giuste leggi e di pene sicure.
In questo senso, ogni autorità, ad ogni livello, esiste per volontà di Dio, come incaricato da Dio di fare bene, e ogni credente è responsabile di rispettare e di sottomettersi alle autorità. Anche quando un individuo che ricopre un incarico di stato si comporta male, il credente non deve né disprezzare né parlare male di lui e della sua funzione, perché si troverebbe a parlare male del piano di Dio di stabilire le autorità proprio per il bene dei cittadini.
L’apostolo Pietro continua ciò che ho citato sopra, con queste parole: “Perché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all'ignoranza degli uomini stolti. Fate questo come uomini liberi, che non si servono della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio. Onorate il re” (1 Pietro 2:15-17).
Noi onoriamo Dio onorando gli uomini che sono posti a fare la sua volontà nei governi umani, non a motivo della loro perfezione, perché sappiamo che tutti gli uomini sono peccatori, ma perché è importante per noi che esistono dei governi umani e che funzionino bene.
Ma, come vuole Dio che noi facciamo o che ci comportiamo verso di loro? L’apostolo Paolo lo spiega, nella sua prima lettera a Timoteo. “Esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono costituiti in autorità, affinché posiamo condurre una vita tranquilla e quieta in tutta pietà e dignità” (1 Timoteo 2:1,2).
Al credente, non è permesso costantemente criticare, condannare o lamentarsi del governo umano sotto il quale ha la libertà di condurre la sua vita alla gloria di Dio. Ha, invece, un compito costante di ricordare, davanti a Dio nella preghiera, le autorità, pregando che, malgrado i loro difetti e perfino le loro mancanze davanti a Dio, possano governare giustamente, permettendo al popolo di vivere in pace e dignità.
Nessuno può negare che viviamo in tempi difficili e che anche molte autorità vengono meno nelle loro responsabilità, ma il nostro compito è chiaro: pregare fedelmente per loro e per le loro decisioni.
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martedì 16 ottobre 2012

Chi ha preso i miei soldi?


I colpevoli gridano: “Non io!”

Gente arrabbiata. Gente disgustata. Gente che dice “Basta!”.
Perché tanto trambusto? Tanta ira? Semplice: qualcuno ci ha rubato il nostro ultimo centesimo. Chi? I nostri rappresentanti, eletti da noi.
Sì, proprio la gente a cui abbiamo affidato la guida del nostro comune, provincia, regione, nazione.
“Non fare di tutta l’erba un fascio!” si dice. E, come principio, ha ragione. Ma come si fa, dove si va, a capire chi ruba soldi più che può, e chi, forse, è onesto?
Quando sono apparsi i primi titoli sui giornali con i sospetti che qualcuno aveva rubato dal piatto degli altri, c’era un’alzata di scudi.
Non io. Non il mio partito. Non nella nostra città, provincia, regione. E faceva pure piacere sentire che altri politici erano disgustati anche loro, e che non volevano essere contati fra i disonesti. Allora, i buoni ci sono! Basta solo identificare e isolare i ladri. Meno male che possiamo ancora fidarci!
Ci rimettiamo seduti davanti alla nostra TV per aspettare la caccia ai ladri e godere le affermazioni dei politici nobili e onesti come noi.
E, poi, il patatrac! Quante volte? Una, cento, mille? Proprio quei politici che hanno gridato all’ingiustizia delle accuse e all’onestà della maggioranza, sono stati scoperti anche loro come dei ladri, più grandi degli altri, che, però, si erano nascosti un po’ meglio dei primi accusati.
E, tutt’ad un tratto, non erano pochi isolati i colpevoli, ma tutta una classe politica, gli uomini e le donne che sapevano delle ruberie, che partecipavano anche loro alla spartizione dei beni distribuiti, che votavano per aumentare i loro stipendi, per approvare più grandi risarcimenti di spese inaudite (e spesso inesistenti!). Non è vero, non è più credibile che i ladri erano pochi.
Ma che faccio? Cado dalle nuvole perché c’è qualche politico che approfitta della sua possibilità di arricchirsi alle spalle degli altri? Non avrei dovuto capire che l’eroismo della persona onesta, che guarda dall’altra parte, che evita certe feste, perché non vuole essere macchiato dalla disonestà, è solo un raccontino della nonna per mettere i nipotini a letto?
Non dice la Bibbia che “non c’è alcun giusto, no, non uno”? Non dice la Bibbia che soltanto guardare le cose degli altri, per desiderarle, è già il primo passo verso il furto? O, più grave ancora, è già una forma di furto, perché hai “rubato” col tuo pensiero?
Ma, allora, che devo fare? Lasciar correre? Smettere di indignarmi? Trovare pace nel detto che “tutto il mondo è paese”?
No, la stessa Bibbia che parla della esistenza dappertutto del peccato, parla anche delle prigioni e dei giudici che sono stabiliti, nel piano di Dio, per condannare i colpevoli e per liberare gli innocenti. Dio esige che esista la giustizia delle leggi e che le leggi vadano sostenute e mandate ad effetto.

E, devo indagare pure nel mio proprio cuore per riconoscere le mie tentazioni di fare il male, e ringraziare Dio dell’aiuto che mi dà per non farlo e per non meritare una pena. E lodarlo per la sua grazia che tante volte perdona il mio pensiero sbagliato, quando glielo confesso. Cioè quando chiedo perdono.
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martedì 9 ottobre 2012

Le promesse solenni della moglie



Gli sposi non sono partner al 50%

La moglie è parte essenziale del matrimonio cristiano; non dobbiamo dimenticarlo.  Durante la cerimonia, lei risponderà alle promesse di suo marito con altre promesse solenni, per completare il loro patto indissolubile e per cominciare un matrimonio veramente biblico.


Io (nome) confermo oggi pubblicamente che, dopo molta riflessione e preghiera, ho deciso di prendere te (nome) come mio legittimo marito, per amarti, sostenerti, curarti e esserti fedele finché la morte non ci separi.

Io ti scelgo come colui a cui affido il mio corpo e la mia vita, riconoscendoti come capo e guida, che mi protegge e mi ama, secondo l’insegnamento biblico, e ti prometto la mia disponibilità a seguirti, collaborando fedelmente con tutte le mie capacità per raggiungere e realizzare tutto ciò che la Bibbia insegna come lo scopo e la perfezione del nostro matrimonio, affinché diventiamo una sola persona che nessuno potrà mai separare.

Io desidero aiutarti a diventare l’uomo che Dio vuole che tu sia, e intendo condividere con te la responsabilità di curare e istruire la nostra famiglia nella Parola e la volontà di Dio, per crescere spiritualmente e servire il Signore con tutte le nostre capacità e possibilità.

Con queste promesse e con queste intenzioni ti accetto con amore, come mio marito ora e sempre.


Ovviamente, non sono le promesse che garantiscono la solidità di un matrimonio, ma la volontà e la capacità degli sposi di realizzare quelle promesse, sottomettendo la loro vita completamente al Signore, e l’uno all’altra. Chiamarsi cristiani non è sufficiente; devono avere il profondo, sincero proponimento di vivere una vita di santità e di servizio ad altri.

Comunque, queste promesse indicano la maniera in cui ciascuno dei due comprende il suo dovere e la volontà di Dio di offrirsi non al 50% o al 90%, ma totalmente per contribuire alla felicità e alla santità del loro matrimonio. Solo il matrimonio vissuto a questo modo può essere uno stato sicuro in cui allevare una famiglia e godere la benedizione di Dio.

Come ha detto bene qualcuno, lo scopo di Dio nella nostra vita, e nel nostro matrimonio, non è la felicità, ma la santità. Chi cerca la santità troverà anche la felicità.

La serietà degli impegni che gli sposi accettano, la consacrazione delle loro vite per raggiungere una meta comune, i sacrifici, le rinunzie e la sottomissione dell’uno verso l’altro che il matrimonio richiede e al cui raggiungimento essi consacrano la loro unione, non sono ben rappresentati solo da una festa frivola, tesa a far piacere agli ospiti, ai parenti e agli amici.

Il giorno del matrimonio è certamente una giornata di grande gioia e riconoscenza per le benedizioni che Dio ha già concesso loro e di auguri. Ma questa gioia deve essere più un motivo di lode a Dio, che una soddisfazione per l’eleganza del pranzo o il valore dei regali che riceveranno dai loro amici.

Anche gli amici, i parenti e gli ospiti che conoscono e amano gli sposi riconosceranno così che questo matrimonio è stato anche un giorno in cui grandi impegni sono stati presi, insieme alle promesse di una totale consacrazione alla volontà di Dio. Volontà che potrà anche essere accompagnata o realizzata attraverso rinunzie, prove e sofferenza, se così Dio vuole.

E non è poco.
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martedì 2 ottobre 2012

Il matrimonio è una cosa seria



L’amore non basta

Un momento! Forse bisogna spiegarsi di più. Dopo tutto, il patto che ho pubblicato la settimana scorsa, come responsabilità dello sposo, esce un po’ dalla normalità. Cosa vorrebbe dire? È basato davvero sul pensiero biblico? Il marito afferma:

“confermo la mia decisione” – l’amore su cui fondare un matrimonio per la vita non è solo un’emozione. “Ci amiamo, perciò ci sposiamo” è un bel pensiero, ma un po’ ingenuo. Le emozioni vanno e vengono, devono essere coltivate e curate per rimanere forti e sincere. Nessuna emozione è abbastanza forte, abbastanza resistente, abbastanza paziente per garantire la salute di un matrimonio che può durare 30, 40, 50 o più anni, “finche la morte non ci separi”. Il matrimonio di due giovani dovrebbe essere il frutto di un bell’innamoramento, che sarà curato e rinforzato per tutta la vita, ma il matrimonio fra due adulti, anche se giovani di età, ha per fondamento una decisione seria e ragionata. La cerimonia del matrimonio è il momento in cui quella decisione è dichiarata e sigillata per la vita.

“su cui concentro il mio amore,” – promettere di concentrare il proprio amore sulla moglie è il modo in cui il marito le promette di non condividere mai il suo amore con un'altra donna.

“Come tuo marito, tuo capo,” – Il marito riconosce specificatamente la responsabilità che accetta, in ubbidienza alla Parola di Dio, di essere la guida, di proteggere, di curare sua moglie, cose che garantisce con questa promessa fino a essere pronto a donare la propria vita per lei.

“Dio ha dato direttamente a te delle capacità,” – la moglie ha un rapporto personale con Dio, che suo marito riconosce, cura e approva.

“guidando fedelmente la nostra famiglia” – il marito riconosce la sua responsibilità e l’autorità, che deve esercitare sotto la guida di Dio per il bene materiale e spirituale di ogni componente della sua famiglia.

“di accettarmi come il tuo marito” – Il marito richiede che sua moglie riconosca il suo impegno e accetti il suo ruolo, come marito credente.

L’impegno e la responsabilità che un marito credente assume nel matrimonio, basato sull’amore, richiederà tutta la sua forza, fisica, intellettuale e spirituale, impegnate, in primo luogo, per la sua propria crescita e ubbidienza spirituale al Signore, e, poi, la responsibilità di guidare ogni membro della sua famiglia nella stessa crescita. È un impegno che potrà compiere giustamente, soltanto con la sottomissione e la collaborazione di sua moglie e di tutta la famiglia.

Se il marito e la moglie si uniscono consapevolmente nei legami di un matrimonio cristiano, ognuno accettando amorevolmene le proprie responsabilità, avranno trovato la chiave della felicità e della benedizione, prima per la loro famiglia e, poi, per le persone che conosceranno e influenzeranno per tutta la vita.

Ma, se le basi mancano, come spesso succede per una mancanza di conoscenza della Bibbia e delle realtà serie e coinvolgenti di un matrimonio biblico, è estremamente importante studiarle per potere prendere nel periodo in cui si prepara il matrimonio, e nella cerimonia stessa, degli impegni spirituali, davanti a Dio, che possono offrire, se messi in pratica, una garanzia per il loro futuro.

Nel prossimo post, le promesse della sposa.
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martedì 25 settembre 2012

Impegni e promesse impossibili



Un “capo” che sa guidare un matrimonio

Stai per sposarti. Sei pronto a far tutto quello che la Bibbia insegna? Oppure vorresti ridurre le promesse a solo quello che in realtà ti piacerebbe fare?

Sia come sia, non ti farà male pensare a ciò che lo sposo dovrebbe dire veramente alla donna che desidera sposare.


“Io (nome), con i seguenti impegni e promesse, confermo a te, (nome),  la mia decisione, presa dopo molta riflessione e preghiera, di prendere te come mia legittima moglie, come la persona su cui concentro il mio amore, come la madre amata di miei figli, come la mia compagna, collaboratrice e confidente, nelle intenzioni, le imprese, i progetti e i piani della mia vita.

“Come tuo marito, tuo capo, tuo protettore, tuo provveditore, io ti prometto oggi di impegnarmi a provvedere ai bisogni materiali, spirituali e emotivi tuoi e della famiglia che Dio potrà darci, secondo la grazia e la saggezza che Dio mi darà, per la tua e la nostra  felicità, benessere e santità.

“Io riconosco che Dio ha dato direttamente a te delle capacità, dei doni, delle aspirazioni per la sua gloria, che io cercherò di assecondare, di apprezzare e di favorire affinché tu diventi la persona credente, matura, formata a immagine di Dio, per cui Dio ti ha creata.

“Io intendo, con l’aiuto di Dio e tuo, impegnarmi nella mia crescita spirituale in modo da poter essere il vero capo spirituale della nostra famiglia, insegnando e dimostrando con la mia condotta gli insegnamenti della Bibbia e guidando fedelmente la nostra famiglia nell’adorazione di Dio, nel servizio suo, e nella dimostrazione del suo amore a tutte le persone che faranno parte della nostra vita.

“Io mi propongo di riconoscere e confessare i miei errori, essendoti fedele sostegno in ogni prova della vita, perdonando ogni male o ingiustizia che potrei soffrire, animato dall’impegno riconosciuto come un umile servo di Dio.

“Ti chiedo, con umiltà ed amore, di accettarmi come il tuo marito in base all’amore tuo per me, il mio amore per te e in vista di queste espressioni sincere delle mie intenzioni da oggi in avanti, come tuo marito.”


È chiaro che questi impegni, presi pubblicamente, nel giorno del matrimonio, non faranno di te un marito perfetto, né garantiranno che avrai accanto a te una moglie perfetta.  Ma, avrai dichiarato qualcosa della tua comprensione del matrimonio cristiano e avrai invocato la benedizione del Signore per potere essere un marito fedele e, allo stesso tempo, pronto e capace di riconoscere e rimediare ai tuoi errori.

In vista dell’importanza di questi impegni solenni, che bisognerebbe capire completamente prima di prenderli pubblicamente, mi domando quanto tempo una coppia che desidera sposarsi dovrebbe impegnare nello studio, nella discussione e nell’accettazione di queste basi bibliche del matrimonio, prima delle sue nozze.

Tu, che pensi?
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martedì 18 settembre 2012

Anche i selvaggi si sposano



Come fare un matrimonio “diverso”

A parte i divorzi, le convivenze e i matrimoni infelici, se è vero che il concetto stesso di un matrimonio serio e duraturo sta distruggendosi dietro alle porte di 30 milioni di case, cosa si può fare?

Se il matrimonio, come noi lo conosciamo, è obsoleto e ridiclolo, chi ci può dire come dovrebbe essere? Psicologi, filosofi o, soprattutto, preti e pastori? Non penso. Essi non ne sanno più di noi!

1) Nelle primissime parole della Bibbia sul matrimonio, Dio ha indicato che la coppia è l’unione di un uomo e una donna, a lunga scadenza. In poche parole Egli ha indicato che essi avranno una vita feconda, con figli e figlie, e che collaboreranno fra loro, comunicheranno, si aiuteranno e si cureranno per godere felicemente e unitamente le benedizioni di Dio.

2) Nel secondo capitolo della Genesi, Egli continua la sua descrizione del matrimonio, indicando una relazione personale, intima, esclusiva, fra un uomo e una donna, che porterà ad un’unione indivisibile, fino alla morte.

3) Nel secondo capitolo dell’ultimo libro dell’Antico Testamento, Egli rimprovera l’uomo che abbandona sua moglie per sposare una donna più giovane e graziosa, disonorando sia Dio il Creatore, sia il popolo di cui fa parte. Chi lo fa, trasgredisce volontariamente e peccaminosamente le promesse fatte nel suo matrimonio, rompe il patto stabilito alla presenza di Dio, l’accordo inalterabile fra l’uomo e la donna nel matrimonio, che è la base, anche se non affermata pubblicamente, del matrimonio che Dio approva.

4) Nel capitolo 10 del Vangelo di Luca, Gesù fa riferimento alla Genesi e all’affermazione che, nel matrimonio, l’uomo e la donna diventano “una sola carne” (un’unione indissolubile), aggiungendo l’avvertimento “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. In altre parole, il matrimonio dura fino alla morte di uno dei coniugi, perché Dio, il Creatore dell’uomo e della donna e del concetto di matrimonio, l’ha l’inteso così.

Ciò che noto in questi passi è, soprattutto, che il matrimonio è, dal suo principio alla sua fine, una realtà che Dio ha originata e di cui ha stabilito le fondamenta. Ciò non può essere ridefinito per includere soltanto i matrimoni fra credenti evangelici. In tutto il mondo, in ogni religione ed anche fra gli atei, esiste il concetto del matrimonio, a cui è dato sempre grande importanza, anche se gli sposi non conoscono l’Iddio della Bibbia e, nella loro ignoranza, credono che il matrimonio sia soltanto una delle importanti tradizioni della loro cultura.

Forse è proprio nelle “nazioni cristiane” che il concetto divino del matrimonio e le intenzioni di Dio sono più trascurate o volutamente trasgredite.

Anzi, si fa di tutto per sminuire il senso e il significato biblico di un patto solenne, con obblighi e promesse estremamente significative e impegnative, che legano gli sposi a responsabilità spirituali e impegni pratici “fino a che morte non separi”.

In primo luogo, si celebra il matrimonio preferibilmente in un ristorante o in un albergo, piuttosto che in una sala consacrata al culto di Dio e all’ascolto, con l’intenzione di ubbidirle, delle sue parole. Spesso si cerca di sbrigare la parte “religiosa” in modo che non offenda o scocci nessuno

Ma la maggior parte della “festa” è valutata per altre qualità: l’eleganza dei locali, la musica piacevole e moderna e la qualità dei musicisti, l’abbigliamento della sposa e delle sue accompagnatrici, le portate e l’eleganza del servizio, la quantità e la qualità dei cibi, le spese probabili (di cui alcuni parenti sono abilissimi calcolatori). La preoccupazione non sembra tanto quella di evitare il dispiacere di Dio, ma le critiche dei parenti.

Forse consideri i miei giudizi esagerati (spero che tu abbia ragione!), ma non sarebbe bello potere fare le cose diversamente? Ci pensiamo la volta prossima.
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martedì 11 settembre 2012

La tua famiglia: battaglia o sicurezza?



Il futuro è molto vicino

In alcune delle grandi città dell’America del sud, come anche in alcune città del ex-Unione Sovietica, centinaia di bambini passano gli anni più importanti della loro fanciullezza, gli anni della formazione del loro carattere, del loro concetto di bene e di male, del significato della vita e della famiglia, sui marciapiedi. Senza genitori o famiglia. Dormono sotto i ponti e, durante i periodi freddi, nelle gallerie delle fogne, sotto terra.

Vivono in branchi come i lupi, condividendo i cibi che possono rubare in negozi o bancarelle lunga la strada, coprendosi di vestiti trovati nella spazzatura, senza conoscere il significato di parole come amore, gentilezza, pace.

Per loro, le parole come “famiglia, mamma, papà, casa, letto” non esistono. 

Ma, non avevano delle mamme, le loro mamme, che avrebbe potuto dare loro da mangiare? Certo che una  qualche donna li ha partoriti e che qualcuno li ha curati per qualche anno. Ma, poi, i bambini in famiglia erano troppi e le loro mamme non potevano fare altro che affidarli, e affidare la loro vita, alla strada. Alcuni sarebbero sopravvissuti; altri no.

È un esempio di ciò che succede quando la famiglia viene distrutta.

E cosa dire del problema delle persone che vivono, passando da un matrimonio all’altro?   Ricordo un articolo su una delle ereditiere più ricche del mondo. Stava per sposarsi per la settima volta. C’era la sua foto con la frase: “Finalmente, mi sento amata!”  Cosa diceva quella piccola frase riguardo ai sei mariti precedenti? Che lei aveva scoperto che non l’avevano sposata per amore, ma per… i suoi soldi.

Che importa se uno si sposa per soldi o per altro? Facilmente può ingannarsi o ingannare l’altro, può avere e nascondere tanti motivi egoistici. Molti matrimoni vanno a picco per aspettative sbagliate e non realizzate, speranze deluse, mete inconciliabili.

Che pensare, allora, di una società in cui le separazioni e i divorzi sono sempre in aumento? 
Che pensare delle coppie che praticano il controllo delle nascite con l’aborto? Come definire l’uomo che non sa quanti figli ha generati, o la donna che non sa di sicuro chi siano i padri dei suoi figli?

Che pensare della coppia che dice: “Sì, ci siamo sposati in chiesa per la famiglia, per il bel matrimonio che sua Mamma desiderava, ma siamo d’accordo che, se non va bene, ognuno per conto suo e tanti auguri!”?

Troppe sono le persone che lavorano col proposito di rendere il matrimonio di una volta, fatto di amore per tutta la vita, di famiglie che si amano, si difendono e si aiutano malgrado tutto, uno scherzo, un oggetto di scherno, una reliquia di cui vergognarsi.

La Bibbia descrive la vita sulla terra come una battaglia fra Dio e Satana, il  nemico che cerca di distruggere ogni cosa che Dio ha stabilita per il bene e la felicità delle sue creature. Perciò, non ci sorprende di vedere il matrimonio, che è la base della civiltà e della vita veramente umana, preso di mira per essere distrutto. Così, si considera il matrimonio sempre meno importante. La famiglia diventa soltanto una convivenza per alcuni anni, la cura dei figli  un peso, una noia e una scocciatura. E l’idea di una famiglia ordinata che sia di conforto, di sprone e di orgoglio per i figli, diventa roba antica da evitare.

Non c’è dubbio che la famiglia, come Dio l’ha concepita, sia sotto attacco e vicina a soccombere. E noi credenti la stiamo buttando giù, o curando avvedutamente?

Tu, cosa credi, quando pensi seriamente al problema? A te interessa sposarti con una persona che amerai per tutta la vita, malgrado i problemi che si presenteranno, e con cui formerai, con i figli che nasceranno, una famiglia unita, educata e capace di affrontare la vita adulta con dei principi sani da trasmettere, più avanti, ai loro figli che verranno?
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lunedì 3 settembre 2012

La società perde il suo significato



La famiglia non serve più

Mi pare che non sia solo la società pagana in cui viviamo, ma anche la chiesa evangelica quella che sta perdendo un tesoro insostituibile.  E la dimostrazione è davanti agli occhi di tutti.

È uno di quei tesori di cui il mondo non può fare a meno senza distruggere addirittura il tessuto della civiltà e portare gli esseri umani più profondamente e apertamente ad una mentalità anti-Dio.  Anche i cristiani?  Sì, anche i cristiani.  Anche i credenti nati di nuovo?  Sì, anche i credenti nati di nuovo.

Qual è questo tesoro che, una volta perso, non può essere ricuperato da nessuno?

È, detto francamente e brevemente, il senso e il valore del matrimonio.  Oggi il matrimonio significa poco e vale poco.

I matrimoni si “celebrano”, fra l’altro, sul fondo del mare, sulla vetta della montagna, in aerei, mongolfiere o paracaduti.  Alcuni farebbero qualsiasi cosa perché il loro matrimonio risultasse insolito e provocatorio.  I matrimoni si “celebrano”, ovviamente, in alberghi, ristoranti e sale da ballo, per dimostrare che il ritrovarsi in molti, o il mangiare, o il ballo siano il significato più importante e centrale della festa e se si fa anche un cenno alla religione (qualsiasi), questo deve essere breve e non noioso.  (Anche fra di noi credenti!).

Spesso vi è, nella cerimonia, un riferimento alla fedeltà o al “finché la morte non ci separi”, ma pochi (o nessuno?) prendono sul serio questa promessa.  Quando ciò che definiscono come amore si esaurisce, o un altro “amore” lo sostituisce, si butta il matrimonio alle ortiche per riprovarci ancora una volta, o due volte, o spesso anche di più.

Il disprezzo del matrimonio e del suo significato è ancora più evidente e appariscente, nei moltissimi casi di convivenza di breve o di lunga durata.  Spesso chi sceglie questo comportamento dice: “Almeno, siamo più sinceri di quelli che si sposano, ma che si lasciano quando pare a loro, dimostrando, con le azioni, che il rito del matrimonio non ha alcun significato”.

E che pensare della serietà, in senso biblico, di quelli che si sposano accordandosi, per il loro comodo, di non avere dei figli, quando Dio, al principio, ha benedetto la prima coppia, ammonendola di avere figli?  E che pensare di chi “sposa” un’altra persona del suo stesso sesso, sapendo che la loro unione fisica non potrà mai produrre un figlio?

Distruggendo il matrimonio, la società umana non esisterà più, ma ci sarà solo una moltitudine di persone che si accoppiano dove, quando e con chi desiderano, senza legami. I figli eventuali, che ne risulteranno, non avranno genitori e forse neanche qualcuno che si sentirà responsabile di cibarli e educarli.

Che la nostra società occidentale abbia perso, o rifiutato, il senso e il valore del matrimonio come stabilito da Dio è ovvio.  Ma, che importa?  Che c’entra Dio con l’amore di due persone?  Oggi, tutto il mondo, anche quella parte che professa di seguire il cristianesimo, si sente liberato da quelle usanze e principi che, una volta, si consideravano importanti.  Viviamo in un altro mondo, in cui ognuno fa sinceramente (?) come crede, o come non crede.

Non tocca a “noi”, si dice, bacchettare gli altri o pretendere che si comportino come professiamo di credere noi.  Quelle leggi e quelle usanze, che costituiscono legami e impedimenti alla felicità e alla libertà delle persone, devono essere distrutte, proprio per il bene della società e per il suo equilibrio mentale e morale.  Basta con le religioni che ci indicano ciò che possiamo o non possiamo fare!

Tu, che ne pensi?  E non dirmi che non vuoi pensarci, perché quella è la più grande delle rinunzie a vivere da essere umano, e la più pericolosa delle ipocrisie.
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