martedì 30 ottobre 2012

Ciò che ho trovato in Sicilia



È di valore e di buon senso
Sono appena tornato da un viaggio in Sicilia, dove ho rivisitato alcune delle zone, in cui ero stato circa 50 anni fa, alla ricerca di credenti evangelici. Ho visitato e insegnato la Bibbia in quattro città dove, 50 anni fa, non c’era una testimonianza evangelica.
Per lo più, ho trovato sale piene di fratelli e sorelle in Cristo, pieni di zelo, di gioia e di riconoscenza per il Vangelo che è stato predicato loro ed a cui hanno creduto. Ho trovato dei fratelli, riconosciuti come “anziani” e responsabili delle chiese, dotati di una buona conoscenza della Bibbia e animati da un forte desiderio di guidare la chiesa in un cammino di fedeltà biblica, sia per la dottrina, sia per la pratica.
Questi cambiamenti di vita non sono stati vissuti senza trovarsi in contrasto, e spesso con un urto frontale, con alcuni aspetti della cultura e delle abitudini radicate, addirittura da secoli, nella vita tradizionale della popolazione siciliana.
Fra questi, i contrasti religiosi. Ancora in molte località, le feste dei santi, e particolarmente dei patroni della città, sono considerate una parte del tessuto sociale che coinvolge tutti in manifestazioni pubbliche della “fedeltà” alle usanze e alle rivalità antiche. Non partecipare è già una colpa religiosa e civile. Dichiarare addirittura che non si crede più ai santi e alla loro capacità di procurare vantaggi per i fedeli è considerato un tradimento.
Questo tipo di usanze e di credenze una volta coinvolgevano tutta l’Italia, ma, sotto la pressione di cambiamenti e di convinzioni nuove, stanno scomparendo. Si tratta di un progresso, come civiltà o come vita religiosa? Non necessariamente.
Purtroppo, molti italiani, tanti italiani, non solo si allontanano dalle tradizioni e le pratiche religiose che i loro antenati seguivano fedelmente, ma fanno un passo ancora più grande. Mettono in dubbio, se non la rifiutano del tutto, l’esistenza di un Dio che, nella sua perfezione infinita, conosce e si interessa delle persone, della loro condotta, della loro fede e del loro destino eterno.
La maggioranza degli italiani non è ancora pronta a definirsi “atea”, ma il suo modo di pensare e di vivere è, in pratica, un’ateismo vero e proprio anche se non ancora definito e professato come tale. Non si accettano più, e non ci si sottomette più, a “regole” morali insegnate dalla chiesa o imposte da un’autorità divina.
Chi ha fatto questo passo ancora si riempie spesso la bocca di parole come “spiritualità” o cristianesimo, dicendo che la sua spiritualità è una realtà personale ma non religiosa, o che il suo cristianesimo non è più quello della chiesa, ma dello spirito, basato sugli insegnamenti di Cristo.
Respinge non solo il cattolicesimo o il cristianesimo, ma qualsiasi religione organizzata.
Dal mio punto di vista, conversare sulla Bibbia, sulla fede e sulla vita eterna è immensamente più facile con un cattolico romano praticante che con queste persone convinte che l’unica verità che conta sia quella che hanno inventata e abbracciata loro.
La loro “religione personale” è l’unica che li interessa, e parlarne con altri non è né necessario né possibile. Vista da fuori, è una religione che richiede poco o niente, né come moralità né come rinunzia né come ragionamento. Il suo pregio è il senso di conforto e di auto-sufficienza che dona loro, immune alle critiche o al giudizio di alcuno.
Che Dio benedica i Siciliani che credono alla Bibbia e felicemente proclamano la loro fede.
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