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Le origini della terra: un “mistero”
Per meglio comprendere le origini della nostra terra e della vita, preferiresti essere un grande e famoso scienziato o un bambino? Chi avrebbe più probabilità di avere ragione, lo scienziato o il bambino?
Sir Fred Hoyle, famoso scienziato inglese, coniò la frase “big bang” (grande esplosione) nel 1949. Gli scienziati dicono che il big bang è la teoria migliore dell’origine e evoluzione del cosmo, cioè l’universo.
Questa teoria immagina che l’origine dell’universo accadde per mezzo di una grande esplosione, quando “densità e temperatura infinite arrivarono a un punto finito del tempo, nel passato”. Tutta la massa dell’universo fu raccolta in un punto, chiamato “l’atomo primevo”, prima che il tempo e lo spazio esistessero.
Ovviamente “la teoria del Big Bang non può e non tenta di spiegare quella condizione iniziale, ma studia e «spiega» l’evoluzione da quel punto in avanti”.
Ma, molti scienziati si sono resi conto che questa teoria non spiega molte cose, fra cui l’origine della vita, che è un fattore essenziale del nostro universo.
Immaginiamo, allora, questa conversazione.
Il prof. Fred Hoyle: “Vedi, ragazzo, che si può facilmente spiegare le origini dell’universo senza credere affatto in un dio?”
“Sì, signore, ma chi ha messo tutta quella energia e calore «infinite» in quel punto?”
“Beh, a dire il vero, questo non lo sappiamo. È un mistero” risponde il grande scienziato.
“E, poi, come mai esistiamo noi? Non potevamo uscire da un esplosione!”
“Beh”, risponde il grande scienziato: “Anche questo non lo sappiamo. È un grande mistero! Personalmente, credo che la vita è arrivata sulla terra dallo spazio.”
“Mi scusi, professore, ma come mai la vita esisteva nello spazio?” chiese il ragazzo, sempre più confuso.
“Caro ragazzo, tu ti devi fidare di noi scienziati e non credere più a quelle teorie sciocche di un dio che ha creato tutto. In verità, non sappiamo come mai la vita è esistita nello spazio. È un grande mistero.”
“O.K.” disse il ragazzo. “Voi credete ai vostri “misteri”. Io, invece, credo in Dio, come dice la Bibbia, che ha creato tutto. Per me, credere ai vostri «misteri» è più difficile che credere in Dio!”
Il ragazzo è effettivamente più intelligente dello scienziato. Lo scienziato crede a ciò che non può provare e che non può spiegare. E, per di più, non sa neanche dove cercare le risposte.
Anche il ragazzo non può provare e spiegare tutto, ma sa dove trovare le risposte. Forse non può spiegare tutto, ma trova che credere in un Dio infinito è molto più facile che credere in densità e temperatura infinite (cioè senza alcun limite) che neanche il grande scienziato può spiegare.
Per capire di più ciò che il professore credeva, vedi le voci “Big Bang” e “exogenesis” nella enciclopedia “Wikipedia” su internet. Per capire di più ciò che il ragazzo crede, vedi Genesi, capitolo 1, nella Bibbia.
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lunedì 27 luglio 2009
martedì 21 luglio 2009
È giusto non giudicare mai? - 3
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Tu hai bisogno di discernimento biblico
Non “giudicare” gli altri è un comandamento di Gesù e un insegnamento dell’Apostolo Paolo. (Vedi i due precedenti blog)
Allora, dobbiamo lasciare correre tutto? Stare zitti quando vediamo il male? Fare questo non ti sembra molto pericolso? Lo è!
Paolo ha scritto anche questo: “Devo giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi” (1 Corinzi 5:12,13). Ovviamente, il credente, o chi si professa credente, che commette il peccato in modo evidente non può continuare a vivere una vita doppia in seno alla chiesa. Dev’essere riconosciuto e escluso.
Difatti, la Bibbia insegna che, in ogni parte della società vi sono quelli che hanno il compito e il dovere di “giudicare”.
Nella società civile, sono i giudici e il sistema legale che devono intervenire con chi trasgredisce la legge (vedere Romani 13:1-4). “Il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene” (Romani 13:4).
Nella chiesa locale, i responsabili dell’ordine e della disciplina sono, in primo luogo, gli anziani: vedere Atti 20:28-31. Paolo usa come titolo dei respsonsabili della chiesa la parola “vescovi”, che vuol dire sorvegliante, e, poi, ordina loro di “vegliare”, per riconoscere la cattiva dottrina e i falsi dottori, e escluderli dalla chiesa. Nell’Epistola agli Ebrei è scritto: “Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettevi a loro” (13:17).
Anche nella famiglia, vi sono coloro che hanno il dovere di vegliare, riconoscere il male e fermarlo: i genitori. “Abbiamo avuto per correttori i nostri padri… Essi infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno” (Ebrei 12:8,10). Ai figli, Paolo scrive: “Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori” (Efesini 6:1).
Ovviamente, la Bibbia non considera nessuna di queste autorità come infallibile né assoluta. Tutte risponderanno a Dio per i loro errori, sia di commissione, sia di omissione, sia di parzialità, sia di ingiustizia, sia di trascuratezza o di esagerazione.
Comunque, tre principi sono chiari. Primo, il giudizio e la sua applicazione non sono lasciati indistintatemente nelle mani di tutti. Secondo, nessuno ha il diritto di fare le proprie vendette, diventando, cioè, legislatore, giudice e esecutore della pena. Terzo, tutto il male fatto non sarà mai scoperto e pagato in questa vita, ma nessun male mai fatto e nessun malfattore mai esistito potrà sfuggire al giudizio perfetto di Dio.
Nessno di noi ha il diritto di giudicare le intenzioni segrete o i pensieri che abbiamo attribuito agli altri, perché sono i fatti e le parole quelli che si giudicano, quando sono confermati e provati. Per questo, Gesù disse: “Guardatevi (un dovere di ogni credente) dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti” (Matteo 7:15,16).
Ogni credente ha il dovere di discernere e ubbidire alle parole di Paolo: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi”, cioè non dobbiamo legarci in attività e impegni con chi non condivide la nostra fede, né in legami matrimoniali, né in legami di comunione e collaborazione spirituale, né in legami di società negli affari.
Le istruzioni bibliche sono sempre chiare e tassative. Tocca a noi ubbidire.
Solo con lo studio e per mezzo dell’ubbidienza alla Bibbia cresceremo in discernimento e sapremo cosa fare nelle tante scelte della vita.
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Tu hai bisogno di discernimento biblico
Non “giudicare” gli altri è un comandamento di Gesù e un insegnamento dell’Apostolo Paolo. (Vedi i due precedenti blog)
Allora, dobbiamo lasciare correre tutto? Stare zitti quando vediamo il male? Fare questo non ti sembra molto pericolso? Lo è!
Paolo ha scritto anche questo: “Devo giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi” (1 Corinzi 5:12,13). Ovviamente, il credente, o chi si professa credente, che commette il peccato in modo evidente non può continuare a vivere una vita doppia in seno alla chiesa. Dev’essere riconosciuto e escluso.
Difatti, la Bibbia insegna che, in ogni parte della società vi sono quelli che hanno il compito e il dovere di “giudicare”.
Nella società civile, sono i giudici e il sistema legale che devono intervenire con chi trasgredisce la legge (vedere Romani 13:1-4). “Il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene” (Romani 13:4).
Nella chiesa locale, i responsabili dell’ordine e della disciplina sono, in primo luogo, gli anziani: vedere Atti 20:28-31. Paolo usa come titolo dei respsonsabili della chiesa la parola “vescovi”, che vuol dire sorvegliante, e, poi, ordina loro di “vegliare”, per riconoscere la cattiva dottrina e i falsi dottori, e escluderli dalla chiesa. Nell’Epistola agli Ebrei è scritto: “Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettevi a loro” (13:17).
Anche nella famiglia, vi sono coloro che hanno il dovere di vegliare, riconoscere il male e fermarlo: i genitori. “Abbiamo avuto per correttori i nostri padri… Essi infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno” (Ebrei 12:8,10). Ai figli, Paolo scrive: “Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori” (Efesini 6:1).
Ovviamente, la Bibbia non considera nessuna di queste autorità come infallibile né assoluta. Tutte risponderanno a Dio per i loro errori, sia di commissione, sia di omissione, sia di parzialità, sia di ingiustizia, sia di trascuratezza o di esagerazione.
Comunque, tre principi sono chiari. Primo, il giudizio e la sua applicazione non sono lasciati indistintatemente nelle mani di tutti. Secondo, nessuno ha il diritto di fare le proprie vendette, diventando, cioè, legislatore, giudice e esecutore della pena. Terzo, tutto il male fatto non sarà mai scoperto e pagato in questa vita, ma nessun male mai fatto e nessun malfattore mai esistito potrà sfuggire al giudizio perfetto di Dio.
Nessno di noi ha il diritto di giudicare le intenzioni segrete o i pensieri che abbiamo attribuito agli altri, perché sono i fatti e le parole quelli che si giudicano, quando sono confermati e provati. Per questo, Gesù disse: “Guardatevi (un dovere di ogni credente) dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti” (Matteo 7:15,16).
Ogni credente ha il dovere di discernere e ubbidire alle parole di Paolo: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi”, cioè non dobbiamo legarci in attività e impegni con chi non condivide la nostra fede, né in legami matrimoniali, né in legami di comunione e collaborazione spirituale, né in legami di società negli affari.
Le istruzioni bibliche sono sempre chiare e tassative. Tocca a noi ubbidire.
Solo con lo studio e per mezzo dell’ubbidienza alla Bibbia cresceremo in discernimento e sapremo cosa fare nelle tante scelte della vita.
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martedì 14 luglio 2009
Attento all’albero!
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Giudicare gli altri mi fa male?
Perché l’apostolo Paolo ha vietato con grande rigore la critica di altri fratelli? Perché non sbagliano mai? No. Ma perché la critica diventa chiacchiere, parole vuote e vane, senza alcuno scopo, valore o frutto spirituale. Parole dette solo per gustare il sapore agro-dolce del pettegolezzo.
Gesù stesso, prima di Paolo, aveva detto: “Non giudicate, affinché non siate giudicati”. E ha avvertito: “Con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati”. Per capire il significato di queste parole, vai a controllare, per piacere, questo breve discorso di Gesù nel vangelo di Matteo, capitolo 7, vv. 1-5. Ovviamente, questo avvertimento non vuol dire che tu non sei capace di discernere il bene dal male, perché poco più avanti, Gesù dice che si può riconoscere le persone dal frutto che portano (vv. 15-20).
Gesù parla, piuttosto, di quel tipo di giudizio, tanto cattivo quanto ingiusto, che indaga e crede di capire i motivi e le intenzioni degli altri, di sapere leggere nella loro mente, cosa crudele che tutti facciamo con tanta facilità e sicurezza. “Hai visto che non mi ha salutato perché si considera migliore di tutti?” “Lo sapevi che non viene più in chiesa perché non va d’accordo con… ?"
O, peggio ancora, crediamo di capire tanto bene il cuore degli altri da sapere come correggere in loro quello che non va.
“Caro, non so se tu sai quante volte le tue parole nascondono una buona dose di orgoglio. Ti posso aiutare, spiegandoti come il Signore ha tolto l’orgoglio a me.”
Certo, il Signore dice che, forse, hai visto giusto che tuo fratello ha un granello si sabbia in un occhio, o qualche altro tipo di problema, ma come fai a dire che tu non sei orgoglioso più di lui? È fin troppo facile pensare che noi non abbiamo bisogno di cambiare nulla, mentre gli altri ne hanno tanto!
Prima di pretendere di saper mettere a posto tua sorella, togli dal tuo occhio quell’ingombrante tronco d’albero, addirittura con tutte le sue radici e il fogliame, che fai finta di non vedere!
Ma come fa il Signore ad accusarti di avere un tronco nel tuo occhio, quando, in fondo, ti senti abbastanza a posto spiritualmente? Egli fa esattamente quello che hai fatto tu, quando credevi di leggere nel cuore e nelle intenzioni di tua sorella. La sola differenza è che tu non lo puoi e non lo sai fare, mentre Lui sì. Egli ti legge come un libro aperto.
C’è un vecchio proverbio che dice che i difetti che vediamo e giudichiamo negli altri sono quelli che abbiamo noi. Fermati a pensarci, quando critichi o giudichi qualcuno. Lo giudichi come troppo insistente, o troppo pronto a non dire tutta la verità o troppo pronto a criticare? Non sarà, forse, che questo sia proprio un difetto tuo?
Il Signore ha voluto insegnare che, prima di intervenire per aiutare qualcuno, o prima di credere di essere in grado di capire i problemi di qualcuno, tu devi fare un profondo e sincero esame del tuo cuore, dei tuoi atteggiamenti, delle tue debolezze, del tuo comportamento, per arrivare a confessare ogni peccato a Dio e chiedergli di trasformarti. Nella soluzione dei problemi, fra marito e moglie, figli e genitori, parenti, fratelli e sorelle di chiesa, non dobbiamo mai credere che la soluzione dipenda solo dall’altro.
Esaminare ai raggi X la propria vita è essenziale, sia nei suoi lati spirituali (rapporto col Signore, meditazione della Parola, confessione di peccato, cammino nella purezza e nella luce), sia nei lati pratici (offese, contrasti, ingiustizie, risentimenti, trascuratezze, amarezze). Allora sapremo, prima di poterci offrire per aiutare altri, o pretendere di saperlo fare, se i nostri giudizi e valutazioni sono giusti.
È inutile fare finta che la chiesa sia una società priva di problemi: è fatta di essere umani prorio come te e me. È vero che i membri della vera chiesa sono “nati di nuovo”, che sono diventati “il tempio dello Spirito Santo”. Ma è un tempio ancora in costruzione e la perfezione arriverà soltanto quando la chiesa sarà in cielo con il suo Signore.
In questo periodo, fai attenzione che, criticando gli altri, non riveli a tutti i tuoi propri difetti.
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Giudicare gli altri mi fa male?
Perché l’apostolo Paolo ha vietato con grande rigore la critica di altri fratelli? Perché non sbagliano mai? No. Ma perché la critica diventa chiacchiere, parole vuote e vane, senza alcuno scopo, valore o frutto spirituale. Parole dette solo per gustare il sapore agro-dolce del pettegolezzo.
Gesù stesso, prima di Paolo, aveva detto: “Non giudicate, affinché non siate giudicati”. E ha avvertito: “Con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati”. Per capire il significato di queste parole, vai a controllare, per piacere, questo breve discorso di Gesù nel vangelo di Matteo, capitolo 7, vv. 1-5. Ovviamente, questo avvertimento non vuol dire che tu non sei capace di discernere il bene dal male, perché poco più avanti, Gesù dice che si può riconoscere le persone dal frutto che portano (vv. 15-20).
Gesù parla, piuttosto, di quel tipo di giudizio, tanto cattivo quanto ingiusto, che indaga e crede di capire i motivi e le intenzioni degli altri, di sapere leggere nella loro mente, cosa crudele che tutti facciamo con tanta facilità e sicurezza. “Hai visto che non mi ha salutato perché si considera migliore di tutti?” “Lo sapevi che non viene più in chiesa perché non va d’accordo con… ?"
O, peggio ancora, crediamo di capire tanto bene il cuore degli altri da sapere come correggere in loro quello che non va.
“Caro, non so se tu sai quante volte le tue parole nascondono una buona dose di orgoglio. Ti posso aiutare, spiegandoti come il Signore ha tolto l’orgoglio a me.”
Certo, il Signore dice che, forse, hai visto giusto che tuo fratello ha un granello si sabbia in un occhio, o qualche altro tipo di problema, ma come fai a dire che tu non sei orgoglioso più di lui? È fin troppo facile pensare che noi non abbiamo bisogno di cambiare nulla, mentre gli altri ne hanno tanto!
Prima di pretendere di saper mettere a posto tua sorella, togli dal tuo occhio quell’ingombrante tronco d’albero, addirittura con tutte le sue radici e il fogliame, che fai finta di non vedere!
Ma come fa il Signore ad accusarti di avere un tronco nel tuo occhio, quando, in fondo, ti senti abbastanza a posto spiritualmente? Egli fa esattamente quello che hai fatto tu, quando credevi di leggere nel cuore e nelle intenzioni di tua sorella. La sola differenza è che tu non lo puoi e non lo sai fare, mentre Lui sì. Egli ti legge come un libro aperto.
C’è un vecchio proverbio che dice che i difetti che vediamo e giudichiamo negli altri sono quelli che abbiamo noi. Fermati a pensarci, quando critichi o giudichi qualcuno. Lo giudichi come troppo insistente, o troppo pronto a non dire tutta la verità o troppo pronto a criticare? Non sarà, forse, che questo sia proprio un difetto tuo?
Il Signore ha voluto insegnare che, prima di intervenire per aiutare qualcuno, o prima di credere di essere in grado di capire i problemi di qualcuno, tu devi fare un profondo e sincero esame del tuo cuore, dei tuoi atteggiamenti, delle tue debolezze, del tuo comportamento, per arrivare a confessare ogni peccato a Dio e chiedergli di trasformarti. Nella soluzione dei problemi, fra marito e moglie, figli e genitori, parenti, fratelli e sorelle di chiesa, non dobbiamo mai credere che la soluzione dipenda solo dall’altro.
Esaminare ai raggi X la propria vita è essenziale, sia nei suoi lati spirituali (rapporto col Signore, meditazione della Parola, confessione di peccato, cammino nella purezza e nella luce), sia nei lati pratici (offese, contrasti, ingiustizie, risentimenti, trascuratezze, amarezze). Allora sapremo, prima di poterci offrire per aiutare altri, o pretendere di saperlo fare, se i nostri giudizi e valutazioni sono giusti.
È inutile fare finta che la chiesa sia una società priva di problemi: è fatta di essere umani prorio come te e me. È vero che i membri della vera chiesa sono “nati di nuovo”, che sono diventati “il tempio dello Spirito Santo”. Ma è un tempio ancora in costruzione e la perfezione arriverà soltanto quando la chiesa sarà in cielo con il suo Signore.
In questo periodo, fai attenzione che, criticando gli altri, non riveli a tutti i tuoi propri difetti.
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martedì 7 luglio 2009
Esistono nella chiesa degli “ispettori”?
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Criticare è vietato
“Non so se tu lo sai” mi ha detto un giovane che mi era venuto a trovare, “ma ho visto con i miei occhi che certi credenti, anche persone in vista, non vivono veramente da cristiani. Perdono la pazienza, dicono cose acide e cattive, non trattano bene la moglie e i figli. Ne ho visto tanti.”
“È interessante” gli ho risposto. “La Bibbia insegna chiaramente come dovrebbe essere il frutto dello Spirito nella nostra vita. Ma non è mai scritto che Dio abbia messo nella chiesa qualcuno e gli abbia dato il compito di essere ispettore del frutto altrui”.
Non c’è nulla di più facile, però, che alcuni di noi si sentano in dovere, e pensino di esserne capaci, di valutare, pesare, ispezionare la testimonianza e la vita degli altri. Senza avere né il diritto né, purtroppo, le qualifiche per farlo.
Minimo, minimo, chi esprime pareri sul frutto spirituale nella vita degli altri farebbe bene a non avere nulla da nascondere nella propria vita.
Giacomo, un fratello di Gesù, era un insegnante autorevole nella chiesa apostolica, e ha scritto nella sua lettera, al capitolo 3: “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, perché manchiamo tutti in molte cose”.
Abbiamo capito bene? Quanti credenti mancano in qualcosa? TUTTI! E in quante cose manchiamo tutti? MOLTE!
Giacomo continua il suo discorso, scrivendo: “Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto”. Siccome l’insegnamento continuo della Parola di Dio è che non esistono uomini perfetti (e neanche donne perfette, né giovani perfetti né anziani perfetti), è scontato che tutti sbagliano, a volte, in ciò che dicono e nel modo di dirlo.
Non ha usato frasi “politicamente corrette” l’apostolo Paolo quando ha dovuto trattare il problema delle critiche e giudizi di altri nella chiesa. Ha scritto: “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui (cioè un tuo fratello che, come te, serve il Signore)? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone: ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi” (Lettera di Paolo ai Romani, capito 14, v. 4).
“Ma tu, perché giudichi il tuo fratello?” Paolo scrive nel versetto 10 dello stesso capitolo. “E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio” (v. 10). E, nel versetto 13, conclude: “Smettiamo, dunque, di giudicarci gli uni gli altri”.
Perché l’apostolo Paolo si riscaldava tanto? La risposta è chiara: perché i giudizi, il disprezzo, le critiche di altri fratelli e sorelle era un problema grosso nella chiesa a Roma. Esattamente come può essere un problema grosso nella tua chiesa o nella mia. La tentazione di criticare altri, per innalzare, consciamente o inconsciamente, noi stessi è così comune che nessuno ne è esente.
Ma le critiche, se le teniamo soltanto “fra noi” (marito e moglie, alcuni del gruppo dei giovani, alcune sorelle o fratelli), che male possono fare? Primo, è una disubbidienza a Dio, una spia che si è accesa per indicare la mancanza dello spirito di amore che dovrebbe regnare nella chiesa. Poi, secondo, è qualcosa che certamente porterà alla formazione di divisioni, cricche, rivalità nocive per la buona armonia della chiesa. Terzo, smorzerà l’opera dello Spirito Santo, impedendo la testimonianza verso l’esterno, frenando la crescita spirituale di tutti, permettendo che la carnalità regni a tutti i livelli della vita della chiesa.
Ma, non si può neanche avvertire un fratello, una sorella, un giovane, che sta sbagliando, che sta perdendo il suo “primo amore”? Devo accettare tutto e rimanere zitto? Ne parlerò la prossima volta.
Per ora, facciamo un attento esame di coscienza riguardo alle parole che vengono dalla nostra bocca, e i sentimenti che abbiamo in cuore.
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Criticare è vietato
“Non so se tu lo sai” mi ha detto un giovane che mi era venuto a trovare, “ma ho visto con i miei occhi che certi credenti, anche persone in vista, non vivono veramente da cristiani. Perdono la pazienza, dicono cose acide e cattive, non trattano bene la moglie e i figli. Ne ho visto tanti.”
“È interessante” gli ho risposto. “La Bibbia insegna chiaramente come dovrebbe essere il frutto dello Spirito nella nostra vita. Ma non è mai scritto che Dio abbia messo nella chiesa qualcuno e gli abbia dato il compito di essere ispettore del frutto altrui”.
Non c’è nulla di più facile, però, che alcuni di noi si sentano in dovere, e pensino di esserne capaci, di valutare, pesare, ispezionare la testimonianza e la vita degli altri. Senza avere né il diritto né, purtroppo, le qualifiche per farlo.
Minimo, minimo, chi esprime pareri sul frutto spirituale nella vita degli altri farebbe bene a non avere nulla da nascondere nella propria vita.
Giacomo, un fratello di Gesù, era un insegnante autorevole nella chiesa apostolica, e ha scritto nella sua lettera, al capitolo 3: “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, perché manchiamo tutti in molte cose”.
Abbiamo capito bene? Quanti credenti mancano in qualcosa? TUTTI! E in quante cose manchiamo tutti? MOLTE!
Giacomo continua il suo discorso, scrivendo: “Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto”. Siccome l’insegnamento continuo della Parola di Dio è che non esistono uomini perfetti (e neanche donne perfette, né giovani perfetti né anziani perfetti), è scontato che tutti sbagliano, a volte, in ciò che dicono e nel modo di dirlo.
Non ha usato frasi “politicamente corrette” l’apostolo Paolo quando ha dovuto trattare il problema delle critiche e giudizi di altri nella chiesa. Ha scritto: “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui (cioè un tuo fratello che, come te, serve il Signore)? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone: ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi” (Lettera di Paolo ai Romani, capito 14, v. 4).
“Ma tu, perché giudichi il tuo fratello?” Paolo scrive nel versetto 10 dello stesso capitolo. “E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio” (v. 10). E, nel versetto 13, conclude: “Smettiamo, dunque, di giudicarci gli uni gli altri”.
Perché l’apostolo Paolo si riscaldava tanto? La risposta è chiara: perché i giudizi, il disprezzo, le critiche di altri fratelli e sorelle era un problema grosso nella chiesa a Roma. Esattamente come può essere un problema grosso nella tua chiesa o nella mia. La tentazione di criticare altri, per innalzare, consciamente o inconsciamente, noi stessi è così comune che nessuno ne è esente.
Ma le critiche, se le teniamo soltanto “fra noi” (marito e moglie, alcuni del gruppo dei giovani, alcune sorelle o fratelli), che male possono fare? Primo, è una disubbidienza a Dio, una spia che si è accesa per indicare la mancanza dello spirito di amore che dovrebbe regnare nella chiesa. Poi, secondo, è qualcosa che certamente porterà alla formazione di divisioni, cricche, rivalità nocive per la buona armonia della chiesa. Terzo, smorzerà l’opera dello Spirito Santo, impedendo la testimonianza verso l’esterno, frenando la crescita spirituale di tutti, permettendo che la carnalità regni a tutti i livelli della vita della chiesa.
Ma, non si può neanche avvertire un fratello, una sorella, un giovane, che sta sbagliando, che sta perdendo il suo “primo amore”? Devo accettare tutto e rimanere zitto? Ne parlerò la prossima volta.
Per ora, facciamo un attento esame di coscienza riguardo alle parole che vengono dalla nostra bocca, e i sentimenti che abbiamo in cuore.
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