martedì 4 giugno 2013

Linguaggio sconcio


Una nuova moda da condannare 

Sei mai sorpreso, dispiaciuto, offeso, spaventato dal linguaggio sporco che senti alla televisione? O, peggio, che tuo figlio porta a casa dalla scuola elementare? Dalle parole, una volta vietate nella “buona” società, che senti per la strada o nel supermercato?

Ultimamente, giornalisti e autorità hanno commentato sul turpiloquio che è diventato parte normale del discorso politico, un linguaggio che non aggiunge nulla alla conversazione né serve a chiarire argomenti più o meno difficili.

Alle volte qualcuno mi ha avvertito, spaventato, del linguaggio che ha sentito usare fra fratelli di chiesa e qualcuno mi ha riportato delle parole inappropriate dette dal pulpito, o in una riunione di giovani.

Giustamente, possiamo domandarci dove andiamo a finire. Meglio, forse, domandarci dove va a finire il mondo in cui viviamo. Come se la Bibbia non ce lo avesse già detto!

Una volta, le affermazioni, in cui era usato il nome di Dio o di qualche divinità o santo, servivano a rinforzare l’importanza o la solennità di ciò che si diceva. Poi, sono diventate invocazioni e giuramenti detti con leggerezza totale, soltanto per l’effetto, senza tenere conto del significato preciso di ciò che si diceva. Da qui son passate ad essere soltanto delle bestemmie, per maledire Dio per le cose che succedono nella vita umana.

Su questa strada, il linguaggio diventa sempre più facilmente, anche per chi non si rende conto di ciò che dice, farcito con imprecazioni, invocazioni dell’intervento di qualche potere, giuramenti, parole che si riferiscono a organi del corpo, a sostanze o avvenimenti esecrandi, che permettono che il 10, 20 o 50 per cento della conversazione sia fatta di parole sconce e totalmente inutili per la corretta comunicazione di un pensiero.

Eppure, alcuni possono credere che usare il nome di Dio come testimone a ciò che dicono, o come giudice se dicono il falso, sia un modo legittimo e corretto di esprimersi. Qualcuno può pensare che, per sembrare più coinvolti nella cultura giovanile, sia utile inserire nel suo discorso una parolaccia di moda fra i giovani, sentendosi giustificati dallo scopo di farsi ascoltare e apprezzare.

La Bibbia ci insegna, invece, le basi giuste per l’uso della lingua. Prima, parlando delle conversazioni dei credenti, Gesù ha comandato: “Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero” (Matteo 5:34-36).

Perché non giurare? Gesù ci ha dato una risposta, che non è l’unica: noi dobbiamo dire normalmente e sempre la verità così che sia così ovvia a chi ci ascolta che non avrà bisogno di richiederci delle garanzie per confermare che le nostre parole sono sincere.

Gesù ha aggiunto al comandamento citato sopra questo avvertimento: “Ma il vostro parlare sia: «Sì, sì; no, no»; poiché il di più viene dal maligno” (Matteo 5:37).

Nella sua epistola, Giacomo, il fratello di Gesù e autorevole insegnante della chiesa a Gerusalemme, ha riconfermato le parole di Gesù per le chiese del Nuovo Testamento: “Soprattutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo, né per la terra, né con altro giuramento; ma il vostro sì, sia sì, e il vostro no, sia no, affinché non cadiate sotto il giudizio” (Giacomo 5:12).

Esaminiamo il nostro modo di parlare, o di sparlare, e martedì prossimo scriverò dei modi in cui tutti sbagliamo a volte.
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