martedì 6 marzo 2012

Che bestie questi uomini


Sposarli è da incoscienti

Anche ieri al TG ho sentito una notizia che sembra ripetersi più volte ogni settimana. In qualche città del nord, ma succede anche al sud, un tale ha strangolato e ucciso sua ex-moglie, che era oramai “felicemente risposata”.

Sembra che siano milioni le donne italiane che sono state attaccate e ferite, se non addirittura uccise, da ex-mariti o ex-fidanzati.

Come mai questa ferocia maschile verso “le loro” donne che, ad un certo punto, li hanno abbandonati, preferendo un altro?  Spesso l’impressione data dal giornalista è che si tratta dell’ennesima manifestazione dell’inciviltà naturale degli uomini come tali.  Si tratta di “uomini incivili, accecati da gelosia inaccettabile” che hanno creduto che la moglie fosse una loro proprietà personale e che, per presunzione e orgoglio, giurano che nessun altro uomo ha il diritto di possedere la “sua” donna. Meglio morta!

Ma questa interpretazione non ti sembra in parte una di quelle frasi fatte per descrivere in modo politicamente corretto la realtà?
Che demone sarà quello che controlla un uomo che combatte testardamente, irragionevolmente, ferocemente per opporsi al suo divorzio, quando è già avvenuto da tempo?

E quale felice spirito sarà quello che controlla una donna che “felicemente” abbandona il marito, al quale ha, probabilmente, giurato fedeltà “fino alla morte”, e che l’aiuta a dimenticarlo e ritrovarsi gioiosamente legata ad un altro uomo a cui ha, probabilmente, giurato altrettanto fedeltà fino alla morte?

La mia domanda non ha l’intenzione di innalzare un inno alla fedeltà e all’amore per il marito, perché il fatto che ci siano tipi di ogni categoria, fra cui uomini infedeli, cattivi, maneschi, crudeli, “padroni” insensibili non sarà mai contestato da nessuno.  Ci sono moltissimi uomini che non sono dei bravi mariti e che le loro mogli avrebbero fatto bene a non sposarli mai.

E di donne che si svegliano, dopo un po’ di tempo o dopo la nascita di qualche figlio, e scoprono con sorpresa che il loro marito non è l’eroe, il gentleman e l’amante che credevano di sposare, ce ne devono essere a migliaia se il numero di separazioni e di divorzi in Italia è sempre in aumento.

No, il mio lamento e la mia obbiezione riguardano un altro fatto: che il matrimonio non è tenuto in considerazione come un traguardo importante.  I matrimoni contratti senza un’adeguata preparazione e comprensione di ciò che si sta promettendo diventano, perciò, sempre più la maggioranza.  I matrimoni facili di giovani superficiali e immaturi portano inevitabilmente alle disgrazie, ai fallimenti e, come i giornali e TG ci informano, a separazioni e divorzi altrettanto facili, con i loro strascichi di odio e, perfino, di attacchi criminali.

E, siccome si tratta di cambiamenti culturali che toccano ogni ceto sociale e ogni nazione dell’occidente, anche le chiese evangeliche possono trovarsi non solo coinvolte, ma anche impreparate e, perciò, anche colpevoli davanti all’aumento di separazioni e divorzi al loro interno.  Forse è più realistico non dire “possono trovarsi” ma “si trovano” in situazioni che non avrebbero minimamente sospettate alcuni anni fa.

Che fare?  Quale impegno ci impone questo terribile decadimento della nostra società?

In primo luogo, le chiese e i loro responsabili devono accollarsi un senso di responsabilità e di missione perché nessuno sotto la loro cura e istruzione spirituale affronti mai il matrimonio superficialmente e da impreparato.  Non solo devono fare capire a tutti i credenti la serietà del matrimonio e gli impegni e difficoltà che inevitabilmente questo comporta; non solo devono fare corsi di preparazione al matrimonio per i giovani, ma lo devono fare molto più seriamente e profondamente che mai.  Non bastano cinque o dieci incontri di conversazioni fraterne, ma ci vorrebbero dei corsi completi che fossero tassativamente imposti prima di stabilire la data del matrimonio.
 
E le cerimonie dei matrimoni stessi non dovrebbero seguire lo schema consueto, e quasi standardizzato di una specie di anteprima della grande abbuffata del pranzo nuziale.  Dovrebbero essere piuttosto delle cerimonie serie della chiesa, con promesse, impegni e consapevolezza della presenza di Dio, perché è Lui che stabilisce il significato del matrimonio e del comportamento degli sposi nel tempo. Senza queste caratteristiche non si tratta affatto di “matrimoni cristiani”,  ma solo di conformismo alla pratiche sociali correnti.
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