mercoledì 28 marzo 2012

Dio non ha bisogno di codardi


Farà di chiunque un vincitore

Quando tu o un tuo amico soffrite di timidezza, paura di agire, paura di dire quello che pensate, paura di decidere cosa fare, qual è la soluzione?

Il consiglio dell’apostolo Paolo al suo giovane collaboratore comincia con questo pensiero: “Se tu sei afflitto dalla paura e la timidezza che ti portano alla codardia, sappi per certo che questo atteggiamento non viene da Dio”.

Paolo dice, invece, a Timoteo, che si può contare sul fatto che Dio ha dato ad ogni credente un atteggiamento di “forza” e di coraggio, che scacciano la timidezza.  Timoteo aveva molto bisogno di quella forza divina per rimanere fedele alla sua chiamata mentre il suo maestro era in prigione, con la prospettiva della condanna a morte.  Come poteva affrontare la vergogna che quel fatto gli causava, e come avrebbe potuto servire Dio in futuro, senza la guida e la presenza di Paolo?  Forse temeva anche la possibilità di finire anche lui come Paolo e pensava che non avrebbe avuto mai il coraggio e la forza di Paolo per testimoniare coraggiosamente della sua fede ai suoi carcerieri e perfino alle autorità.

Purtroppo, è vero che ogni credente si trova spesso in situazioni in cui è possibile  essere tentati, o addirittura vinti, dalla paura e dalla timidezza.  Fra i compagni e i professori a scuola o all’università, fra i colleghi e i superiori al lavoro, fra i parenti e i vicini di casa, le occasioni sono innumerevoli in cui possiamo rimanere bloccati dai sentimenti e dalle emozioni e non testimoniare quando l’occasione si presenta.  Oppure, a volte, mormoriamo qualche frase, di cui poi ci vergogniamo perché era troppo vaga e banale.

Ma la timidezza o la vergogna c’entrano anche in altri casi.  Sappiamo che dovremmo chiedere perdono per qualche nostra mancanza, ma non lo facciamo.  Sappiamo che, in certi casi quando siamo con amici, dovremmo dire chiaramente che alcune cose sono sbagliate, immorali o ingiuste, ma non lo facciamo.  A volte dovremmo cercare a chiarire una situazione col marito, la moglie, i genitori o i figli, ma ci manca il coraggio e lasciamo correre.   Soprattutto, ci rendiamo conto molto chiaramente che dovremmo fare pace con qualcuno e chiarire una situazione che dura da parecchio tempo, ma troviamo una scusa per rimandare.

È importante, allora, capire che Paolo ha detto a Timoteo che Dio ha già provveduto una forza imbattibile per cui siamo totalmente equipaggiati, attraverso la sua Paola e la nostra coscienza, per fare qualsiasi cosa il Signore vuole e ci comanda di fare.

Le parole: “Non ce la faccio! ”, “È più forte di me!”, “Io sono fatto così” e “Certe cose non le farò mai!” non dovrebbero trovare posto nella nostra bocca, nella nostra mente e nelle nostre emozioni, se pensiamo che siano una giustificazione per non fare la volontà di Dio.

Dio ti ha provveduto di una forza incomprensibile, la stessa forza con la quale ha risuscitato Gesù dai morti (vedi Efesini 1:19-21).  Non ce l’hai per metterti in mostra, o per fare miracoli improvvisati, ma per permetterti di fare coraggiosamente qualsiasi cosa che Dio ti ha comanda di fare per glorificarlo, e per rimanere in comunione con Lui.

Con la sua forza, puoi evitare e vincere ogni tentazione, anche quelle che ti hanno vinto da anni, puoi essere liberato da qualsiasi peccato, anche quello che ti ha reso schiavo e che nessuno conosce.  Puoi resistere in qualsiasi situazione ti trovi, per quanto difficile, finché Egli non te ne libererà.

Dio non ci ha dato UNO spirito di timidezza e di paura, ma di forza vincente!
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martedì 20 marzo 2012

Attenzione alle scuse false


Un giovane timido senza paura

Non è una sorpresa che i maschi desiderino essere considerati forti e coraggiosi. E mai timidi o paurosi.   E forse le donne, nel nostro tempo di liberazione e di parità, lo desiderano anche loro.

Ma non è sempre così in tutti.  Anche i timidi possono essere degli uomini di grandi qualità e capacità.  Ti voglio parlare di uno che faceva con coraggio e precisione il suo dovere.

Era nato in un ghetto di forestieri disprezzati ed era cresciuto in una famiglia al femminile, figlio unico con solo la mamma e la nonna a curarlo, istruirlo e prepararlo per la vita.  Non sorprende se gli sono mancate molte delle esperienze dei maschi normali e se facilmente poteva essere considerato un timido da chi lo conosceva.

Ma un uomo maturo, gentile e coraggioso, abituato, però, a una vita difficile e burrascosa, l’ha scelto come aiutante e compagno nei suoi viaggi e, più avanti, come collaboratore di fiducia.

Più volte, nella loro vita insieme, quel maestro ha dovuto incoraggiarlo, spronarlo, esortarlo ad agire con forza.  Ma sapeva anche che aveva scelto una persona di rare qualità positive e riteneva che non se ne sarebbe mai pentito.  E così è stato.

Ormai, il suo maestro era in prigione e pensava che, per lui, la strada della vita fosse all’ultimo passaggio. Come avrebbe reagito, come avrebbe continuato la sua strada quel giovane che, dopo anni di pericoli e vita dura, ora doveva affrontare la solitudine, la vergogna e il dolore di avere come guida ed esempio un carcerato, condannato a morte?  E se fosse stato arrestato e condannato anche lui?

Paolo decise di scrivere una lettera per incoraggiare quel giovane uomo che chiamava suo “diletto figlio”, Timoteo.

“Mio caro figliolo” scrisse, ricordando le difficoltà che avevano affrontate insieme e pensando a ciò che avrebbe potuto, o dovuto, ancora sopportare Timoteo: “Dio non ci ha dato uno spirito, o atteggiamento, di timidità, di paura o di codardia”. No, mai!  Avevano affrontato insieme strade di montagne infestate da briganti e criminali, erano stati diffidati e minacciati da masse inferocite di  Ebrei fanatici.  Altre volte, Paolo era stato arrestato, o attaccato e lasciato per morto, ma Timoteo non lo aveva mai abbandonato.

Anche se era vero che Timoteo aveva avuto un’educazione carica di bontà e di amore più che di liti e di sofferenze, anche se, per carattere, era naturalmente timido, la sua timidezza non lo aveva mai spinto ad agire per paura o scappare per codardia e debolezza.  Paolo era sicuro che non l’avrebbe fatto neanche in futuro, ma le parole di incoraggiamento – pensava -  fanno sempre bene.  Anche a noi!

A me pare, a volte, che il maggiore difetto dei cristiani dei nostri tempi sia proprio la timidezza che produce paura e codardia.  Spesso i padri hanno paura di comportarsi come padri, mettendo in pratica alla lettera le istruzioni di Paulo nei primi versetti di Efesini 6.  Le madri hanno paura di fare le madri di figli piccoli, bisognosi di disciplina e guida.

I mariti hanno paura di guidare la loro famiglia come cristiani, le mogli hanno paura di accettare la guida del loro marito.  I datori di lavoro, gli impiegati, i lavoratori hanno paura di testimoniare chiaramente sul lavoro, prendendo una posizione da veri credenti.  Gli anziani hanno paura di mettere in pratica le istruzioni bibliche nella chiesa locale. Molti credenti hanno paura di pretendere dai loro anziani il comportamento che la Bibbia prescrive.

Ovviamente, la Bibbia non insegna mai durezza o comportamenti da duri, ma la pratica dell’amore, della gentilezza, del perdono non cancellano la necessità della piena fedeltà a ciò che la Bibbia insegna.

Se Dio non ci ha dato uno spirito di paura, da chi l’abbiamo preso?  Forse direttamente dal Nemico nostro e di Dio, che gioca con le nostre emozioni per aumentare la paura e la codardia.  E così renderci disubbidienti a Dio.  Che ne pensi tu?
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martedì 13 marzo 2012

Si strangolava da sola


Ma la musica era “evangelica”

Oggi, mentre viaggiavo, ascoltavo all’autoradio una ragazza che faceva dei suoni come se stesse strangolandosi o, al più, facesse dei gargarismi per curarsi la gola ammalata.

Puoi capire la mia sorpresa quando, alla fine, hanno annunziato che la cantautrice evangelica Tal dei Tali aveva cantato per noi una novità dal suo ultimo CD. Non avevo capito nulla di quei suoni e, tanto meno, avevo afferrato le parole!  D’altra parte, non è la prima volta che qualcosa di simile mi succede.

È vero che sono un po’ sordo e che, a volte, devo ascoltare con molta attenzione per comprendere le parole di un canto, ma… fino al punto da non capire che si trattava di una lingua parlata, ci passa.   

Si dice che sui gusti non si discute. Neppure su quelli musicali. Ognuno sceglie ciò che gli fa piacere e basta.  E, per provare piacere, devi avere una certa familiarità con il tipo di musica che ascolti.  A te piace ciò che ascolti di più e ad un altro piacerà ciò che ascolta sempre.

Certamente, i tipi e gli stili di musica sono tanti, diversi da nazione e nazione, per lingua, età, livello di istruzione, e scopo e circostanza per cui è prodotta e così via.  E probabilmente è vero, come alcuni dicono, che non a tutti piacciono tutti i tipi di musica che si sentono.  Comunque, si dice che la differenza fra tipi di musica e tipi di ascoltatori non ha niente a che fare con la qualità della musica, cioè che non si può dire se è musica “buona” o “cattiva”.  La musica è automaticamente “buona” per chi l’apprezza e “cattiva” per chi non l’apprezza.

A me questo sembra un ragionamento stupido o, forse, fatto di proposito per indurre le persone a non “giudicare” la musica che piace agli altri.  Se, nel mondo abitato da noi esseri umani, c’è, per forza, in ogni campo, diversità fra le cose che vediamo, usiamo, mangiamo, beviamo o sentiamo, per cui le definiamo quasi tutte come buone o cattive, (negative, distruttive, non sane, pericolose, inadeguate), perché non sarebbe possibile trovare anche una qualche base per giudicare qualcosa che ci tocca tanto profondamente quanto la musica?

Ho letto poco tempo fa il libro di un americano di origine italiana sulle sue esperienze come musicista.  Anche se prende delle posizioni che si potrebbero considerare “estreme”, questo non mi ha bloccato dal leggere e prendere in considerazione il suo punto di vista. 

Egli è convinto che, nelle persone sensibili e aperte alla comunione con Dio, la musica che ascoltano o che producono può favorire il loro rapporto con Dio o, al contrario, rendere impossibile una vera comunione con Lui.  L’autore si chiama Dan Lucarini, e il titolo del suo libro è “Perché ho lasciato il movimento di musica contemporanea cristiana”.  Penso che potrai trovarlo nelle librerie evangeliche.  Se no, mandami una e-mail e cercherò di sapere come trovarne una copia.

Dico subito che l’edizione italiana ha diversi difetti, che potrebbero portare a concludere che non valga la pena neppure fermarsi a considerare l’intenzione e le conclusioni dell’autore.  Invece, vale la pena fare un attento esame della musica con cui cerchiamo di adorare Dio.  E questo libro potrà aiutarti a farlo.
 
Ho paura che la donna che ho ascoltata in macchina fosse proprio fuori strada. Forse lo sei anche tu?
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martedì 6 marzo 2012

Che bestie questi uomini


Sposarli è da incoscienti

Anche ieri al TG ho sentito una notizia che sembra ripetersi più volte ogni settimana. In qualche città del nord, ma succede anche al sud, un tale ha strangolato e ucciso sua ex-moglie, che era oramai “felicemente risposata”.

Sembra che siano milioni le donne italiane che sono state attaccate e ferite, se non addirittura uccise, da ex-mariti o ex-fidanzati.

Come mai questa ferocia maschile verso “le loro” donne che, ad un certo punto, li hanno abbandonati, preferendo un altro?  Spesso l’impressione data dal giornalista è che si tratta dell’ennesima manifestazione dell’inciviltà naturale degli uomini come tali.  Si tratta di “uomini incivili, accecati da gelosia inaccettabile” che hanno creduto che la moglie fosse una loro proprietà personale e che, per presunzione e orgoglio, giurano che nessun altro uomo ha il diritto di possedere la “sua” donna. Meglio morta!

Ma questa interpretazione non ti sembra in parte una di quelle frasi fatte per descrivere in modo politicamente corretto la realtà?
Che demone sarà quello che controlla un uomo che combatte testardamente, irragionevolmente, ferocemente per opporsi al suo divorzio, quando è già avvenuto da tempo?

E quale felice spirito sarà quello che controlla una donna che “felicemente” abbandona il marito, al quale ha, probabilmente, giurato fedeltà “fino alla morte”, e che l’aiuta a dimenticarlo e ritrovarsi gioiosamente legata ad un altro uomo a cui ha, probabilmente, giurato altrettanto fedeltà fino alla morte?

La mia domanda non ha l’intenzione di innalzare un inno alla fedeltà e all’amore per il marito, perché il fatto che ci siano tipi di ogni categoria, fra cui uomini infedeli, cattivi, maneschi, crudeli, “padroni” insensibili non sarà mai contestato da nessuno.  Ci sono moltissimi uomini che non sono dei bravi mariti e che le loro mogli avrebbero fatto bene a non sposarli mai.

E di donne che si svegliano, dopo un po’ di tempo o dopo la nascita di qualche figlio, e scoprono con sorpresa che il loro marito non è l’eroe, il gentleman e l’amante che credevano di sposare, ce ne devono essere a migliaia se il numero di separazioni e di divorzi in Italia è sempre in aumento.

No, il mio lamento e la mia obbiezione riguardano un altro fatto: che il matrimonio non è tenuto in considerazione come un traguardo importante.  I matrimoni contratti senza un’adeguata preparazione e comprensione di ciò che si sta promettendo diventano, perciò, sempre più la maggioranza.  I matrimoni facili di giovani superficiali e immaturi portano inevitabilmente alle disgrazie, ai fallimenti e, come i giornali e TG ci informano, a separazioni e divorzi altrettanto facili, con i loro strascichi di odio e, perfino, di attacchi criminali.

E, siccome si tratta di cambiamenti culturali che toccano ogni ceto sociale e ogni nazione dell’occidente, anche le chiese evangeliche possono trovarsi non solo coinvolte, ma anche impreparate e, perciò, anche colpevoli davanti all’aumento di separazioni e divorzi al loro interno.  Forse è più realistico non dire “possono trovarsi” ma “si trovano” in situazioni che non avrebbero minimamente sospettate alcuni anni fa.

Che fare?  Quale impegno ci impone questo terribile decadimento della nostra società?

In primo luogo, le chiese e i loro responsabili devono accollarsi un senso di responsabilità e di missione perché nessuno sotto la loro cura e istruzione spirituale affronti mai il matrimonio superficialmente e da impreparato.  Non solo devono fare capire a tutti i credenti la serietà del matrimonio e gli impegni e difficoltà che inevitabilmente questo comporta; non solo devono fare corsi di preparazione al matrimonio per i giovani, ma lo devono fare molto più seriamente e profondamente che mai.  Non bastano cinque o dieci incontri di conversazioni fraterne, ma ci vorrebbero dei corsi completi che fossero tassativamente imposti prima di stabilire la data del matrimonio.
 
E le cerimonie dei matrimoni stessi non dovrebbero seguire lo schema consueto, e quasi standardizzato di una specie di anteprima della grande abbuffata del pranzo nuziale.  Dovrebbero essere piuttosto delle cerimonie serie della chiesa, con promesse, impegni e consapevolezza della presenza di Dio, perché è Lui che stabilisce il significato del matrimonio e del comportamento degli sposi nel tempo. Senza queste caratteristiche non si tratta affatto di “matrimoni cristiani”,  ma solo di conformismo alla pratiche sociali correnti.
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