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Bisogna andare oltre i luoghi comuni
È vero che, quando Dio ha creato la donna, ha detto qualcosa che gli uomini intendono, purtroppo, come vogliono.
“Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che gli sia convenevole.”
“Convenevole” NON vuol dire che la moglie sappia solo lavare piatti e lucidare le scarpe. Infatti, “convenevole” vuol dire, in parole pratiche, che Dio ha inteso mettere accanto all’uomo una creatura perfetta, squisita e amorevole, adatta e capace di completare ciò che serve nella sua vita, per vivere bene, felicemente, nel benesssere, nella pace, nella gioia e piena realizzazione dei piani di Dio, sia per l’uomo, sia per la coppia, sia per la famiglia.
Gli anni della “liberazione femminile”, in gran parte scatenata dall’incomprensione degli uomini verso le loro mogli, hanno dimostrato che le donne sono capaci di fare molte delle cose che hanno fatto sempre gli uomini e di farle bene: medici, scienziati, commercanti, imprenditori, operai, impiegati, professionisti di ogni categoria.
Come mai gli uomini non l’avevano scoperto, prima della guerra fra i sessi? Perché spesso andavano avanti ciecamente, nella loro cultura maschilista, ignorando il fatto che Dio, quando ha creato Adamo ed Eva, ha affidato loro, come coppia, la cura e lo sviluppo di tutte le possibilità e le gioie dell’intero creato.
Ma, dal momento dell’ingresso del peccato nella coppia, la collaborazione è stata sostituita dalla competizione, l’apprezzamento delle capacità e delle realizzazioni dell’altro, dalla pazza corsa da parte di ciascuno ad innalzare se stesso.
E così, a causa del peccato, l’uomo ha perso il più bel dono che Dio gli ha voluto dare: il pieno godimento e la soddisfazione dell’unità della coppia e dei benefici meravigliosi, spirituali, emotivi, intellettuali e fisici che sono frutto della collaborazione, comunione e comunicazione di due essere fatti a immagine di Dio e liberi e desiderosi di esprimere ogni loro capacità anche per il bene dell’altro.
È soltanto quando l’uomo nuovo in Cristo impara, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio, che può dire sinceramente e con piena convinzione a sua moglie: “Io ho bisogno di te! Senza di te non posso trovare né la gioia né le benedizioni che Dio mi vuole dare”.
E la moglie può rispondere, quando ha imparato, almeno in parte, a controllare il suo orgoglio: “Io esisto per aiutarti. Permettimi di collaborare con te perché tu possa essere e fare tutto ciò che Dio vuole che tu sia”.
Non è facile per due esseri peccatori, neanche quando diventano figli di Dio per mezzo della “nuova nascita” spirituale, aprirsi totalmente per vivere una vita di amorevole dipendenza l’uno dell’altro.
Ma è soltanto quando, nella convinzione della coppia, la moglie non è più né serva né schiava, che lei può diventare la “salvezza” della coppia stessa, nel senso che, dedicandosi alla collaborazione col marito e al compimento del piano di Dio, diventa la spinta, la forza, la colla che permette a due persone diverse di diventare, in effetti, una sola.
Ovviamente, queste non sono vittorie che si conquistano in un momento, ma sono la conquista di una vita vissuta in due, sotto la guida di Dio. Sia il marito che la moglie devono imparare, attraverso le prove e le difficoltà, i tentativi e i successi, cosa significa donare ognuno la vita per l’altro.
La prossima volta: un pericolo che non dipende dal marito.
martedì 27 ottobre 2009
mercoledì 21 ottobre 2009
SERVA, SCHIAVA O SALVEZZA?
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Una domanda che fa vergogna
La risposta giusta alla domanda di sopra è… salvezza.
Ma troppi rispondono (o vorrebbero rispondere, se solo osassero): “serva” o addirittura “schiava”.
Sto riferendomi, se non l’hai già capito, alla femmina della specie e, più precisamente, alla moglie.
Il disprezzo della donna non è dimostrato soltanto nello stupro, anche se questo male bestiale sta diventando sempre più comune in Italia. I giornali spesso cercano di far capire che si tratta soltanto di maschi extra-comunitari, ma ciò è vero solo in parte.
Però il disprezzo è un’altra cosa, che cambia la donna in oggetto, oggetto da fare ammirare dagli altri (per mostrarsi importante) quando è fidanzata (e, fra la gente più “evoluta”, molte ragazze non vanno mai oltre a questa categoria, perché i maschi chiamano la convivente “fidanzata” e cambiano fidanzata a ogni stagione.
Ma, fra la gente più comune, è facile che la moglie sia serva se non addirittura schiava. Se “non lavora” (bell’eufemismo per dire che non porta soldi a casa), diventa serva o schiava perché il suo compito è poco importante. Deve solo curare la casa, fare la spesa, cucinare, lavare, stirare, badare ai bambini, badare al parente malato e, poi, essere sempre disponibile a soddisfare i desideri del marito.
E perché mai il marito dovrebbe occuparsi di lei, dei suoi bisogni, dei suoi desideri, delle sue occupazioni e proccupazioni, dolori e sofferenze? È lei che deve soddisfare lui, non lui che deve soddisfare lei.
Purtroppo, con “l’emancipazione” della donna, col fatto che molte mogli lavorano fuori casa, hanno uno stipendio e possono comprarsi vestiti, bigiotteria, accessori, la donna non è davvero liberata, ma è resa più schiava. Oltre a servire e piacere al marito, ora deve servire e piacere al suo datore di lavoro. Oltre a passare otto ore in un lavoro stressante fra gente che non lei è simpatica, deve tornare a casa e lavorare altre otto ore per fare la moglie e la brava donna di casa, mentre il marito guarda la televisione o scende “per qualche minuto” a salutare gli amici al bar. O, se è credente, “fa qualche visita evangelistica”.
È un mistero che, mentre le parole “mogli, siate soggette al vostro marito” sono scritte a lettere di fuoco nella Bibbia dei mariti, non si trova mai quell’altra frase: “I mariti debbono amare le loro mogli, come i propri corpi”, per cui sarebbe naturale che le “nutrissero e curassero teneramente”.
Il disprezzo del marito per sua moglie, per essere qualcosa di colpevole, non dev’essere espresso in scenate, sfuriate, grida e critiche, perché bastano l’indifferenza e la trascuratezza. È quell’atteggiamento che dice: “Io la tratto benissimo, le dò sempre i soldi che le servono per la casa e non la maltratto mai” che fa di lei la serva che, quando ha avuto i soldi dovuti, non deve chiedere altro.
E, in questa situazione, chi è, secondo voi, che ci perde di più? La moglie o il marito? Da marito, vi posso dire con assoluta certezza: è il marito che sta perdendo il godimento di uno dei più grandi tesori che Dio gli ha donati.
Mi spiegherò meglio nel prossimo blog.
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Una domanda che fa vergogna
La risposta giusta alla domanda di sopra è… salvezza.
Ma troppi rispondono (o vorrebbero rispondere, se solo osassero): “serva” o addirittura “schiava”.
Sto riferendomi, se non l’hai già capito, alla femmina della specie e, più precisamente, alla moglie.
Il disprezzo della donna non è dimostrato soltanto nello stupro, anche se questo male bestiale sta diventando sempre più comune in Italia. I giornali spesso cercano di far capire che si tratta soltanto di maschi extra-comunitari, ma ciò è vero solo in parte.
Però il disprezzo è un’altra cosa, che cambia la donna in oggetto, oggetto da fare ammirare dagli altri (per mostrarsi importante) quando è fidanzata (e, fra la gente più “evoluta”, molte ragazze non vanno mai oltre a questa categoria, perché i maschi chiamano la convivente “fidanzata” e cambiano fidanzata a ogni stagione.
Ma, fra la gente più comune, è facile che la moglie sia serva se non addirittura schiava. Se “non lavora” (bell’eufemismo per dire che non porta soldi a casa), diventa serva o schiava perché il suo compito è poco importante. Deve solo curare la casa, fare la spesa, cucinare, lavare, stirare, badare ai bambini, badare al parente malato e, poi, essere sempre disponibile a soddisfare i desideri del marito.
E perché mai il marito dovrebbe occuparsi di lei, dei suoi bisogni, dei suoi desideri, delle sue occupazioni e proccupazioni, dolori e sofferenze? È lei che deve soddisfare lui, non lui che deve soddisfare lei.
Purtroppo, con “l’emancipazione” della donna, col fatto che molte mogli lavorano fuori casa, hanno uno stipendio e possono comprarsi vestiti, bigiotteria, accessori, la donna non è davvero liberata, ma è resa più schiava. Oltre a servire e piacere al marito, ora deve servire e piacere al suo datore di lavoro. Oltre a passare otto ore in un lavoro stressante fra gente che non lei è simpatica, deve tornare a casa e lavorare altre otto ore per fare la moglie e la brava donna di casa, mentre il marito guarda la televisione o scende “per qualche minuto” a salutare gli amici al bar. O, se è credente, “fa qualche visita evangelistica”.
È un mistero che, mentre le parole “mogli, siate soggette al vostro marito” sono scritte a lettere di fuoco nella Bibbia dei mariti, non si trova mai quell’altra frase: “I mariti debbono amare le loro mogli, come i propri corpi”, per cui sarebbe naturale che le “nutrissero e curassero teneramente”.
Il disprezzo del marito per sua moglie, per essere qualcosa di colpevole, non dev’essere espresso in scenate, sfuriate, grida e critiche, perché bastano l’indifferenza e la trascuratezza. È quell’atteggiamento che dice: “Io la tratto benissimo, le dò sempre i soldi che le servono per la casa e non la maltratto mai” che fa di lei la serva che, quando ha avuto i soldi dovuti, non deve chiedere altro.
E, in questa situazione, chi è, secondo voi, che ci perde di più? La moglie o il marito? Da marito, vi posso dire con assoluta certezza: è il marito che sta perdendo il godimento di uno dei più grandi tesori che Dio gli ha donati.
Mi spiegherò meglio nel prossimo blog.
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martedì 13 ottobre 2009
Chi ha preso il mio posto?
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Perché non posso farlo io?
Hai mai sentito che i credenti lottano per potere servire il Signore? Mi dicono che succede.
È sicuro che Dio ha intenzione di usare tutti i veri credenti perché lo servano, e che non manca il lavoro da fare. Ma chi lo deve fare? Quando? Come?
Un passo biblico molto bello a questo riguardo è Efesini 2:10: “Infatti, noi siamo opera (di Dio), essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le buone opere, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo”.
In queste parole, l’apostolo Paolo dichiara che Dio ha ci ha creati spiritualmente per servirlo, facendo quelle opere che sono appropriate per noi, nella nostra propria situazione di vita.
Proprio parlando di questo versetto, ultimamente una donna credente (non so da dove venisse) mi ha detto: “Nella nostra comunità, i credenti litigano per fare le opere che Dio ha preparate per loro!”.
Sono rimasto stupito: “Ma come? Perché litigare?”.
“Perché una vuole suonare il pianoforte, ma un’altra lo sta già facendo. Un’altra vuole cantare e un’altra insegnare nella Scuola domenicale. Ma ci sono altre che lo stanno già facendo. Perciò si accusano l’una con l’altra: «Tu mi stai impedendo di fare le opere che Dio ha preparate per me!»”
Allora, mi è toccato spiegare un po’ le cose. Innanzi tutto, le “buone opere” non sono i ministeri della chiesa. È chiaro che, se una chiesa locale avesse 50 o 100 membri, non tutti potrebbero essere impegnati in un ministero pubblico durante il culto o in altre riunioni.
Le “buone” opere sono tutte le attività della vita quotidiana, in famiglia, al lavoro o in altri ambienti, in cui è possibile e necessario comportarsi non da svogliati né trascuratamente, ma facendole proponendosi di farle il meglio possibile. Se fatte per la gloria di Dio, per piacere Dio e per il bene degli altri, sono “buone” opere.
Perciò, ho detto a quella sorella in fede: “Se la donna che vuole fare le buone opere ha una casa sua, e lava bene il pavimento, lo fa alla gloria di Dio. Questo è certamente un compito che il Signore le ha dato. Se è sposata, stiri bene la camicia di suo marito alla gloria di Dio. Non avrà bisogno di litigare con nessuno per poterlo fare.”
Come ha scritto l’apostolo Paolo, nella stessa epistola agli Efesini in cui ha parlato delle opere buone che Dio ha preparate, ha detto anche: “Non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini.”
E, ai Colossesi, ha scritto: “Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Sginore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l’eredità. Servite Cristo, il Signore!”.
Le persone invidiose, che litigano per fare i compiti più in vista nella chiesa, o quelli che, forse, considerano di maggiore prestigio, sono, ovviamente, dei bambini, qualunque età possano avere e da quanto tempo possano essere credenti.
E, d’altra parte, anche quelle persone che, nella vita di chiesa, hanno un compito e si aggrappano fermamente ad esso come a un diritto personale, si comportano altrettanto come bambini orgogliosi.
Nessuno serve veramente il Signore se mosso da orgoglio, invidia o spirito di parte.
Nel famoso invito che ha fatto a tutti gli stanchi e sfiniti, di venire a lui, Gesù ha detto anche: “Imparate da me, perchè io sono mansueto e umile di cuore, e voi troverete riposo per le vostre anime”.
In realtà, nessuno impedisce ad un altro di servire il Signore, se quella persona è pronta a farlo con umiltà e fedeltà, proprio là dove il Signore l’ha messo.
Spero che tu non stia invidiando il posto di un altro.
Perché non posso farlo io?
Hai mai sentito che i credenti lottano per potere servire il Signore? Mi dicono che succede.
È sicuro che Dio ha intenzione di usare tutti i veri credenti perché lo servano, e che non manca il lavoro da fare. Ma chi lo deve fare? Quando? Come?
Un passo biblico molto bello a questo riguardo è Efesini 2:10: “Infatti, noi siamo opera (di Dio), essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le buone opere, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo”.
In queste parole, l’apostolo Paolo dichiara che Dio ha ci ha creati spiritualmente per servirlo, facendo quelle opere che sono appropriate per noi, nella nostra propria situazione di vita.
Proprio parlando di questo versetto, ultimamente una donna credente (non so da dove venisse) mi ha detto: “Nella nostra comunità, i credenti litigano per fare le opere che Dio ha preparate per loro!”.
Sono rimasto stupito: “Ma come? Perché litigare?”.
“Perché una vuole suonare il pianoforte, ma un’altra lo sta già facendo. Un’altra vuole cantare e un’altra insegnare nella Scuola domenicale. Ma ci sono altre che lo stanno già facendo. Perciò si accusano l’una con l’altra: «Tu mi stai impedendo di fare le opere che Dio ha preparate per me!»”
Allora, mi è toccato spiegare un po’ le cose. Innanzi tutto, le “buone opere” non sono i ministeri della chiesa. È chiaro che, se una chiesa locale avesse 50 o 100 membri, non tutti potrebbero essere impegnati in un ministero pubblico durante il culto o in altre riunioni.
Le “buone” opere sono tutte le attività della vita quotidiana, in famiglia, al lavoro o in altri ambienti, in cui è possibile e necessario comportarsi non da svogliati né trascuratamente, ma facendole proponendosi di farle il meglio possibile. Se fatte per la gloria di Dio, per piacere Dio e per il bene degli altri, sono “buone” opere.
Perciò, ho detto a quella sorella in fede: “Se la donna che vuole fare le buone opere ha una casa sua, e lava bene il pavimento, lo fa alla gloria di Dio. Questo è certamente un compito che il Signore le ha dato. Se è sposata, stiri bene la camicia di suo marito alla gloria di Dio. Non avrà bisogno di litigare con nessuno per poterlo fare.”
Come ha scritto l’apostolo Paolo, nella stessa epistola agli Efesini in cui ha parlato delle opere buone che Dio ha preparate, ha detto anche: “Non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini.”
E, ai Colossesi, ha scritto: “Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Sginore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l’eredità. Servite Cristo, il Signore!”.
Le persone invidiose, che litigano per fare i compiti più in vista nella chiesa, o quelli che, forse, considerano di maggiore prestigio, sono, ovviamente, dei bambini, qualunque età possano avere e da quanto tempo possano essere credenti.
E, d’altra parte, anche quelle persone che, nella vita di chiesa, hanno un compito e si aggrappano fermamente ad esso come a un diritto personale, si comportano altrettanto come bambini orgogliosi.
Nessuno serve veramente il Signore se mosso da orgoglio, invidia o spirito di parte.
Nel famoso invito che ha fatto a tutti gli stanchi e sfiniti, di venire a lui, Gesù ha detto anche: “Imparate da me, perchè io sono mansueto e umile di cuore, e voi troverete riposo per le vostre anime”.
In realtà, nessuno impedisce ad un altro di servire il Signore, se quella persona è pronta a farlo con umiltà e fedeltà, proprio là dove il Signore l’ha messo.
Spero che tu non stia invidiando il posto di un altro.
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