martedì 26 febbraio 2013

Il fuoco del giusto giudizio


L’ha scampato quasi per sbaglio

“L’ha scampato per il rotto della cuffia!” L’hai mai sentito dire?

Il detto popolare, “cavarsela per il rotto della cuffia”, vuol dire scamparla per un pelo, cavarsela in qualche maniera e con fortuna. Si riferisce ad un gioco dei cavalieri del medioevo in cui l’eliminazione dal gioco avveniva se il cavaliere fosse colpito dal braccio di un fantoccio girevole che egli aveva appena colpito con la lancia.

Si salvava dalla sconfitta, in questo caso, evitando il colpo del fantoccio solo di millimetri.

Ma mi pare che l’apostolo Paolo abbia usata una frase simile per descrivere certi credenti. Sono quelli che, per la loro debolezza, pigrizia, trascuratezza o, forse, ignoranza, arriveranno in cielo appena appena.

Ma, come è possibile? La salvezza non è un dono, basato sull’opera perfetta di Cristo, che con la sua morte ha pagato completamente per ogni peccato commesso dal credente? Non è giusto chiamarla una salvezza abbondante, generosa, il dono perfetto e completo di Dio? Sì, senz’altro. Allora?

Nella sua prima lettera ai Corinzi, Paolo scrive di credenti che saranno salvati, “però come attraverso il fuoco”.

La Chiesa romana ha abbracciato la facile, e falsa, interpretazione della frase, come se dicesse che i cristiani arriveranno in Paradiso solo dopo essere passati attraverso le fiamme del purgatorio. Alcuni meriteranno, per i loro peccati, le fiamme molto più calde, e che durano molto di più, di altri. Ecco la salvezza “come attraverso il fuoco”. Una follia non biblica.

L’apostolo, comunque, non voleva dire che la pienezza della salvezza non sia un dono immeritato, né che ci vorrebbero delle fiamme per purificare i peccatori più colpevoli. Nessuno arriverà in cielo solo “per il rotto della cuffia”, perché ha peccato troppo o sofferto troppo poco.

Comunque, l’avvertimento dell’apostolo Paolo è serio, importante e rilevante: alcuni credenti potranno arrivare in Paradiso distinguendosi da altri, proprio per colpa loro. Sarà evidente che la loro vita cristiana sia stata in qualche modo mancante. Sarai tu uno di questi?

Paolo scrive di credenti che sono stati salvati per l’opera perfetta di Cristo, ma che hanno vissuto la loro vita cristiana senza badare a come stavano svolgendola. La loro vita, fatta di esperienze, di anni di lavoro e di responsabilità, sarà stato vissuta principalmente per raggiungere le mete umani e materiali comuni a tutta la società umana materialista. Il benessere, la buona reputazione, i riconoscimenti umani, saranno stati i materiali che hanno considerati “pregiati” e utili per costruire l’edificio della loro abitazione celeste.

L’apostolo Paolo, invece, considera le cose che gli uomini stimano e cercano, come fossero soltanto legno, fieno e paglia, che saranno tutti scartati e eliminati, cioè “bruciati”, sotto il giudizio di Dio. Della loro vita e delle loro fatiche non resterà nulla da offrire in dono di riconoscenza al loro Salvatore.

Si troveranno davanti a Lui, certamente salvati per grazia, ma senza alcun elemento della loro vita che lo onori e glorifichi come il loro divino architetto e maestro. Quando i loro rifiuti inutili saranno bruciati, si troveranno a mani vuote davanti a chi ha donato la sua vita per loro. Salvati per il rotto della cuffia.

Paolo scriveva di te?

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martedì 19 febbraio 2013

Gli anni continuano a passare


86 sono tanti, eppure… 

Gli anni passano, si dice. Ma, hai mai visto un anno di passaggio? Io no.

Quando i nostri ragazzi erano a casa, la loro festa consisteva nella possibilità di ordinare il pranzo che preferivano per il giorno del loro compleanno. Dal primo al dolce. Ci tenevano tanto ma, a dire il vero, erano molto abitudinari. Mai un minimo cambiamento da un anno al prossimo.

I tre ragazzi e la loro sorella crescevano in età e statura, ma non cambiavano i loro gusti. Chissà perché?

Come l’Anno Nuovo, che comincia, volente o nolente, il 1 gennaio, ogni compleanno capita sempre, anno dopo anno, nella stessa data. Oggi è l’86.mo che mi tocca e qualche differenza fra il sesto, il trentaseiesimo e quello di oggi c’è.

Al sesto compleanno abitavo ancora con i miei genitori credenti in un villaggio nello stato americano del Michigan. A Febbraio c’era sempre un bel po’ di neve e uscire con lo slittino, bagnarmi fino alla pelle e tornare in casa intirizzito e mezzo stecchito erano le mie gioie più grandi. A sei anni avevo già capito dall’insegnamento dei miei genitori che Dio mi amava e che Gesù era morto per me sulla croce. Non lo capivo del tutto (e neanche adesso), ma mi dava una bella sensazione di calore l’idea che, piccolo com’ero, il grande Dio mi amava.

Al mio trentaseiesimo compleanno, ero sposato da sei anni con Maria Teresa, ero padre di quattro bambini, e abitavo a Roma. Eravamo coinvolti nella vita spirituale di una piccola comunità di credenti, che si incontravano nella Sala evangelica di via Prenestina. Maria Teresa ed io insegnavamo la Bibbia nella Scuola domenicale, con i nostri figli e gli altri ragazzi dei credenti. Eravamo pieni di idee, di entusiasmo e di forza e sembrava che non ci saremmo potuti fermare mai.

Oggi, per il mio ottantaseiesimo compleanno, avremo intorno a noi tutti e quattro i nostri figli, tornati da diversi parti del mondo, mentre i loro 12 figli sono tutti sparsi, in diversi gradi di studio, dalla scuola elementare all’università e corsi di specializzazione.

Quale gioia e quale esperienza guardare indietro con un po’ di incredulità e renderci conto, solo in parte, delle tante benedizioni di cui il Signore ci ha riempiti, della sua grazia, pazienza, amore, correzione e gioia che ha riversato in proporzioni appropriate, sempre al momento giusto, nella nostra vita.

Come dice spesso Maria Teresa: “Vogliamo provare altri 57 anni di matrimonio e di servizio per il Signore?”. Ma, siamo un po’ rallentati nei nostri movimenti, e non vediamo nel nostro futuro altri 57 anni di vita sulla terra. Ma accetteremo con gioia ogni singolo giorno che Dio ci darà.

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martedì 12 febbraio 2013

Un’altra poltrona da riempire


Ecco la “buona novella” 

Certo, i candidati alle poltrone sono centinaia. La politica ha superato in queste settimane ogni altro argomento sulle TV e nei negozi. Ci va di mezzo il nostro futuro. 

Ora, ci si mette pure Benedetto XVI, dimettendosi e lanciando un’altra corsa alla poltrona. 

È vero, occupare il trono di S. Pietro è un po’ di più che diventare membro del Consiglio regionale del Lazio e, per dire la verità, anche quanto a importanza sulla scena mondiale, è più che diventare primo ministro d’Italia. 

È vero, comunque: anche i Papi vanno e vengono. Ne ho visti diversi finire (di solito con la morte, ma per uno si mormorava anche di omicidio), mentre poi, un altro prendeva il suo posto. A dirla tutta, la gente ha gridato tanto per salutare il nuovo Papa quanto hanno pianto per salutare il dipartito. Alla gente piacciono le feste, qualunque sia la ragione per cui avvengono. 

Al Papa attuale, posso augurare ancora lunga vita. Infatti ha esattamente la mia età. Ma non importa quanto sia lunga la vita, nessuno riesce a evitare il prossimo passo, che è la morte. 

Ricordo, infatti, la morte di alcuni papi e i racconti giornalistici degli sforzi per portare al loro capezzale le reliquie che potevano dare loro una spinta verso il Paradiso, nonostante il fatto che, in vita, fossero chiamati “Il Papa buono”, o che si gridasse, alla loro morte, “Santo subito”. 

Rimaneva sempre il dubbio, secondo la dottrina cattolica, che avessero dei peccati per cui meritavano di passare del tempo nel purgatorio fra le fiamme e nel pianto. Mentre si sperava che la morte di Cristo bastasse per pagare la pena spirituale dei loro peccati, si credeva altrettanto che solo la loro sofferenza personale potesse pagare la colpa mortale e carnale che avevano accumulata. 

Mi sembra che sia una religione crudele quella che insiste che il Successore di S. Pietro, o addirittura il Vicario di Cristo, non possa trovare nella salvezza per cui Cristo è morto e nel suo trionfo della risurrezione, una speranza di salvezza immediata. Non esiste in tutta la Bibbia un minimo accenno alla necessità che l’uomo salvato debba, nonostante l’opera di redenzione perfetta compiuta da Cristo, soffrire e pagare qualcosa a chi trova ancora un debito sul suo conto (Dio o Satana, secondo le credenze). 

Gesù ha detto con parole chiare, secondo il Vangelo di Giovanni, che chi ascolta la sua Parola e crede in Colui che l’ha mandato come Salvatore, non verrà in giudizio (non avrà alla morte nessun debito da pagare), ma passerà dalla morte direttamente alla vita. È questa la meravigliosa “Buona novella” del Vangelo. 

È un vero peccato che il Papa non conosca o non creda a questa parola biblica.
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