martedì 27 dicembre 2011

Un altro anno è già passato


Quante ore perdute?

Come si fa a “perdere” il tempo?  Dove va il tempo “perduto”?

I grandi imprenditori dicono, con certezza matematica, che “Il tempo è soldi”, perché fanno il calcolo di quanto rende la loro impresa sulla base di ore, giorni e mesi di entrate e di profitti.E non sono contenti se ogni momento non rende il massimo possibile.

Il guaio è che la maggioranza della gente comune, come te e me, non pensa affatto a come rende il suo tempo, in bene o in male.  Ma si lamenta soltanto del fatto che le “manca il tempo per fare tutto”.

Spesso le persone si occupano delle loro faccende, compiti e responsabilità secondo l’urgenza del momento, senza riflettere minimamente su quale sia più importante e quale meno.  Così si occupano delle cose secondo l’urgenza del momento, sprecando tempo in attività che valgono poco e trascurando le più importanti, perché, poi, “manca il tempo”.

O, spesso, si occupano prima delle cose più facili o più piacevoli, lasciando quelle difficili o antipatiche, anche se estremamente più importanti, a “quando avrò più tempo”.

Peggiori di tutti sono i “procrastinatori”, di cui facciamo parte un po’ tutti.  Il procrastinatore è colui che, quando sta per cominciare un lavoro importante e urgente, si lascia distrarre da ciò che non c’entra per nulla, per esempio, la telefonata da o a un amico, controllare la posta e-mail, il titolo di un libro sul tavolino, una notizia su un giornale, una trasmissione alla TV, il bisogno di fare un salto a comprare qualcosa al supermercato.  Così passano due ore, o una mezza giornata, senza avere combinato proprio nulla.

Il procrastinatore dice: “Farò quella cosa importante al più presto, ma domani, non ora.  Prima devo occuparmi di... (infondo si tratta di mille cose che servono per rimandare ciò che si dovrebbe fare ora).

Quando stiamo per cominciare un anno nuovo, che consideriamo come una nuova pista di lancio per una vita più produttiva, nella quale non mancano “cose importanti” da iniziare e completare, quante cose importanti potremmo contare che avremmo dovuto fare già da tempo, ma che non sono state fatte?   

Quante persone (marito, moglie, genitori, figli, compagni di scuola o di lavoro, fratelli di chiesa) aspettano ancora ciò che abbiamo promesso da tempo, ma che continuiamo a rimandare perché “non abbiamo tempo”?

Eppure, sappiamo che nessuno al mondo “ha più tempo” di noi.  È una banalità dire che ognuno ha 24 ore al giorno, né più né meno di quante ne abbiamo noi.

Alcuni “perdono il loro tempo” e altri no.  Probabilmente lo fai anche tu. 

La prima domanda che bisogna farsi sinceramente è questa: “Mi importa?  Mi dispiace?  Se perdo il mio tempo, mi fa male?  Se tutti mi considerano inaffidabile, se trascuro delle possibilità di migliorarmi, di aiutare altri, di servire Dio, mi basta piangere nel mio brodo? O intendo cambiare, costi quel che costi?”.

Non rispondere rapidamente e superficialmente, perché si tratta di una domanda a cui o si risponde sul serio o per la quale stai soltanto “perdendo il tuo tempo”.
 
Se hai risposto che sei pronto a cambiare, anche se ti costa, ci risentiamo la settimana prossima.
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martedì 20 dicembre 2011

Ma non è un mito sdolcinato


Un giorno di storia in Israele

“Una volta, tanto, tanto tempo fa…”
 “Oggi?”
 “No, non oggi!  Nel principio del tempo, tanto, tanto tempo fa…”
 “Oggi?”
 “No, non oggi! Una volta, tanto, tanto tempo fa, quando non c’era nessuno a 
vederlo…”
 “Oggi?”

Secondo la “spiritualità” dei nostri tempi, ognuno crede, crea, aggiusta, sceglie i “fatti” della sua religione come gli pare.  Soprattutto, anche chiamandosi, magari, cristiano, butta tutto ciò che non gli piace, non lo soddisfa, non gli sembra giusto. È difficile trovare qualcuno che creda a qualcosa che si può esaminare, indagare, confrontare.

Chiedere se una cosa della Bibbia è veramente successa, quando e dove, sembra meschino, terreno, antireligioso.  La religione, si dice, deve essere un sentimento, una sensazione, che ti riscalda e ti consola.  Riguarda l’invisibile, ciò che è fuori del tempo e della logica.  “Imprigionarla”, si pensa, dentro date e luoghi, persone e avvenimenti, ucciderebbe il sentimento della spiritualità.

Perciò, mi sono meravigliato di nuovo davanti al racconto della nascita di Gesù, come mi accade tutti gli anni.  Nel racconto dell’evangelista Luca, un angelo (sì, è qualcosa di straordinario e spirituale), disse ai semplici pastori:

“Oggi…” Non “tanto tempo fa”, ma in una data precisa, che i pastori potevano facilmente controllare.  E dovevano controllare!

“Nella città di Davide…” Non in “un paese lontano, lontano…” che nessuno conosce.

“È nato…” Non “è apparso un mago, uno spirito, un dio”, ma è nato, in carne e ossa, un bambino che somiglia a tutti gli altri.

La nascita di Gesù non è un “fatto spirituale”, ma un fatto storico, avvenuto in una data del calendario, in una città che aveva la sua storia e la sua collocazione geografica e politica, da una giovane di cui si conoscevano la parentela e la città natale.

E così è stata tutta la vita di Gesù, una vita vissuta davanti a parenti e compaesani, fatta di lavoro faticoso e di viaggi limitati ad un paese piccolo e soggetto ai potenti Romani.  In quel paese ha camminato, si è stancato, si è trovato in pericolo e si è salvato, ha insegnato come facevano tanti altri rabbini.

I suoi insegnamenti hanno suscitato la fede in alcuni e l’odio di altri.  Alla fine, tradito da un suo discepolo, è stato arrestato e giustiziato dai Romani, in base alle accuse false dei suoi correligionari.

Certo, ci sono i suoi miracoli e la sua resurrezione.  Ma, inseriti nella vita comune a tutti i mortali che egli ha vissuta, non rendono quella vita mistica e irreale. Piuttosto, la sua umanità e normalità servono a rendere i suoi miracoli dei fatti storici, che neanche i suoi nemici hanno tentato di negare.

Chi oggi professa di essere cristiano, ma nega o dubita della storicità della vita di Gesù, come vero uomo che ha dimostrato le caratteristiche spirituali del vero Dio, che è morto per pagare il debito degli uomini peccatori e portarli a Dio, sta barando e professa una fede che storicamente non può esistere.

NOTA: Questi pensieri, espressi più completamente, sono a tua disposizione sul sito internet: www.Chiesaberea.org come sermone dal titolo “Il giorno che cambiò la storia”. Puoi ascoltarlo cliccando QUI.
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mercoledì 14 dicembre 2011

È stata sgamato


Il fantasma del Sant’Orsola

Panorama l’ha chiamato “il fantasma del Sant’Orsola”, ma io penso di avere visto o lui o un suo parente nella nostra sala evangelica a Roma.

“Il fantasma del Sant’Orsola” è stato scoperto e forse riceverà quello che merita.  Si tratta di un’infermiera che, secondo i Carabinieri, ha lavorato solo sei giorni in nove anni, benché abbia ricevuto, in quei nove anni, qualcosa come 33.177 euro fra stipendi, detrazioni fiscali e assegni familiari.  Almeno noi, il nostro fantasma, non l’abbiamo dovuto pagare!

A me capita, sempre inaspettatamente, di ricevere una telefonata da persone che non ho viste né sentite da almeno una decina di anni, che mi ricordano e hanno pensato a me e mi vogliono salutare. In questi dieci anni, non hanno mai messo piede nella nostra sala, non hanno mai fatto cadere una moneta nella cassa delle offerte, non hanno mai mandato un saluto alla chiesa.

Dopo avermi dato alcune informazioni sulla loro famiglia e chiesto notizie della mia, mi salutano, dicendo: “Sai, non ho mai dimenticato nessuna delle cose che mi hai insegnato e quando mi chiedono della mia fede, rispondo sempre che sono evangelico e che faccio parte della chiesa di via Britannia!”.

Alla salute!  Ecco che si è fatto sentire un altro dei tanti fantasmi di via Britannia.

Un po’ mi ricordano l’esperienza che il famoso evangelista americano Dwight L. Moody ha raccontata.  Una sera camminava per una strada nel centro di Chicago, quando un uomo ubriaco lo avvicinò per salutarlo: “Buona sera, Signor Moody.  Mi riconosce?  È lei che mi ha ­­salvato!”.

“Bene” gli rispose Moody.  “Penso proprio che tu abbia ragione.  Certamente, il Signore non c’è entrato!”

Sarebbe una grande sorpresa se tutti i fantasmi d’Italia che si chiamano “evangelici”, perché hanno frequentato una qualche chiesa per una settimana, per un mese o un anno, ma che poi non sono mai più riapparsi, si facessero contare.  Io credo che il 25% dell’Italia sarebbe “evangelico”.

“Ma a che servirebbe?” chiedi.

Hai ragione, non servirebbe proprio a nulla.  Anzi, varrebbe più o meno quanto aspettarsi che tutta la gente che noi chiamiamo “credenti un po’ pigri”, e che non abbiamo vista in chiesa da sei mesi o un anno, apparisse domenica prossima.

D’altra parte, non si può mai sapere.  Spesso, a Natale o a Capodanno, qualche fantasma appare!

Se lo vedi, fammelo sapere.
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martedì 6 dicembre 2011

Odiare è davvero una cattiveria?


È tempo di odiare bene  

È un buon giorno per odiare?  Certo, molte persone arrivano a odiare qualcuno o qualcosa, senza preoccuparsi del momento o dell’anno in cui lo fanno.

Ma siamo in tanti, ai quali i nostri genitori hanno insegnato che è sempre sbagliato odiare. Odiare è una cattiveria verso chiunque e ci rende odiosi, ci dicevano.  Non vorremmo cadere tanto in basso da essere coinvolti nell’odio che regna in molte famiglie, in paesi, fra i popoli, le religioni o le razze.

Eppure, una persona forte, e che conosce il fatto suo, non può fare a meno di odiare.  E fa bene!  L’Ecclesiaste, nel libro che ha scritto e che fa parte della Sacra Bibbia, dice: “Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo tempo per ogni cosa sotto il sole… un tempo per amare e un tempo per odiare” (Libro dell’Ecclesiaste 3:1,8a).

Volendo, potremmo considerare questa frase come uno dei numerosi paradossi che ha espressi nel suo libro e non pensarci più.  Sbaglieremmo!

Dato che il Creatore dell’universo ci ha creati alla sua immagine, possiamo imparare da Lui ciò che l’uomo sano di mente e di morale dovrebbe odiare.  Nel Salmo 97, versetto 10, siamo avvertiti: “Voi che amate il Signore, odiate il male!” (Salmo 97:10a).  In questo contesto, “odiare” significa avere una predisposizione a respingere, disprezzare e evitare tutto il male che ci viene proposto, che esiste intorno a noi, o che regna nel rapporto fra gli uomini, e fra gli uomini e Dio.  Nel Libro dei Proverbi, l’autore mette queste parole in bocca alla “saggezza”: “Il timore del Signore è odiare il male; io odio la superbia, l’arroganza, la via del male e la bocca perversa” (Proverbi 8:13).

L’uomo che ama Dio e vive per Dio non è un robot che non ha sentimenti o emozioni e che cammina in un mondo suo nella completa indifferenza.  Al contrario, è una persona piena di buon senso e di qualità e emozioni che lo identificano come uno che ama Dio.  Gesù, quando è stato interrogato riguardo a quale sia il primo comandamento a cui l’uomo dovrebbe ubbidire, ha detto: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Vangelo di Matteo 22:37).

Merita, perciò, un autoesame profondo e preciso la tua risposta a questa domanda:  “Ami tu ciò che Dio ama e odi ciò che Dio odia?”.
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