mercoledì 30 giugno 2010

Di chi la colpa?

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Pedofili per forza?

La pedofilia è un crimine odioso che suscita ira, disprezzo, disgusto e incredulità. Si capisce che nessuno può difenderlo o approvarlo apertamente.

Ma le scuse o i ragionamenti per diminuire le reazioni negative esistono eccome.

Alcuni dicono: “Bisogna comprendere quei poveri preti. Dopottutto, non hanno né moglie né una vita sessuale normale”. Si tratta, forse, di una giustificazione per un atto criminale? Il voto di castità, chi ha forzato i preti a farlo? Nessuno! È vero, forse sono stati lavati di cervello e hanno fatto quel voto non per forza, ma per una convinzione malsana che Dio glielo richiedeva. In questo caso, ovviamente, non è che la loro colpevolezza sia diminuita, ma è certamente più colpevole la persona, o “direttore spirituale” che sia, che ha fatto quell’opera di convinzione.

Quelle persone non dovrebbero essere scovate e processate per plagio, o per circonvenzione dei giovani affidati alle loro cure?

Nessuno li deve difendere.

Ma, c’è un’altra linea di difesa ancora più assurda. Si dice che la percentuale di religiosi cattolici pedofili non è superiore alla precentuale di pedofili nella popolazione generale.

Ma che ragionamento è? Francamente, non credo che sia vero, ma se lo fosse? Che mi importa della percentuale di atei pedofili? O di miscredenti, o di cattolici non osservanti o di credenti di altre fedi che sono pedofili?

Stiamo parlando di preti, di frati, di persone che hanno fatto il voto di castità della chiesa cattolica romana.

Queste sono persone che hanno fatto un voto di castità, che hanno giurato davanti a Dio e agli uomini che avrebbero vissuto una vita di purezza sessuale. Allora, dimmi, fra persone così, che hanno giurato di comportarsi un un certo modo, quale percentuale di pedofili, a tuo parere, sarebbe giustificata? Quale percentuale di preti pedofili, che possano insidiare e abusare di bambini e di bambine innocenti, bisognerebbe accettare come “normale”, senza che nessuno si sorprenda o si scandalizzi? Se sono, per alcuni, “normali”, per me sono criminali normali!

Ma, lasciamo stare, dirà forse qualcuno! Bisogna rendersi conto che sono persone con grandi problemi psicologici. Vanno trattati da ammalati, mica da criminali. A parte il fatto che esistono carceri anche per criminali considerati pericolosi psicologicamente, il ragionamento cade fragorosamente per un altro motivo, sotto il peso del problema vero della pedofilia che esiste nella chiesa romana.

Di questo scriverò la prossima volta. Con odio per i preti? No, ma con tanta pietà per gli innocenti.
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martedì 15 giugno 2010

Normale, ma diverso

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Aspettare la domanda

Il “vero” credente è “normale”, ma anche diverso, nella sua posizione e testimonianza, dovunque si trova.

È normale perché la sua vita non cambia per ciò che riguarda il suo lavoro o i suoi studi. Se era sposato prima, è sposato anche dopo avere donato cuore, mente e corpo a Gesù. Se era studente, è ancora studente, se lavorava, ancora lavora. Abita ancora nella stessa casa. Insomma, il credente affronta e si impegna in tutti i doveri, le responsabilità, le relazioni che aveva “prima”. È normale come sono normali gli altri.

Guai se fa finta di essere un altro, se cambia il tono della voce per sembrare più santo, se fa sempre un sorriso un po’ scemo, perché vuol fare capire che tutto gli va bene. Se non è “normale”, non può che fare ridere gli altri dietro alle sue spalle, e tutti lo eviteranno, considerandolo un po’ fissato.

Però, è anche diverso da prima e guai se non lo è. Per esempio, non racconta cose sporche né ride quando altri le raccontano. Non dice più le bugie per coprire ciò che fa o ciò che ha fatto. Non si lamenta più delle cose difficili nella sua vita, né si arrabbia facilmente se subisce un torto.

È diverso perché non cerca più di scaricare le sue responsabilità su altri, anzi, al contrario, è diverso perché nota chi ha un problema ed è pronto ad aiutare chi ha bisogno di lui. È diverso perché non è egoisticamente concentrato su se stesso come sono di solito gli altri e come era anche lui “prima”.

Se non è “diverso” dagli altri, e da come era prima, non spingerà gli altri a domandarsi, con meraviglia e curiosità: “Ma cosa gli è successo? È proprio cambiato da come era prima. Cosa sarà che lo ha fatto diventare diverso?”

Il “diverso”, nella vita di chi segue Cristo, dev’essere qualcosa che gli altri ammirano e che, col tempo, li sorprende e anche spinge a domandare proprio al loro amico o amica “diversi”, come mai si comportano così.

Quando Gesù incontrò la donna samaritana, Lui era “normale”: aveva sete e desiderava un po’ di acqua. La sua richiesta di un po’ di acqua non l’ha spaventata. Però, in Lui vi era qualcosa di “diverso” perché parlava cortesemente con una donna evitata da tutti. Lei lo ha trovato “diverso”, ma interessante e piacevole.

Quando lei, poi, gli ha domandato come mai Lui, che era un Ebreo, parlasse con lei, Gesù non ha cominciato a farle un sermone: “Vedi, io non sono come gli altri Ebrei ipocriti e orgogliosi, che fanno finta di conoscere Dio. Io stesso sono Dio e tu, con tutto il tuo peccato, hai bisogno di me.”

Se il tuo comportamento diverso spinge qualcuno a chiederti: “Come mai parli sempre guardando con gli occhi rivolti al soffitto?” sarà difficile convincerli che sei “normale”.

Ma, se ti domanderanno: “Come mai non ti arrabbi mai?” o “Cosa ti è successo che sei così cambiato?”, allora niente prediche, ma una risposta sincera e normale, tipo: “Poco tempo fa, ho conosciuto una persona che mi ha fatto cambiare tanto. Se vuoi, una volta te lo spiegherò. Non ci vogliono più di cinque minuti”.

Se il tuo collega o compagno dice: “Dai, lo voglio sapere”, prometti che alla fine della giornata di lavoro o le lezioni a scuola, glielo spiegherai. Non fare il misterioso, ma neanche la figura di chi è pronto a saltare addosso a chi gli fa una domanda.

Se, invece, il tuo amico o collega non dice nulla di più, non lo fare neanche tu. Aspetta la prossima domanda, che può venire dopo un giorno o dopo un mese.

Nel frattempo, mentre aspetti, prega per le persone che frequenti. Forse, alla fine, la persona che veramente vuole sapere cosa ti è successo non sarà quella che te lo ha chiesto per prima, ma un’altra che ti sta ancora osservando.
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martedì 8 giugno 2010

Essere normali, ma diversi

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NON è facile

Sei un credente in Gesù Cristo felice, appagato, gentile, generoso, disponibile ad aiutare il tuo vicino, onesto, pulito dentro, comprensivo e “normale”?

Arriverò a parlare di “normale” fra un momento, ma come vai con le altre otto parole o frasi che descrivono un vero seguace di Gesù? Senz’altro ricordi, vero, che Gesù ha detto a chi lo voleva seguire di prendere in spalla la sua propria croce e di seguirlo?

Allora, un vero credente lo seguirà seriamente e sarà più possibile come il suo “Maestro”. Certo, si tratta di una crescita e di una maturazione, basate sull’opera dello Spirito Santo, che opera in ognuno di noi aiutandoci a leggere, capire e ubbidire alle parole di Gesù, nella Bibbia.

Alcune delle parole, che ho elencate più sopra (come gentile, generoso, onesto), dovrebbero essere fra le prime cose che un nuovo credente impara e mette in pratica. Non voglio dire che impara le parole, ma che il suo comportamento cambia visibilmente, e che il suo carattere è diverso.

Secondo te, come sarà considerata una persona felice, appagata, gentile, generosa, disponibile ad aiutare il vicino, onesta, pulita dentro, comprensiva? Come sarà considerata dal compagno di banco, dai genitori, dai fratelli e le sorelle, dagli amici, dai colleghi e dal datore di lavoro?

Beh, come ho detto più sopra, il credente deve essere “normale”. Forse se ha e dimostra diverse delle qualità che ho elencate non sembrerà agli altri tanto “normale”. Ma che ci vuoi fare? Ripeto che dev’essere normale.

Per “normale” voglio dire che non parla e non si comporta come uno caduto da Marte, o appena arrivato dalla luna.

Deve essere amichevole come è sempre stato, o più di prima. Potrà parlare di sport, del tempo e dei prezzi come qualsiasi altro essere umano. (Però, non userà più parolacce né racconterà né riderà di cose sporche. Se, facendo così, sembrerà poco “normale”, pazienza!).

Per comportarsi da “normale” voglio dire, però, che non inserirà costantemente nelle sue conversazioni parole che, secondo gli altri, non c’entrano. Come: “Lo farò se Dio vuole”, “Eh, sì, è difficile vivere in un mondo di peccato!”, “Se tu sapessi quanto Dio ti ama!”.

Cerca di capirmi: queste sono parole belle, se dette al momento giusto e sinceramente, ma non servono per colpire o per “testimoniare”. Sono, però, frasi di un marziano o di uno fresco, cioè venuto di fresco dalla luna, se calate in una conversazione in cui non c’entrano.

Il fatto che Gesù “mangiava con i peccatori” e accettava un invito a cena da un noto imbroglione significa che, mentre i religiosi lo criticavano, la gente “normale” considerava “normale” anche lui.

“Normale” ma “diverso”. Diverso come? Come quelle otto parole o frasi che ho usato nel primo paragrafo.

La gente intorno a te, come ti considera? Ci va di mezzo la tua possibilità di testimoniare della tua fede in modo convincente. Ne voglio parlare la prossima volta.
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martedì 1 giugno 2010

Importa ciò che NON vedi

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Ma chi sto ingannando?

Ho sfogliato la Bibbia, molto consumata dal tempo e dall’uso costante, di mio padre, che è morto nel 1985. È una Bibbia che gli era stata donata nel 1952 da un fratello in Cristo, che aveva accettato il Signore per mezzo della testimonianza di mio padre, nel 1949.

Un prezioso ricordo della vita e del pensiero di un uomo di Dio, che ha servito il Signore per tanti anni, più o meno dal 1925, quando si è convertito fino al 1985, quando il Signore lo ha chiamato al riposo celeste.

Un versetto sottolineato in quella Bibbia ricorda un principio che Papà riconosceva come valido per sé e per ogni credente.

“L’Eterno disse a Samuele: Non badare al suo aspetto né alla sua statura, perché io l’ho scartato: l’uomo guarda all’apparenza, ma il Signore guarda al cuore” – 1 Samuele 16:7.

Si trattava della scelta del prossimo re di Israele e Dio spiegava al profeta Samuele la qualifica più importante: lo stato del cuore del candidato alla guida del regno.

Tu vivi, e tutti viviamo, nell’epoca della corsa sfrenata all’apparenza. Apparire, vestirsi, pettinarsi, curare il fisico secondo la moda è la misura del ragazzo, della ragazza, dell’uomo e della donna, della persona di successo.

La persona più sciocca, la persona più pericolosa, la persona più corrotta spesso riesce a guadagnarsi fama, soldi, seguaci e posizione curando solo il suo modo di presentarsi, di apparire.

Questo ci pone due domande urgenti e fondamentali. Primo, sto scegliendi i miei amici, forse il mio futuro marito o moglie, le persone che stimo e approvo sulla base delle apparenze, solo su ciò che sembra attraente, ma che è superficiale, un “vestito” che questa persona porta per nascondere ciò che è dentro?

E la seconda domanda è ancora più importante: io sto imparando, e cercando, di creare una bella facciata, di apparenza fisica, di personalità accomodante e gentile, per guadagnarmi l’approvazione degli altri e per fare carriera?

Questo difetto morale esiste e regna in ogni campo della vita. Affetti, amicizie, lavoro, scuola. E perfino in chiesa. I giovani sono particolarmente attratti dalle apparenze, perché questo è il valore che vedono e apprezzano nello sport, nello svago, nella televisione.

Ma è possibile, per un credente sincero, ammirare e imitare il cantante, l’attore, lo sportivo, il politico o la persona di successo senza tenere conto del suo “cuore”? Senza rendersi conto e tenere conto della sua moralità, nei rapporti con gli altri, nel parlare e agire, nei rapporti sessuali, nel lavoro e nelle mete che si pone?

Sei pronto ad esaminarti fino in fondo per sapere se cìò che ti importa in una persona, e anche in te stesso, è veramente ciò che Dio vede e approva?
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