martedì 30 giugno 2009

Esiste una nuova fobia?

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La Bibbia che cosa dice?

Come ho spiegato nel blog della settimana scorsa (vedi quel blog, se non h’hai letto), il giornale delle Chiese battiste-metodiste-valdesi, Riforma, ha pubblicato recentemente un articolo sull’omofobia, intitolato “Riconoscersi creature di Dio”, in occasione della “Giornata mondiale contro l’omofobia”.

Lo scopo è stato spiegare perché alcuni membri delle loro chiese, o altri cristiani, potrebbero correre il pericolo di cadere nell’omofobia, se non capiscono che gli omosessuali devono essere accettati pienamente nelle chiese, come qualsiasi altra minoranza.

È chiaro dall’articolo che l’autore desidera giustificare la condotta omosessuale biblicamente. Ovviamente, non si pensa minimamente a mettere in discussione il comportamento omosessuale, ma, piuttosto, conviene mettere in dubbio ciò che è scritto nella Bibbia. Facendo la scoperta dell’impossibilità di far quadrare le loro tesi con la Bibbia, corrono al riparo nell’unico modo possibile, rifiutando di prendere sul serio ciò che la Bibbia stessa afferma come Parola di Dio.

Mettono a tacere i passi biblici sull’argomento con due metodi diversi, e complementari.

Primo, i passi che chiaramente condannano l’omosessualità, come Levitico 18:22, 20:13, secondo loro, non condannano l’omosessualità di oggi, che sarebbe basata sull’amore, ma l’omosessualità praticata in antichi riti religiosi pagani. Neanche la descrizione e condanna contenuta nel passo della lettera ai Romani 1:24,27 parla dell’omosessualità praticata oggi, perché l’apostolo Paolo avrebbe voluto parlare solo contro il vizio e sfruttamento dell’omossessualità. Oppure, secondo altri, in questo passo Paolo non parlava per ispirazione di Dio.

È alquanto strano, però, che questi passi di condanna non affermano neanche alla lontana, nel loro contesto, ciò che oggi si vorrebbe fare dire loro. Anzi, condannano fortemente il comportamento omosessuale e basta.

Il secondo tentativo di fare accettare l’omosessualità oggi è affermare che la Bibbia contiene riferimenti a relazioni omosessuali o lesbiche senza condannarle.

Gli esempi sarebbero, secondo alcuni, nell’Antico Testamento, la relazione fra Rut e sua suocera, Naomi, che potrebbe fare capire che il lesbismo è approvato, mentre l’amicizia fra Davide e Gionatan potrebbe descrivere una relazione omosessuale pulita e amorevole, non da condannare.

Per di più, alcuni si sono spinti a vedere nella relazione fra Gesù e Giovanni, descritto come “colui che Gesù amava” (Giovanni 13:23, 21:20), più di una mera amicizia.

Ovviamente, vedere in queste relazioni bibliche un riferimento all’omosessualità, velato o criptato che sia, sembra rivelare un chiodo fisso di chi vede in esse una rivelazione biblica a favore dell’omosessualtià.

Se questo movimento di alcuni omosessuali evangelici e cattolici vuole per forza chiamarsi cristiano, noi non possiamo che fare registrare un nostro forte dubbio sull’uso delle parole. Non intendiamo agire con odio, violenza o altro nei loro riguardi, né con persecuzioni. Ma questa nostra posizione non li soddisfa; perciò non trovano pace.

In varie nazioni i movimenti contro l’omofobia hanno promosso delle leggi che farebbero passare legalmente la mera citazione di ciò che la Bibbia dice sulla questione per “discorsi intrisi di odio”. Credenti in diverse nazioni sono stati già denunziati soltanto per avere letto certi passi della Bibbia ad alta voce, all’interno delle sale di culto.

Anche in Italia, recentemente Il Tribunale dei Minori di Catanzaro ha rifiutato di concedere al padre l’affido condiviso con la madre del proprio figlio, perché, in quanto egli ha denunziato “omosessuali e drogati”, la corte ha considerato “fortemente diseducativo” per il figlio dovere frequentare un padre che potrebbe trasmettergli dei “disvalori come l’omofobia”.

Ovviamente la discriminazione in questo caso non è contro l’omosessualità, come gli omosessuali continuano a insistere, ma contro il padre non-omosessuale, togliendogli il diritto di godere la compagnia di suo figlio e di professare ciò che crede.

E qui vediamo dove casca l’asino. Si è inventata una parola, omofobia, dandole un senso assolutamente contrario al suo significato etimologico, per condannare chi non approva l’omosessualità. Già facendo passare questa parola come una corretta descrizione di chi non approva l’omosessualità, la parola “fobia” fa diventare questa persona una povera malata, che ha una paura irragionevole e ossessiva degli omosessuali e perciò va curata mentalmente, e anche denunziata penalmente e eventualmente allontanata dai propri figli.

Questo processo di criminalizzazione è, in parte, sostenuto dalle chiese evangeliche e dagli omosessuali che ne fanno parte. In Italia, come nel resto del mondo “cristiano”, molte chiese approvano questo movimento o altre si chiudono nel silenzio per paura di confrontarsi su ciò che la Bibbia dice.

Il credente, che utilizza il suo diritto di esprimere la sua opinione e la sua comprensione delle Sacre Scritture per condannare quei comportamenti nella sfera sessuale che sono anche condannati nella Bibbia, non è certamente ammalato di nessuna fobia. Anzi non solo agisce giustamente nei riguardi della sua fede, ma dimostra amore, non odio, per tutti quelli che sono, alla luce della Bibbia, sotto la condanna di Dio.

Amare un adultero, un fornicatore o altra persona intrappolata in diversi tipi di peccato nella sfera sessuale, fino al punto di spiegargli come Dio, nel suo amore, ha agito donando il proprio Figlio per potergli offrire in dono la vita eterna, liberandolo dal suo peccato, non è il risultato di nessuna fobia, ma è un agire con una coscienza chiara davanti a Dio e agli uomini.

È, in fondo, ubbidire al comandamento di Dio di predicare a tutti gli uomini il bisogno di ravvedersi e credere nel Salvatore che è morto per togliere il loro peccato e la sua pena.

I credenti non sono mai giustificati se agiscano con odio o disprezzo verso qualsiasi essere umano, qualunque sia il peccato che possa praticare, perché il messaggio del Vangelo è un messaggio di amore e di salvezza. Comunque non è un messaggio che approva o sorvola sul peccato. Ignorare o fare finta di nulla davanti a qualsiasi peccato sarebbe un atto totalmente mancante dell’amore cristiano.
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martedì 23 giugno 2009

Il bluff della nuova fobia

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Ne pensano sempre una nuova

Dimmi la verità: se sei uomo, hai avuto una paura irragionevole dell’uomo che hai visto ieri al supermercato? Se sei donna, senti sempre una paura irragionevole della tua parucchiera, quando vai da lei?

Come sappiamo tutti, “fobia” viene dal greco e vuol dire paura. Particolarmente una paura irragionevole e oppressiva. C’è la agorafobia, ovvero la paura di attraversare una piazza affollata, l’acrofobia, che è la paura di stare in luoghi alti, la claustrofobia, cioè la paura di trovarsi in luoghi chiusi e tante altre.

E, secondo Riforma, (Anno XII – numero 19 – 15 maggio 2009), il periodico delle Chiese battiste, metodiste e valdesi, in Italia, il 17 maggio è stata osservata la quarta giornata mondiale contro la “omofobia”.

Cos’è questa nuova fobia? Il prefisso omo vuol dire “uguale, dello stesso tipo”. Perciò, a rigore di logica, l’omofobia sarebbe una paura irragionevole e ossessiva da parte degli omosessuali contro altri omosessuali, cioè di “qualcuno come te, uguale a te”. Ma… esiste una fobia simile?

Il Parlamento europeo è intervenuto per chiarire la questione. In una risoluzione approvata il 18/1/06, paragrafo A, afferma: “L'omofobia può essere definita come una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e dei gay, delle lesbiche, dei bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo.”

In altre parole, l’omofobia non vuol dire che tu hai una paura irrazionale di tutti gli uomini, se tu sei uomo, o hai la stessa paura di tutte le donne, se tu sei donna. Questa sarebbe la definizione giusta della parola omofobia. Invece, gli omosessuali hanno deciso che la parola omofobia vuol dire avere una paura irrazionale e ossessiva di loro. E siccome hanno una forte influenza in molti ambienti, possono definire la parola come vogliono loro.

E, come si comportano le persone pericolose afflitte dall’omofobia? Il Parlamento europeo l’ha spiegato così: “L'omofobia si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza.”

E questo tipo di omofobia sarebbe un pericolo perché si trasmette nelle chiese evangeliche?

Per la grazia di Dio, io frequento delle chiese evangeliche da oltre settanta anni, sia in quasi tutti i paesi dell’Europa e tutti gli stati degli Stati Uniti. Non mi pare di avere mai sentito in queste chiese, neanche una volta, un “discorso intriso di odio e istigazione alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzione e omicidio, ecc.” contro gli omosessuali. Dall’altra parte, lo ammetto, nelle chiese che ho frequentate io, non mi ricordo di avere mai sentito un discorso a favore dell’omosessualità.

A me sembra che attaccare le chiese o i credenti come malati di omofobia sia una forma violenta di straightofobia (Questa parola l’ho inventata io e vuol descrivere chi soffre a causa di una fobia, cioè una paura irragionevole e ossessiva, delle persone non omosessuali, ovvero straight).

L’articolo apparso sul giornale delle chiese battiste-metodiste-valdesi, sembra agitarsi contro la diffusione, o anche l’esistenza, dell’omofobia nelle chiese, che chiama “spia dei crampi religiosi che con i loro affanni impediscono la libera crescita di una fede serena, responsabile e matura”.

Mi ha sempre sorpreso il fatto che un certo segmento del movimento di “gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT)”, desidera essere considerato per forza un movimento cristiano o evangelico. Mi sorprende questa fissazione per ottenere l’approvazione religiosa del loro comportmento, perché sono loro, in generale, che, per difendere la loro posizione, cercano di smontare in qualche modo il messaggio della Bibbia.

L’articolo su Riforma, riferendosi a passi biblici che non parlano affatto bene dell’omosessualità, si domanda: “Come facciamo a dire con certezza che sono Parola di Dio?” Aggiunge poi che gli evangelici che non approvano l’omosessualità onorano “prescrizioni religiose dall’origine divina quantomeno dubbia e problematica”. In altre parole, sanno che vi sono passi biblici che addirittura vietano e condannano gli atti omosessuali, ma concludono, secondo loro, che non è possibile sapere se questi passi siano davvero parola di Dio e, anzi, che si farebbe bene a classificarli come “di origine dubbia e problematica”.

In altre parole, se la Bibbia parla male dell’omosessualità, è meglio non considerare queste affermazioni come Parola di Dio.

Ma, di questo scriverò la prossima volta.
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martedì 16 giugno 2009

Lo sai che sei solo fango?

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Quando le cose ti vanno male…

Nelle case antiche, vi erano molti vasi, di varie forme, alcuni modellati con arte e alcuni fatti di materiali preziosi, oro, argento o vetro.

Ma la stragrande maggioranza era di vasi fatti di fango, cioè di argilla, e cotti nella fornace. Erano vasi che valevano poco, facilmente si scheggiavano, si incrinavano, si rompevano. Ma, dato che valevano poco, erano facilmente rimpiazzati.

L’apostolo Paolo dice che dobbiamo tutti considerarci vasi fatti di fango.

D’altra parte, i vasi di argilla erano molto utili, più utili di quelli di materiali preziosi, perché si potevano adattare a molti usi. In generale, se si mettevano alcuni di questi vasi in un luogo più nascosto o riparato, ciò non dipendeva dal valore del vaso stesso, ma dal valore di ciò che conteneva.

Ecco, allora, se tu sei solo un vaso di terra, cosa contieni?

“Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra” scrisse Paolo, in 2 Corinzi 4:7.

Di quale tesoro si tratta? Nei versetti precedenti, Paolo parla di “Parola di Dio”, “verità”, “vangelo”, “luce” e di “conosocenza della gloria di Dio”. Non c’è da dubitare che si tratta di veri tesori che Dio ha affidato a vasi di terra.

Noi credenti, trasformati e rigenerati dallo Spirito Santo, rimaniamo, purtroppo, vasi di terra, con tutte le debolezze e difetti che questi vasi inevitabilmente portano. E ciò spesso ci spinge a disperare, dubitare, riconoscere il nostro poco valore con dolore o disprezzo. O, altre volte, guardiamo i nostri fratelli e sorelle in Cristo con giudizi, condanna o disprezzo perché ci sembrano talmente deboli, imperfetti e indegni della grazia di Dio.

Difatti, riconoscendosi un debole vaso di terra, Paolo dice che “siamo tribolati in ogni maniera”, “perplessi”, “perseguitati” e “atterrati”.

Penso che tutti noi ci disperiamo spesso per le nostre debolezze, le nostre cadute, la nostra incapacità di vivere la vita cristiana più completamente. D’altra parte, se anche l’apostolo si trovava in questa situazione, bisogna rendersi conto che questo è una parte normale della vita del credente.

Sapere che siamo solo dei vasi di fango o di coccio, ci aiuta a comprendere che viviamo in un mondo imperfetto e che siamo anche noi imperfetti. Non ne siamo contenti, ma questa realtà ci fa desiderare di più di conoscere, un giorno, la realtà perfetta del cielo.

D’altra parte, non possiamo usare la nostra debolezza come scusa per coprire o giustificare le nostre numerose mancanze e non possiamo rilassarci e farci portare dalla corrente.

Però mi pare che veramente ne soffra soltanto il credente che ha un profondo desiderio di essere “santo come Dio è santo”, quando si rende conto continuamente quanto è lontano dalla meta.

Faremmo bene a fare meno attenzione al “vaso” e dedicare il nostro tempo, le nostre forze e la nostra mente a godere e condividere il “tesoro” che Dio, nella sua grazia, ci ha affidato.
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martedì 9 giugno 2009

Il Presidente Obama al Cairo

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Ci credi alla pace universale?

Il “discorso al mondo arabo”, che il Presidente degli Stati Uniti ha pronunziato all’Università del Cairo il 4 giugno, ha suscitato grandi speranze in alcuni, ha fatto arrabbiare altri, ma a me ha confermato la confusione che esiste nella gente “per bene”.

È evidente che egli si sentiva in dovere di dimostrare, come si dice, un’“apertura” al mondo arabo e musulmano, seminando lodi del loro passato, delle loro capacità, della loro religione e di quant’altro. Ha sottolineato il fatto che lui è “Cristiano”, ma che suo padre era musulmano (grande applauso di pubblico).

Come il Papa, anche Obama ha sottolineato l’importanza del fatto che l’islamismo, il giudaismo e il cristianesimo sono le tre grandi religioni monoteistiche. Ma il fatto che tutti e tre affermano che esiste un solo dio (monoteismo) non significa nulla se non si può dimostrare che tutte e tre le religioni affermano non solo che esiste un unico dio, ma che tutte e tre adorano lo stesso Dio. Su questo punto si sorvola, perché poche persone sono interessate al problema fino al punto di andare a scoprire come queste tre religioni definiscono il dio che adorano.

Né l’islamismo né l’ebraismo affermano che Dio ha un figlio, anzi lo negano con tutta la loro forza. Ma il cristianesimo non esisterebbe senza credere che Gesù è sia Figlio di Dio sia Dio stesso. Per l’islamismo e l’ebraismo questa è bestemmia e eresia. Eppure, Gesù ha detto: “Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato” (Vangelo di Giovanni 5:23) e “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Vangelo di Giovanni 14:6).

Perciò, qui cade uno dei “ponti” che Obama ha voluto gettare verso l’altra sponda.

E sebbene Obama abbia potuto salutare l’uditorio e il mondo arabo con un saluto nella loro lingua, e abbia potuto citare alcune frasi dal Corano stesso, un altro suo “ponte” è stato molto debole. Ha detto che la religione musulmana è una religione di pace e di tolleranza, e ha detto che il Corano condanna l’uccisione dell’innocente (altri applausi). Ma ha omesso di dire che il Corano non dimostra una perfetta coerenza nelle sue proclamazioni. È vero che condanna l’uccisione dell’innocente, ma è altrettanto vero che afferma che Allah premierà chi uccide gli infedeli e che le guerre e gli stermini per guadagnare il favore di Allah sono una parte della storia musulmana di cui vanno fieri.

Non c’è dubbio che questo tipo di appello religioso alla pace e alla tolleranza fra i popoli sia uno dei temi dei grandi discorsi dei nostri tempi. Fa sentire tutti bene e virtuosi, ma è un appello basato soltanto sulla superficiale conoscenza delle diverse religioni o sulla convinzione che le particolari dottrine che le religioni insegnano non hanno, in fondo, molta importanza. Per raggiungere lo scopo, le dottrine si possono smussare o abbandonare.

Dico tutto questo non per dire che desidero che i musulmani, gli ebrei e i cristiani più fedeli alla loro religione debbano ammazzarsi. Dico soltanto che l’appello alle religioni è un’appello fasullo. Più demogogia che conoscenza.

Ovviamente, un appello all’umanità, al bisogno, in un mondo armato di bombe atomiche, di smetterla di ammazzarsi a vicenda, non è affatto sbagliato. Dovrebbe essere logico capire che finora la storia umana ha insegnato che quando gli uomini, le nazioni, le tribù, le ideologie ammassano le armi sempre più potenti, finiscono, poi, per usarle.

È vero che, se tutti i popoli seguissero l’insegnamento biblico di amare il prossimo, e perfino il proprio nemico, le guerre dovrebbero finire. Anche senza l’intervento dell’ONU o di trattati di pace.

Ma le profezie bibliche e gli insegnamenti biblici sul peccato dell’uomo non permettono molto ottimismo su questo fronte. Come disse un altro presidente americano, Teddy Roosevelt, più di un secolo fa, è prudente lavorare per la pace e tenere in mano un forte bastone.
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mercoledì 3 giugno 2009

Perplessità davanti al matrimonio

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Come si può sapere se è vero amore?

Nell’ultimo blog ti ho avvertito: se stai per sposarti soltanto perché sei innamorato, scappa finché c’è tempo! (Se non l’hai letto, faresti bene a farlo prima di continuare con questo).

D’altra parte, bisogna essere onesti. Senza qualche tipo di attrazione “magica” verso un’altra persona, come fai a pensare a sposarla? Credo personalmente che spesso l’attrazione per un’ altra persona, anche per un motivo non spiegabile, possa essere il primo passo, nel piano di Dio, verso un vero amore.

Ma l’amore biblico è qualcosa di tosto. Forte, permanente, indistruttibile. “L’amore è forte come la morte” scrisse il savio Salomone (Cantico dei cantici 8:6). Quando ti ha preso per la gola, non ti lascia andare più. Perciò non assomiglia per niente all’innamoramento.

Prima di permettere che un semplice innamoramento ti spinga ad un impegno serio come il matrimonio, bisogna osservare con occhi freddi e mano ferma la verità.

Siete tutti e due abbastanza maturi per avere stabilito, ognuno per conto proprio, quale sia la vostra meta più importante nella vita? Se avete la stessa meta, avete anche una buona base su cui costruire l’amore. Ovviamente, se tu sei credente, la base perfetta è il desiderio di fare la volontà di Dio sopra ogni altra cosa. Ciò vorrebbe dire che non sei ancora un adolescente che pensa una cosa oggi e un’altra domani (ci sono anche persone di trenta anni che pensano ancora da adolescente!).

Una buona meta vale soltanto quando hai capito e scelto i metodi onesti e giusti per arrivarci. Non si raggiunge nessuna meta di valore senza sudare, pianificare e sapere aspettare. E, ovviamente, per il credente, i metodi per arrivarci devono essere sempre sottoposti al vaglio della Parola di Dio.

Di solito, i metodi appropriati per avviarsi verso la vita che Dio ha preparata per noi sono:
1) L’applicazione seria e sistematica agli studi fino a raggiungere il livello che ci siamo proposti.
2) L’impegno serio e costruttivo in un lavoro in cui puoi usare i tuoi doni e i tuoi studi e puoi mettere via una somma consistente per le spese del matrimonio e per mettere su casa.
3) La frequenza fedele alle riunioni della propria chiesa e l’impegno in qualche servizio per aiutare altri sia spiritualmente che praticamente.

Siete tutti e due veramente disciplinati e sottomessi a Dio nello studio, nel lavoro, nel mangiare, negli orari e l’uso del vostro tempo e nei vostri rapporti?

La persona che tu credi essere il giusto compagno per la vita è cortese, gentile, altruista? Parla spesso male di altri o ne parla bene? È uno che critica tutti? Si lamenta, si atteggia a vittima, è un sognatore? Mente o sei sicuro che puoi credere sempre a ciò che dice?

I tuoi amici parlano bene di questa persona? Lo fanno anche i suoi amici? I giovani della chiesa? Gli anziani? I tuoi genitori?

È una persona che tu ammiri per come si presenta, come si veste, come parla, come ti tratta?

Il vero amore, cioè il desiderio e la volontà di vivere per tutta la vita con quella persona, onorarla, curarla, sottomettendo i tuoi desideri e bisogni ai suoi, non è un incidente di percorso, ma una scelta consapevole, un impegno solenne e onesto. Tutte le domande elencate sopra sono la trama essenziale attraverso la quale devi decidere se puoi e vuoi amare quella persona o no.

L’amore a prima vista, l’amore che assomiglia ad un lampo a ciel sereno, l’amore che colpisce con un solo sguardo di intesa, son tutti miti. Anzi, miti pericolosi.

Pericolosi perché il crollo di un amore romantico, effimero, poetico e accecante può distruggere tutta la vita. Il divorzio non è una facile via d’uscita, ma una sconfitta da cui non ci si rimette pienamente in una vita intera.
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