martedì 26 maggio 2009

Aiutami! Sono innamorata!

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Ma miei genitori dicono “No”

“Guglielmo, ho bisogno di tuo aiuto”, mi ha telefonato una giovane credente.

“Come no. Cosa posso fare?”

“Il mio problema è questo: mi sono innamorata.”

“E che male c’è? Succede tutti i giorni.”

“Sì, ma per me è un problema. L’uomo a cui voglio tanto bene non è della mia fede. Infatti, non è un credente.”

“Ahi, ahi, allora, sì che hai un problema. Ma, perché mi hai telefonato?”

“Volevo un tuo consiglio. Cosa faccio? I miei dicono che non lo devo sposare, ma io sono grande e sono pronta a sposarmi.”

È uno di quei “problemi” che succedono abbastanza spesso. Una ragazza brava, buona, credente, non trova nella sua chiesa un giovane che l’attira e, perciò, quando qualcuno al lavoro, o incontrato nella famiglia di amici, comincia a farle la corte, non ci vuole molto prima che si trovi “innamorata”.

Infatti, l’innamoramento è una grossa trappola per molte persone. Anche degli uomini sposati mi hanno detto che si sono “innamorati” di una collega d’ufficio e che la moglie non gli va più bene. Perfino una signora mi ha scritto che suo marito, già attivo nella loro chiesa locale, se ne è andato a vivere con un’altra donna della chiesa. Quando le ho domandato come mai gli anziani non sono intervenuti, mi ha risposto che la donna con cui suo marito conviveva era, infatti, la moglie del pastore.

Molte, troppe, persone confondono “l’innamoramento” con l’amore di cui parla la Bibbia. Ma Dio non si è mai “innamorato” di nessuno! L’amore di Dio, per cui viene adoperata nel Nuovo Testamento la parola “agape”, è esattamente la stessa parola usata dall’apostolo Paolo, quando dice, in Efesini 5, che il marito deve amare sua moglie. L’amore biblico è un amore di impegno, una scelta (e non un inaspettato incidente di percorso) che coinvolge ogni lato della personalità e della vita.

L’innamoramento, invece, è un insieme di attrazione fisica, affinità di modi di vedere o di complicità, è basato di solito su una conoscenza superficiale della persona, costruito con sogni e speranze che sono irrealizzabili, perché l’innamoramento non vede mai i difetti per quelli che sono: egoismo, immaturità, un nascondere le proprie motivazioni e, spesso, delle vere intenzioni.

È per questo che i personaggi del cinema e della TV così spesso annunziano un nuovo “amore” e lasciano il “fidanzato” con cui hanno vissuto per un anno o due. L’amore di questo tipo a un certo punto svanisce tanto velocemente, o ancora più velocemente, di quanto non sia venuto

Questo amore, che è alla base di romanzi, fiction TV e notizie varie, è scambiato da molti giovani credenti per quell’amore che Dio vuole che sia la base del matrimonio che dura tutta la vita. E perciò vediamo sempre più giovani coppie di credenti, che si erano profondamente “innamorati”, ma che si trovano ora davanti al divorzio.

Ma, allora, qualcuno potrebbe obbiettare: bisogna proprio sposare soltanto e sempre e per forza un altro credente, anche se è antipatico, tirchio e brutto? No, quella non è l’unica alternativa.

Ma, per ora, prendi sul serio il mio avvertimento: se pensi di sposare qualcuno soltanto perché ti sei innamorato, scappa mentre c’è ancora tempo. Altrimenti ti legherai in un matrimonio che non può portarti che guai.
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martedì 19 maggio 2009

È utile pregare?

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La scienza può “provare” che Dio esaudisce la preghiera?

Un gruppo di scienziati, sotto il patrocinio della Facoltà di Medicina dell’Università di Harvard (USA), ha studiato per dieci anni i risultati della preghiera nella guarigione di quasi duemila persone operate al cuore.

I risultati sono stati pubblicati dall’Università col titolo, “Study of the Therapeutic Effects of Intercessory Prayer” (Studio sugli effetti terapeutici della preghiera intercessoria).

I pazienti operati erano divisi in tre gruppi, uno dei quali sapeva che vi erano persone che pregavano per la loro guarigione. Altre persone pregavano anche per la guarigione del secondo gruppo di pazienti, ma questi non lo sapevano. Per il terzo gruppo di pazienti, invece, non era stabilito nessun gruppo di preghiera.

Che risultati ha portato questa ricerca scientifica, organizzata con tanta precisione e tante precauzioni? Ovviamente, qualsiasi risultato avrebbe causato sorpresa fra gli scienziati, che non aspettavano assolutamente nessuna differenza nella guarigione post-operatoria fra i membri dei tre gruppi. Invece, la differenza c’era!

Infatti, il primo gruppo di pazienti (quelli informati che un gruppo di cristiani pregava per loro) ha avuto più problemi nella guarigione dei membri degli altri due gruppi. Il secondo gruppo, per cui si pregava senza che lo sapessero, ha avuto anche esso un numero di complicanze piuttosto alto.

Il gruppo di pazienti che è riuscito meglio nella convalescenza era il gruppo per cui non era previsto nessun gruppo di preghiera.

Se questa ricerca ha avuto un risultato “scientifico”, bisogna ammettere che la preghiera sia nociva per chi è stato operato di cuore.

Per il credente che è sicuro che la preghiera per gli ammalati è ascoltata dal Signore, una prima domanda si impone: chi erano le persone che pregavano? Secondo il resoconto della ricerca, erano “cristiani sinceri con esperienza nella preghiera per gli ammalati”. Senza cercare e voler trovare il pelo nell’uovo, quei “cristiani sinceri” erano veramente persone “nate di nuovo” e perciò diventate figli o figlie di Dio per mezzo di un’opera sovrannaturale nella loro vita? E si domanda ancora, cosa significa “con esperienza nella preghiera per gli ammalati”? Esistono dei credenti che, a motivo della loro esperienza o pratica della preghiera, sono più preparati e più efficaci nella preghiera dei semplici credenti che non pretendono possedere questa speciale qualifica?

Giacomo, nella sua Epistola, al capitolo 5, nei versetti 13-16, parla di un’ usanza nella chiesa primitiva, in cui si incoraggiava un malato che era “fra di voi”, cioè nella comunione della chiesa locale, a chiamare gli anziani, cioè gli uomini responsabili della guida e dell’insegnamento nella chiesa, perché pregassero per lui. Questi prima ungevano il malato d’olio, il che era considerato una pratica curativa (vedi Luca 10:34) e, se il malato stesso confessava i suoi peccati a Dio e riceveva il suo perdono, era “ristabilito” e il suo peccato perdonato.

Ovviamente, questa pratica apostolica primitiva è lontana anni luce dalla ricerca dell’Università di Harvard.

Ma forse la questione più importante suscitata da questa ricerca è la seguente: la preghiera del credente richiede e riceve sempre un esaudimento “positivo”? Ovviamente, la risposta è “no”. Perfino, Gesù, figlio di Dio, disse a suo Padre: “Non la mia volontà, ma la tua sia fatta” (vedi Matteo 26:39). Non può esistere nessun rapporto “scientifico” fra il numero di preghiere offerte, o neanche fra la qualità della persona che prega, e la garanzia che ogni preghiera di chi si definisce, o che è considerato un “cristiano sincero” riceverà solo e sempre un esaudimento positivo.

Gesù, quando fu tentato da Satana, citò il versetto dell’Antico Testamento perfettamente adatto a qualificare la ricerca citata: “Non tentare (o mettere alla prova) il Signore Dio tuo” (Luca 4:12).

Davanti ad una prova sperimentale della potenza di Dio, creata dagli uomini increduli soltanto per soddisfare una curiosità, Dio ha risposto esattamente come avrebbe dovuto e come ha promesso.

Noi non possiamo mettere alla prova Dio, ma è Lui che può mettere alla prova ciò che noi diciamo di credere e ciò che noi crediamo di essere.
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martedì 12 maggio 2009

Perché tanta paura?

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Una visita a L'Aquila



Domenica, sono stato a L’Aquila, insieme con Maria Teresa, per passare del tempo con gli sfollati e per condividere con loro un fatto ricordato nei Vangeli, avvenuto in un giorno di terremoto.

Non si può entrare nel centro, quasi completamente distrutto della città, ma basta guardarsi intorno anche nei quartieri non centrali, per vedere la distruzione e immaginare la paura di quella notte di catastrofe e di morte.

È strano come la realtà di un terremoto ci impressiona, impressiona il paese e il mondo, riempie giornali e TV di notizie e interventi, mentre gli avvenimenti giornalieri, di morte e di distruzione, non ci colpiscono più di tanto.

Trecento morti! Sono tanti.

Ma se ci impressiona soltanto il numero dei morti, quante persone muoiono in una sola giornata negli ospedali italiani? Chi pensa a loro, se non è parente di uno che è morto?

Oppure è forse la distruzione, che avviene in pochi secondi, quella che impressiona? O il fatto che la morte è stata così imprevedibile e inaspettata? Ma la morte in un incidente d’auto non avviene anch’essa spesso in pochi secondi, e non è forse imprevedibile e inaspettata?

Mi sembra che abbiano ragione quelli che vedono il motivo del terrore che tutti hanno del terremoto in qualcosa di più profondo e temibile della morte stessa. Noi tutti abbiamo bisogno di certezze nella nostra vita, di alcune cose su cui possiamo contare ciecamente.

Già prima della nascita, e in tutti i giorni e anni che viviamo sulla terra, per noi è una verità basilare, assoluta, il fatto che la terra, su cui piantiamo i piedi per imparare a camminare e, più tardi, per correre, sia una base sicura, un qualcosa di cui ci possiamo fidare senza nemmeno pensarci. Quando siamo in casa, anche se, per un momento, la testa ci potesse girare, siamo sicuri che il pavimento, le mura e il soffitto resteranno al loro posto, senza minacciarci.

Il terremoto è il sovvertimento dell’ordine della natura stessa, la terra che trasgredisce alle norme più basilari su cui costruiamo le nostre case. È perfino la ribellione della terra alle leggi del suo Creatore.

Perciò, le persone strillano e corrono senza fermarsi per ragionare.

Perciò, chi ha vissuto la realtà di un terremoto può sentire, dopo mesi o anni, il terrore irragionevole, la confusione , la sensazione di un mondo in caos, che ha sperimentata mentre la terra tremava. Un piccolo scricchiolio, la vibrazione del pavimento per un camion che passa davanti alla casa, possono scatenare delle emozioni e delle paure indicibili.

Possiamo dire, allora, che l’ateo, o chi non bada a Dio né tiene conto delle sue leggi, gode costantemente della grazia e dell’amore di Dio, senza rendersene conto, perché ha la terra ferma sotto i piedi. E non solo.

Il sole che sorge ogni mattina, che riscalda la terra, senza il quale non avremmo né gli alberi ed i fiori che ci fanno piacere, né la frutta e la verdura che ci sostengono la salute, è opera di Dio e ne godono tutti. E anche la notte, la pioggia, le stelle e la luna, e tante altre cose Dio le ha date a noi uomini, credenti o no, riconoscenti o no, perché ci ha creati per conoscerlo, apprezzarlo e amarlo come Lui ci ama e siamo amati.

Il terremoto ci avverte che tutto ciò su cui contiamo potrebbe venire a mancare. Che le cose, che consideriamo certe, non sono affatto certe. Anzi, ci fanno cercare, o dovrebbero farci cercare, Colui che è la realtà certa dell’universo, Colui per la cui grazia e bontà esistiamo.

La mia preghiera è che molti, sopravvissuti al terremoto, possano essere guidati alla fede dall’opera dello Spirito Santo e dalla testimonianza dei credenti che sono vicini a loro.

Domanda: Chi ha ricevuto il perdono da Gesù stesso nel giorno in cui vi fu un terremoto?
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martedì 5 maggio 2009

A L’Aquila non trema solo la terra

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È finito il terremoto?



“Un terremoto non fa crollare solo i soffitti di calce. Incrina anche i muri portanti di un’identità. Scuote le fondamenta dell’io. Spacca in due lo schema mentale che dà ordine a ogni vita” scrive Michele Smargiassi su la Repubblica.

Per questo motivo, un esercito di psicologi è sceso a L’Aquila nei giorni immediatamente seguenti alla catastrofe e uno psichiatra, Antonio Picano, afferma che si prevede la necessità di trattare diecimila persone, in un periodo di tre anni, per tentare di cancellare paura, ansietà, panico e depressione fra chi ha subito gli effetti del terremoto. La personalità, la psiche umana, è molto più fragile di quanto appare quando tutto va bene.

Dio, nelle rivelazioni contenute nella Sacra Bibbia, riconosce la gravità e l’angoscia della paura umana e offre la sua presenza per portare anche nella nostra vita la pace.

La Bibbia racconta uno dei più grandi trionfi del popolo di Dio nell’Antico Testamento: la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Al popolo che però temeva la rappresaglia dell’esercito egiziano, Mosè disse: “Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il Signore compirà oggi per voi” (Esodo 14:13).

Davide, il più famoso re del popolo di Dio dell’Antico Testamento, aveva molti nemici e fu più volte in grande pericolo, ma poté dire: “Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò? Il Signore è il baluardo della mia vita; di chi avrò paura?” (Salmo 27:1).

In un altro salmo Davide scrisse: “Il Signore è per me; io non temerò; che mi può fare l’uomo?” (Salmo 118:6).

Mentre Gesù, che era Dio stesso, viveva sulla terra con i suoi discepoli, questi dimostrarono spesso paura per le circostanze in cui si trovavano. Ma Egli disse loro: “Perché avete paura, o gente di poca fede?” (Matteo 8:26).

Purtroppo, siamo tutti soggetti a momenti di paura e addirittura di panico.

Abbiamo paura della malattia grave, dell’ignoto, delle guerre, della perdita del lavoro e di tante altre cose. Ed è naturale che sia così.

Vi sono tante cose nel mondo e nella nostra vita che non possiamo minimamente controllare.

Siamo come i discepoli di Gesù, mentre si trovavano con Lui su un lago in mezzo alla tempesta, e la loro barca si riempiva di acqua. Siamo come la gente di L’Aquila mentre i pavimenti si muovevano e si sbriciolavano sotto i loro piedi.

È facile che le nostre certezze umane e materiali siano scosse e vengano meno. Ci sentiamo “mancare la terra sotto i piedi”, e temiamo che non ci sia una via d’uscita dai nostri problemi.

Quanto è rassicurante sentire in quei momenti le parole di Dio: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Lettera agli Ebrei, 13:6).

E Gesù ci dice, come ha detto ai suoi discepoli: “Io vi do la mia pace. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti” (Vangelo di Giovanni, 14:27).

Con una fede simile, non sarà necessario che un esercito di psicologi venga in nostro aiuto, ma forse saremo noi che potremo incoraggiare qualche psicologo stanco e deluso.
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